Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27286 del 07/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLEGRINO Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31440/2019 proposto da:

K.O., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI BIAGI;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1002/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 26/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:

1. K.O., cittadino del della Nigeria, Delta State, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

1.2. Il richiedente dedusse a fondamento dell’istanza di aver lasciato il proprio Paese poiché dopo aver perso la madre nel 2012 era rimasto con il padre, unitamente al quale aveva svolto attività di coltivatore, ma nel 2013 la casa dove abitava aveva preso fuoco; avendo perso ogni cosa aveva chiesto aiuto ad uno zio grazie al quale aveva iniziato a lavorare come meccanico. Finito il contratto aveva chiesto sempre allo zio il denaro per aprire una officina in proprio e non avendo ottenuto quanto richiesto né avendo altrui cui chiederlo, aveva deciso di lasciare la Nigeria.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento il K. propose ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, dinanzi il Tribunale di Firenze il quale ne disponeva l’audizione. In tale sede il K. dopo aver confermato le dichiarazioni rese alla Commissione precisò che in Nigeria, oltre allo zio, era rimasto anche un fratello ed entrambi vivevano nel villaggio di OBI; che il padre era morto di malattia nel 2012 e la madre nel 2013 a seguito di ustioni nell’incendio della propria casa; che il disastro aveva coinvolto anche una casa vicina, che lui ed il fratello erano stati condannati a risarcire il danno provocato al vicino entro due anni, pena la prigione; che per questa ragione il fratello era stato effettivamente imprigionato e lui era scappato.

2.1. Con ordinanza del 28 gennaio 2018 il Tribunale rigettò le domande dell’attuale ricorrente. Ritenne che la contraddizione fra le due dichiarazioni rendesse non credibile il suo racconto e che per questa ragione non potessero essere concessi né lo status di rifugiato, né la protezione sussidiaria. Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale la rigettò non avendo il richiedente allegato elementi da cui desumere un serio pericolo in caso di rientro in patria, né uno stabile inserimento lavorativo in Italia, né ragioni di salute avendo a tal fine prodotto degli esami clinici che indicavano valori elevati di glicemia e colesterolo, senza però riscontro con precedenti esami o la necessità di sottoporsi a specifiche terapie.

Contro tale ordinanza il K. propose appello esponendo che dinanzi al Tribunale aveva reso dichiarazioni più dettagliate non essendo a conoscenza che ciò fosse necessario già dinanzi alla Commissione e che dalla documentazione prodotta si ricavava che nella zona di provenienza, il Delta del Niger, erano in corso scontri definibili come conflitto armato, con conseguente situazione di pericolo sicché le domande di rifugiato o di protezione sussidiaria avrebbero dovuto essere accolte. Deduceva infine che la condizione di violenza generalizzata e di violazione dei diritti umani esistente in Nigeria, attestata da vari rapporti di Amnesty International, giustificavano il riconoscimento della protezione umanitaria.

3. La Corte d’Appello di Firenze ha respinto il ricorso ed ha ritenuto:

a) inverosimile il racconto del richiedente asilo stante la contraddizione fra quanto dichiarato dinanzi alla Commissione Territoriale ed in sede di audizione nel giudizio di merito;

b) il Tribunale non aveva violato il dovere di cooperazione per non aver considerato documentazione prodotta o fonti di immediata reperibilità secondo cui il Delta del Niger è una delle zone più pericolose al mondo, perché a tale aspetto non era stato fatto alcun cenno nel corso delle audizioni;

c) infondata la domanda di protezione umanitaria, dovendo essere valutata sulla base di eventuali forme di vulnerabilità individuale del soggetto, che nulla hanno a che fare con problematiche di ordine generale, neppure essendo rilevante le deduzioni circa il processo di integrazione dal momento che solo in pendenza di giudizio era stato prodotto un contratto di lavoro del K. nel ramo pulizie, trattandosi di una situazione sopraggiunta alla impugnazione, laddove il presupposto della tutela deve essersi formato prima della domanda. 4. La sentenza è stata impugnata per cassazione dal K. con due motivi di ricorso.

Il Ministero dell’Interno non ha notificato tempestivo controricorso, ma ha depositato solo atto di costituzione per l’eventuale partecipazione alla pubblica udienza.

