LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 924-2019 proposto da:
INSTALLAZIONI IMPIANTI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 114, presso lo studio degli avvocati LUIGI MARIA CACCIAPAGLIA, e ANTONIO VALLEBONA, che la rappresentano e difendono;
– ricorrenti –
contro
R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO OJETTI 16, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA FEBBI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO BICARINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4620/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/12/2018 r.g.n. 2144/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità;
udito l’Avvocato LUIGI MARIA CACCIAPAGLIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma, accogliendo il reclamo presentato da R.M., ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede n. 4955/2018, resa il 12.6.2018, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al R. dalla Installazione Impianti S.p.A. il 30.5.2016 e, per l’effetto, lo ha annullato ed ha condannato la società alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e nelle mansioni precedentemente svolte, o in mansioni equivalenti, ed al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto in misura pari a dodici mensilità, con interessi legali sulla somma via via annualmente rivalutata, dalla maturazione di ogni spettanza al soddisfo e con l’aggiunta della regolarizzazione previdenziale ed assistenziale.
I giudici di seconda istanza, per quanto ancora di interesse in questa sede, hanno reputato che la sanzione espulsiva non potesse giustificarsi in presenza di “indizi labili (e in parte anche contraddittori)” e che, pertanto, il fatto contestato – “l’essersi introdotto il giorno ***** alle 6.20 nel cantiere di ***** ove operava la società, pur avendo un orario di lavoro decorrente dalle 7.30, e di avere caricato in macchina spezzoni di rame” fosse insussistente.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice Installazione Impianti S.p.a. sulla base di un motivo contenente più censure, ulteriormente illustrato da memoria, cui il R. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico mezzo di impugnazione articolato si denunzia la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., dell’art. 11Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere” i giudici di secondo grado “erroneamente affermato che gli indizi fondanti la presunzione non erano gravi, precisi e concordanti con motivazione contraddittoria ed obiettivamente incomprensibile”, essendo invece palese che gli indizi a disposizione della Corte di merito fossero gravi, precisi e concordanti, in quanto delibati dalle deposizioni dei testi escussi. Pertanto, a parere della società ricorrente, “e’ proprio la motivazione della sentenza impugnata che è contraddittoria e comunque obiettivamente incomprensibile, sicché lede l’art. 11 Cost., comma 6, e l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, come affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 7 aprile 2014 n. 8053”.
1.1. Il motivo – teso, nella sostanza a sollecitare una diversa ricostruzione ed interpretazione delle emergenze istruttorie rispetto a quella operata dai giudici di seconda istanza – non è meritevole di accoglimento. Ed invero, in ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (nella fattispecie, peraltro, congrua, condivisibile e scevra da vizi logici), alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunzi, in sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (cfr., ex multis, Cass. nn, 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009). Nel caso di specie, invero, come innanzi osservato, la contestazione sulla pretesa errata valutazione dei testi addotti da entrambe le parti si risolve in una richiesta di riesame di elementi di fatto e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe stata “contraddittoria e comunque obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. nn. 24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronunzia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014).
Infine, relativamente al lamentato vizio motivazionale (v. pag. 11 del ricorso), come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 4.12.2018, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denunzia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata.
2. Pertanto, alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, il ricorso va rigettato.
3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.250,00 per compenso professionale ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021