Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27335 del 07/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17277/2019 proposto da:

K.T., elettivamente domiciliato in Roma Viale G Cesare 2 presso lo studio dell’avvocato Borsalino Massimiliano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giorcelli Fabrizio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura generale Dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 24/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2020 da Dott. GENTILI ANDREA.

RILEVATO

Che il Tribunale di Torino con decreto n. 2782 del 2019 del 24 aprile 2019, ha respinto l’impugnazione proposto da K.T., cittadino *****, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino Sezione di Novara del 9 aprile 2018, a quello notificato in data 14 settembre 2018, con il quale era stata negata al richiedente asilo il riconoscimento dello status di rifugiato politico nonché le altre forme di protezione internazionale;

che il ricorrente, di dichiarata religione mussulmana, ha riferito di non potere rientrare nello Stato di origine poiché – oltre ad essere stato ivi coinvolto in un conflitto a fuoco nel corso del quale avrebbe riportato una ferita alla gamba, evento questo, peraltro, indicato solo in sede di ricorso giurisdizionale e non anche di fronte alla Autorità amministrativa, – essendo fuggito da esso dopo che la sua fidanzata era stata da lui “messa incinta”, era timoroso del fatto che il padre di costei, a lui ostile, possa fargli del male;

che a sostegno della propria decisione di rigetto della impugnazione del provvedimento reso dalla competente Commissione territoriale, il Tribunale di Torino ha osservato, preliminarmente, che non vi era la necessità di ascoltare direttamente il richiedente, che la documentazione medica da lui prodotta non comprovava che la ferita da arma da fuoco, i cui esiti egli aveva documentato, gli fosse stata procurata nel paese di origine, che il racconto del richiedente presentava profili di inattendibilità dovuti alle contraddizioni insite in esso, che comunque non vi erano gli elementi per il riconoscimento della protezione sussidiaria, che, infine, neppure era possibile riconoscere la protezione di carattere umanitario, non venendo in discussione questioni attinenti alla tutela di beni primari né avendo il richiedente con la, sia pur irrituale in quanto tardiva produzione documentale, fornito elementi tali da ritenere l’avvenuta sua integrazione sociale sul territorio dello Stato italiano.

che contro la sentenza del Tribunale è stato proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi di impugnazione;

che resiste alla domanda del ricorrente il Ministro dell’interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con controricorso del 1 luglio 2019, concludendo nel senso della inammissibilità o comunque della infondatezza della impugnazione.

CONSIDERATO

Che il ricorsò è inammissibile;

che, osserva il Collegio, con il primo motivo di impugnazione la ricorrente difesa ha censurato la motivazione del provvedimento impugnato, sostenendo che essa fosse stata omessa ovvero fosse insufficiente o contraddittoria in relazione ad un punto decisivo della controversia, in specie in ordine alla inesistenza nel territorio di provenienza del richiedente delle condizioni che, essendo invece sussistenti, ad avviso del ricorrente legittimerebbero il riconoscimento della protezione internazionale in suo favore;

che il motivo di ricorso è inammissibile, atteso che esso non appare confrontarsi con la effettiva motivazione del provvedimento impugnato, per mezzo della quale sono state rappresentate due distinte rationes che hanno indotto il Tribunale di Torino ad escludere il riconoscimento del beneficio della protezione internazionale;

infatti, per un verso il giudice del merito ha rilevato che la situazione esistente nel territorio di provenienza del ricorrente è sostanzialmente tranquillizzante, indicando specificamente le fonti da cui ha tratto tale convinzione, mentre, per altro verso, ha evidenziato gli elementi in base ai quali ha espresso un giudizio di inattendibilità in merito al complessivo racconto fatto dal richiedente;

che, a fronte di tale articolata motivazione, le doglianze formulate dal ricorrente si palesano del tutto generiche ed incomplete, avendo il ricorrente trascurato del tutto di contestate il giudizio di inattendibilità espresso la Tribunale piemontese ed essendosi limitato a generiche ed indimostrate affermazioni in ordine alla permanenza di condizioni di insicurezza nella zona del *****, il Casamance, da cui l’uomo proviene;

che con il secondo motivo di censura la ricorrente difesa si è lagnata in quanto il Tribunale di Torino, a suo avviso facendo cattivo uso dei principi normativi ed in ogni caso con motivazione non adeguata, non avrebbe ritenuto che il ricorrente, stante la sua condizione di lavoratore agricolo in Italia, sarebbe portatore di quelle ragioni, legate alla autonomia sociale ed economica raggiunta nel nostro Paese, tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria;

che anche questo motivo è inammissibile, posto che esso impinge in una valutazione di merito operata dal Tribunale, che ha ben tenuto presente – ancorché la stessa sia stata depositata tardivamente dopo che la fase istruttoria del giudizio si era conclusa ed il processo già era stato rimesso al Collegio – la documentazione attestante lo svolgimento dal parte del K. di un’attività di bracciante agricolo ma ha, tuttavia ritenuto, con ampia e congrua motivazione, che la stessa non fosse dimostrativa dell’avvenuto conseguimento da parte del richiedente di una stabilità economica e di un radicamento nel territorio nazionale tale da giustificare la richiesta protezione, e che, in ogni caso, il richiedente non ha dimostrato – essendo egli stato ritenuto non attendibile quanto alla informazioni rese sul proprio trascorso in ***** – di essersi trovato nel proprio paese di origine in una situazione di privazione dei diritti umani, cui sarebbe nuovamente esposto in caso di rientro in patria;

che, trattandosi di rilievi, adeguatamente argomentati, afferenti al merito delle questioni sollevata dal richiedente, gli stessi non sono suscettibili di un riesame in sede di merito;

che, pertanto, il ricorso è inammissibile;

che l’avvenuta costituzione con controricorso del Ministero intimato e la soccombenza del ricorrente legittimano la condanna di questo alla rifusione delle spese di difesa nei confronti del detto ministero, liquidate come da dispositivo;

che, stante il tenore della pronunzia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione della impugnazione, se dovuto.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti del Ministero dell’interno, liquidandole in complessivi Euro 2.100.00, oltre accessori;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

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