LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 29141/19 proposto da:
D.S., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore (mariarosa.platania.pecavvocatigorizia.eu), difeso dall’avvocato Mariarosa Platania, in virtù di procura speciale apposta in margine al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Cagliari 4.8.2019 n. 2413;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. D.S., cittadino bengalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dove due alluvioni, verificatasi nel 2016 e nel 2017, distrusse “il suo terreno”. Aggiunse che tale fu la devastazione di quelle alluvioni che le persone colpite non avevano di che sfamarsi e si abbandonarono a tumulti e saccheggi.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento D.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dirianzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Cagliari, che la rigettò con decreto 4 agosto 2019.
Il Tribunale ritenne che:
-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perché i fatti narrati dal richiedente non costituivano una persecuzione;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente aveva lasciato il suo paese per ragioni puramente economiche, non ostativa al rimpatrio, né aveva raggiunto in Italia una situazione di integrazione tale da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da D.S. con ricorso fondato su due motivi.
Il Ministero dell’Interno non si è difeso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.
Deduce che il Tribunale sarebbe venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria su esso incombente. Sostiene, in particolare, che il Tribunale non ha accertato la sussistenza in Bangladesh di tensioni politiche ed attentati terroristici.
1.1. Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha escluso la sussistenza in Bangladesh di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato richiamando due fonti:
-) un rapporto di Amnesty International del 2018;
-) i dati estratti dal sito Web dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, aggiornati al marzo 2019 (la decisione è stata adottata ad agosto 2019).
Il tribunale ha dunque correttamente assolto l’onere, imposto gli dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, di avvalersi di fonti attendibili ed aggiornate.
2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.
Il motivo censura il capo di sentenza con cui è stata rigettata la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. L’illustrazione del motivo contiene le seguenti affermazioni:
-) che la sentenza sarebbe sbagliata “per le medesime considerazioni esposte al punto 1) dei motivi, qui da intendersi integralmente ritrascritti”;
-) in Bangladesh è il lavoro è sottopagato e la popolazione prevalentemente contadina; la proprietà delle terre appartiene a poche persone, e i raccolti sono spesso compromessi dalle tempeste ed inondazioni;
-) l’odierno ricorrente aveva dimostrato di sapersi integrare nel tessuto sociale italiano, lavorando e frequentando corsi di lingua.
2.1. Il motivo è inammissibile perché non contiene alcuna ragionata censura avverso la sentenza di primo grado. Si limita a sostenere che la protezione umanitaria doveva essergli concessa.
Come si è detto in precedenza, tuttavia, il Tribunale ha fondato il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari su due rationes decidendi:
a) la povertà di per sé non è causa di concessione della protezione umanitaria, se il richiedente è persona sana ed abile al lavoro;
b) il richiedente non aveva raggiunto un sufficiente livello di integrazione in Italia.
Nel caso di specie l’odierno ricorrente non impugna la statuizione sub (a); ed impugna la statuizione sub (b) limitandosi a sostenere che quella integrazione negata dal Tribunale lui, invece, l’aveva raggiunta. Si tratta dunque d’un motivo puramente assertivo, e come tale inammissibile.
3. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.
PQM
la Corte di Cassazione:
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021