Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.27308 del 07/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36441-2018 proposto da:

D.M.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO FERRARI;

– ricorrente –

contro

CLEAN SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’

avvocato GIANLUCA PESCOLLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1747/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/11/2018 r.g.n. 1116/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita, in subordine rigetto;

udito l’Avvocato GIANLUCA PESCOLLA.

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza n. 1747/2018, pubblicata il 2.11.2018, la Corte di Appello di Milano ha respinto il reclamo proposto, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, da D.M.P. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva disatteso l’opposizione presentata dal medesimo all’ordinanza di rigetto dell’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli da Clean Service S.r.l. il 16.3.2017, a seguito di contestazione disciplinare del *****, inerente alla mancata emissione di scontrini fiscali ed all’appropriazione dei relativi importi, commessa nello svolgimento delle mansioni di Capo Servizio Ristorazione addetto al bar del treno n. *****.

La Corte territoriale, per quanto ancora di interesse in questa sede, ha osservato che “va esclusa nel caso di specie alcuna lesione del diritto di difesa del lavoratore per la lamentata tardività della contestazione disciplinare: questa è stata, infatti, comunicata a D.M. il 14.2.17, sulla base del rapporto investigativo del 23.1.17 e le rilevanti dimensioni aziendali dell’odierna resistente, che pacificamente occupa circa 500 dipendenti, giustificano – anche alla luce della necessaria ricostruzione contabile della vicenda – il tempo decorso dal ricevimento del rapporto all’instaurazione del procedimento disciplinare”; che “i fatti contestati – a prescindere dal valore strettamente pecuniario del pregiudizio arrecato – rivestono evidente gravità, in ragione delle mansioni di responsabilità affidate al dipendente, addetto alla vendita della merce aziendale e all’incasso dei relativi corrispettivi, tali da richiedere la sussistenza di un particolare vincolo fiduciario, irreparabilmente compromesso dall’accertata appropriazione”, ed altresì che “la mancata emissione degli scontrini, costituendo violazione della normativa fiscale ed esponendo la società alle relative conseguenze sanzionatorie, si pone già di per sé in rilevante contrasto con i doveri di diligenza propri della mansione affidata al dipendente”.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.M.P. articolando due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la Clean Service S.r.l..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunzia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 209 c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente ex art. 161 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5” ed in particolare si lamenta che i giudici di seconda istanza avrebbero erroneamente ammesso le prove testimoniali addotte dalla parte datoriale, respingendo la richiesta di prova documentale formulata dal dipendente, che, qualora fosse stata ammessa, avrebbe determinato un esito diverso del giudizio, favorevole al D.M.; a parere di quest’ultimo, la sentenza oggetto del presente giudizio e’, pertanto, “censurabile, quantomeno sotto il profilo della motivazione, non essendo giustificabile l’affermazione del Giudice di irrilevanza e non necessità di ammettere la prova richiesta dal lavoratore, posto che si trattava di acquisire una prova documentale che in alcun modo avrebbe rallentato il processo, né lo avrebbe gravato di attività istruttoria ed era sicuramente rilevante in quanto il riscontro contabile della merce, a differenza della prova testimoniale sicuramente di minor certezza, poteva definitivamente confermare o meno l’ipotesi del datore di lavoro”.

2. Con il secondo motivo si assume la “violazione dell’art. 55, del c.c.n.l., art. 360, comma 3 ccnl, e art. 2 e ss. Statuto dei lavoratori” e si deduce, testualmente: “Tale norma consente, al fine di garantire la sicurezza… del patrimonio aziendale di utilizzare sistemi di videosorveglianza, con esclusione di altri sistemi, quali l’utilizzo di “falsi clienti” non richiamati nel c.c.n.l.; i sistemi di videosorveglianza peraltro appaiono pienamente adeguati al controllo, considerando anche il riscontro della documentazione contabile, senza necessità di utilizzare agenti peraltro dichiaratamente non giurati con funzioni di controllo”. 1.1. il primo motivo – teso, all’evidenza a sollecitare un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede – è inammissibile sotto diversi e concorrenti profili; innanzitutto, la parte ricorrente, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non ha fornito specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); ed invero, nel caso in esame, manca la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure sollevate, dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011) e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria. Inoltre, i mezzi di impugnazione contengono la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonché di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre all’invocazione di non meglio precisati errores in procedendo, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, poiché nella parte argomentativa degli stessi non risulta possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo, tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008, 9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., S.U., nn. 17931/2013, 26242/2014).

Infine, le censure sono direttamente ancorate all’esame di documentazione – quale la bolla di carico e scarico merce – non prodotta, né indicata tra i documenti depositati con il ricorso di legittimità, né trascritta, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in spregio del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (tra le molte, con arresti costanti, Cass. n. 14541/2014), poiché il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013).

2.2. Anche il secondo motivo è inammissibile, poiché attiene ad una questione riguardo alla quale il ricorrente non specifica se sia stata sollevata in prima istanza e riproposta dinanzi allà Corte di merito e, dunque, appare nuova nel presente giudizio. Inoltre – e ad abundantiam -, la parte ricorrente neppure ha indicato sotto quale profilo le norme che si assumono violate sarebbero state incise, né ha specificato, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni, di fatto e di diritto, idonee a giustificare le censure, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

3. Pertanto, alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.250,00 per compenso professionale ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

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