LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PONTERIO Carla – Presidente –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 437-2020 proposto da:
L.C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE CASTRO;
– ricorrente –
contro
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SAN BASILIO 61, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE SALVATORE CUOMO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1093/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata i127/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LEO.
RILEVATO
che:
1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza pubblicata il 27.12.2018, ha accolto parzialmente il gravame interposto da S.M., nei confronti di L.C.C., ed in parziale riforma della pronunzia del primo giudice, ha condannato il S. a versare al L.C. la somma di Euro 38,09, oltre accessori, quale “differenza tra quanto percepito come da buste paga sottoscritte e quanto spettante per le medesime voci limitatamente al secondo rapporto di lavoro” intercorso tra le parti dall’1.4.2001 al 13.6.2002 (il primo rapporto riguardava, invece, il periodo dall’1.7.1996 al 31.12.2000).
2. Il Tribunale aveva condannato il S. al pagamento della somma di Euro 24.415,96 a titolo di differenze retributive, oltre accessori, avendo ritenuto “provati l’unicità del rapporto di lavoro e l’espletamento di mansioni superiori rispetto all’inquadramento riconosciuto di operaio comune” ed altresì “la retribuzione indicata in ricorso inferiore a quella riportata nelle buste paga”.
3. La Corte territoriale, invece, esaminate le risultanze istruttorie, ha ritenuto “non provato l’assunto del ricorrente in primo grado circa la sussistenza di un unico rapporto di lavoro”.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso L.C.C. articolando quattro motivi. S.M. ha resistito con controricorso.
5. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi del codice di rito, art. 380-bis.
CONSIDERATO
che:
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,116 e 421 c.p.c., e degli artt. 2731 e 2732 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nullità del procedimento. Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma, 2, n. 4. Omessa motivazione”.
7. Con il secondo motivo si censura la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,116 e 421 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nullità del procedimento. Omessa o insufficiente motivazione”.
8. Con il terzo motivo si denunzia la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e degli artt. 2966, 2968, 2935, 2937, 2113 e 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omessa motivazione”.
9. Con il quarto motivo si assume la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello ha errato nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese e dei compensi di entrambi i gradi di giudizio, ponendo a carico di entrambe le parti le spese di CTU nella misura del 50% ciascuna, mentre avrebbe dovuto condannare controparte, atteso che comunque anche in appello è stato accertato un credito di Euro 38,09 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a favore dell’appellato”.
10. Il primo, il secondo ed il terzo motivo – che possono essere trattati insieme, in quanto affetti da vizi analoghi – sono inammissibili sotto diversi e concorrenti profili. Innanzitutto, perché sollevano diverse censure senza il rispetto del canone della specificità del motivo, che determina, nella parte argomentativa degli stessi, la difficoltà di scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio e, dunque, di effettuare puntualmente l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (cfr., tra le molte, Cass. nn. 21239/2015, 7394/2010, 20355/2008, 9470/2008); ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la critica di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., SS.UU., nn. 26242/2014; 17931/2013). Inoltre, tutti e tre i motivi tendono ad un ulteriore esame del merito anche attraverso una rivalutazione degli elementi probatori, non consentito in questa sede. Peraltro, il terzo motivo difetta, altresì, del requisito della autosufficienza e viola, quindi, il codice di rito, art. 366, comma 1, n. 6, non essendo stati prodotti, e neppure indicati tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso di legittimità, il CCNL (di cui non si specifica altro: v. pag. 19 del ricorso), del quale si denunzia la violazione dell’art. 36; né le buste paga relativamente alle quali si denunziano le irregolarità.
Infine, nei medesimi motivi, si lamenta anche una non meglio precisata “omessa motivazione”, con una formulazione non più consona con le modifiche introdotte all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, applicabile, ratione temporis, al caso di specie, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata il 27.12.2018.
11. Il quarto motivo è infondato, in quanto la Corte distrettuale ha motivato la disposta compensazione delle spese di entrambi i gradi di merito a causa dell'”accoglimento in minima parte della domanda” (solo nella misura di Euro 38,09, a fronte di una richiesta pari ad Euro 161.724,50) e, “quindi, della soccombenza reciproca”, conformemente ai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia (cfr., tra le altre, Cass. nn. 12412/2014; 6259/2014). In materia di spese giudiziali, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione vigente ratione temporis, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 20598/2008, hanno sottolineato che il provvedimento di compensazione totale o parziale delle spese deve “trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici siano chiaramente ed inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito)” (cfr., altresì, Cass. nn. 21521/2010; 26466/2011). La sentenza oggetto del giudizio di legittimità appare, pertanto, rispettosa dei canoni evidenziati dalle Sezioni Unite relativamente all’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo vigente prima della riforma operata dalla L. n. 69 del 2009, ed applicabile al presente giudizio, instaurato in primo grado il 27.1.2004 – e, dunque, prima del 4.7.2009 -, ai sensi della predetta L., art. 58.
12. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato.
13. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
14. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, secondo quanto specificato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
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