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Osserva che secondo il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, il giudice di merito deve esercitare i poteri officiosi di indagine e di informazione circa la situazione di pericolo allegata dall’interessato sul quale grava solo il dovere di allegare e dedurre tutti gli elementi e la documentazione atti a motivare la domanda. Pertanto sarebbe stato onere della Corte d’Appello verificare le condizioni generali dell’area di provenienza allo scopo di valutare la riconoscibilità del diritto alla protezione umanitaria posto che l’interessato aveva proposto sia in primo grado che in appello gli elementi in suo possesso a tal fine rilevanti.

Il motivo è fondato.

La Corte d’Appello ha affermato che il procedimento è caratterizzato pur sempre dal principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. e dall’onere di conseguente allegazione e prova dei fatti posti a fondamento della stessa, onde non è possibile riconoscere la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), a causa del pericolo di violenza indiscriminata nella zona di provenienza se il ricorrente, come in questo caso, non ha fatto il benché minimo accenno a questo aspetto durante le sue due audizionì (cfr. pag. 8, punto 6.2 della sentenza impugnata. Tale affermazione è errata.

Come affermato da questa Corte (sentenza 8819/2020) “Il presupposto normativo della fattispecie ex art. 14, lett. c) è quello della minaccia grave e individuale alla persona derivante da violenza indiscriminata scaturente da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, minaccia che può, sia pur eccezionalmente, rilevare non in relazione alla situazione personale quando il livello di violazione dei diritti umani raggiunge un livello così elevato che il rischio risulta in re ipsa (C.G. 30 gennaio 2014, in causa C-285/12, Diakite’, punto 10.3). Ne deriva, sul piano strettamente logico, prima ancor che cronologico, che l’accertamento di tale situazione deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del ricorrente”. Inoltre, come affermato da Cassa. 11096/2019 “in tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea”.

La Corte d’Appello non ha svolto tuttavia alcun esame in tal senso muovendo dal presupposto che in sede di audizione il richiedente Asilo non avesse riferito nulla in proposito, sebbene si ricavi che la relativa domanda era stata proposta in sede di ricorso al Tribunale e poi di impugnazione della successiva ordinanza di rigetto.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e il D.Lgs. n. 286 del 1992, art. 19 commi 1 e 1, n. 1, nonché dell’art. 8 CEDU per avere la Corte d’Appello disgiunto i due fattori della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine ed alla integrazione nel paese di accoglienza. In particolare, sebbene la Corte d’Appello abbia ritenuto credibile la dichiarazione del K., di aver perso ogni cosa nell’incendio della propria casa, non avrebbe considerato tale aspetto di vulnerabilità ed il percorso di integrazione seguito in Italia.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.

Pertanto il giudice del rinvio dovrà riesaminare la richiesta di protezione umanitaria applicando i seguenti principi.

“In tema di protezione umanitaria, alla luce dell’insegnamento di cui a Cass. S.U. n. 29459 del 2019, i presupposti necessari ad ottenerne il riconoscimento devono valutarsi autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori (Cass. 1104/2020), non essendo le due valutazioni in alcun modo sovrapponibili, di tal che i fatti funzionali ad una positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben potrebbero essere gli stessi già allegati per le protezioni maggiori (contra, Cass. 21123/2019; Cass. 7622/2020)”.

“Il giudizio in ordine ai presupposti richiesti per il riconoscimento della protezione umanitaria va condotto alla luce di valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso – onde impedire che il giudice di merito si risolva a declinare valutazioni di tipo “seriale”, improntate ai più disparati quanto opinabili criteri, altrettanto seriali, a mò di precipitato di una chimica incompatibile con valori tutelati dalla Carta costituzionale e dal diritto dell’Unione)”.

“Il giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, come cristallinamente scolpito dalle sezioni unite della Corte di legittimità, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha testualmente ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, sub specie della mancata tutela, in loco, del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona”.

“In tema di protezione umanitaria, quanto più risulti accertata in giudizio una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del Paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati “dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale” (principio affermato, con riferimento ad una peculiare fattispecie di eccezionale vulnerabilità, da Cass. 1104/2020)”.

6. Pertanto la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472