LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10814/2019 proposto da:
S.B., elettivamente domiciliato in Torino, via Guicciardini n. 3, presso lo studio dell’avv. Lorenzo TRUCCO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1651/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 19/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2020 da Dott. GENTILI ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 21 giugno 2017, il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto dalla difesa di S.B., cittadino *****, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino aveva respinto la domanda da quello presentata volta al riconoscimento della detta protezione.
Avverso tale provvedimento ha interposto appello il S. e la Corte di appello di Torino, con la sentenza oggi impugnata n. 1651 del 2018, pubblicata in data 19 settembre 2018, ha rigettato il gravame.
Propone ora ricorso per cassazione il richiedente, affidandolo a due motivi di impugnazione.
Il Ministero dell’interno, con atto del 21 agosto 2019, si è costituito al solo fine di essere informato della udienza di discussione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di appello torinese avrebbe contraddittoriamente rigettato la richiesta di audizione del ricorrente, sebbene abbia rilevato delle incongruenze nel racconto da questo fatto che avrebbero potuto essere oggetto di indagine ove la Corte avesse sentito il richiedente.
Con il medesimo motivo di ricorso la ricorrente difesa ha altresì osservato che la Corte di appello non ha ritenuto sussistere una situazione di generalizzato pericolo nella zona di provenienza del richiedente, cioè la regione del ***** denominata *****.
Con il secondo motivo di ricorso il S. ha lamentato il fatto che la Corte piemontese, in violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, non lo abbia ritenuto meritevole neppure della protezione umanitaria, in quanto, anche a volere considerare non caratterizzata da gravi e generalizzati conflitti interni la situazione esistente nella zona del *****, tuttavia in essa è presente un quadro di tutela dei diritti individuali che rende lontanissimo l’effettivo godimento delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana da parte del richiedente che ha, invece, dimostrato di avere conseguito, alla luce della raggiunte condizioni di indipendenza economica determinate da una stabile attività lavorativa un grado di radicamento nella società nazionale che, in caso di rimpatrio, andrebbe irrimediabilmente perduto.
I motivi di impugnazione si presentano come inammissibili.
Con riferimento al primo e con particolare riguardo alla richiesta di audizione personale di fronte alla Corte di appello, osserva il Collegio che la doglianza è inammissibile in radice, non avendo il ricorrente dimostrato, al di là della opportunità ovvero necessità di tale sua audizione di fronte alla Corte di appello, neppure di avere formulato istanza affinché la Corte distrettuale prendesse in considerazione una tale sua richiesta.
Quanto al secondo profilo del primo motivo di doglianza si osserva quanto segue:
il ricorrente ha riferito di avere lavorato, in qualità di contadino e bovaro, fino al 2012 presso i terreni detenuti dal padre; nel maggio di tale anno taluni soggetti, sorpresi dal padre del richiedente in quanto erano di notte entrati furtivamente nel recinto ove erano custodite le bestie, uccisero il padre dell’istante e si allontanarono con molte delle bestie della famiglia del S.; questi, temendo una ulteriore aggressione decise di allontanarsi dal paese di origine.
Sia il giudice di primo grado che la Corte di appello hanno ritenuto, a causa delle contraddizioni in cui egli sarebbe caduto, non attendibile il racconto del S., il quale non ha, peraltro contestato pienamente siffatto giudizio essendo in sede di gravame limitato a ribadire la situazione di pericolo in cui egli si troverebbe ove rientrasse nel paese di origine a causa della precarietà del sistema giudiziario *****.
Tale situazione di pericolo, al di là della scarsa credibilità del racconto del richiedente, pretenderebbe, per essere affermata, che fosse stata previamente accertata la condizione di generalizzata insicurezza della zona di sua provenienza; al riguardo, invece, si rileva come nella sentenza impugnata la Corte di Torino abbia, con motivazione ampiamente documentata sulla base elementi che si segnalano per la loro attualità, osservato che nella zona del *****, cioè quella di provenienza del ricorrente, non vi sia una situazione di conflitto interno ed internazionale caratterizzato da violenza indiscriminata tale da costituire una minaccia grave alla vita ovvero alla incolumità personale dell’appellante.
A fronte di tali puntuali argomenti, come detto sostenuti dalla indicazione delle fonti di riferimento da cui la Corte piemontese ha attinto le proprie conoscenze, il ricorrente si è limitato ad una generica contestazione.
Giova, a questo punto, richiamare il principio giurisprudenziale secondo il quale in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Corte di cassazione l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Corte di cassazione, Sezione I civile, 21 ottobre 2019, n. 26728, ord.).
La mancanza di tali richiami rende evidentemente inammissibile la censura.
Passando, a questo punto, all’esame del secondo motivo di censura, con il quale il ricorrente ha lamentato l’erroneità della applicazione normativa operata dalla Corte distrettuale ai fini del diniego del riconoscimento anche della protezione internazionale di tipo umanitario, rileva il Collegio la inammissibilità anche di tale doglianza.
Ed invero il ricorrente si è limitato a dedurre, con contestazione assolutamente generica, senza alcun concreto riferimento tanto alla situazione esistente nel ***** quanto alla propria personale condizione, il fatto che nella propria terra di origine non sarebbero garantiti i diritti fondamentali con la medesima pregnanza di quanto avviene in Italia; né, si rileva da ultimo, il ricorrente ha dimostrato, in realtà neppure prospettato, di essere portatore di quelle particolari condizioni di vulnerabilità personale che avrebbero potuto costituire il fondamento della sua richiesta di protezione umanitaria.
In definitiva il ricorso deve essere, per quanto sopra esposto, dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero dell’interno, intimato nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronunzia, va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione del ricorso, se dovuto.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021