LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15670/2016 proposto da:
B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ARDIZZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANNI LIVIO LAGO;
– ricorrente –
contro
G.M., C.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO GIOIOSO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati VALENTINA FUSINA, FABIO VIAL;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1320/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 18/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31/03/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.
FATTI DI CAUSA
G.M. e C.S. ebbero ad avviare, avanti il Tribunale di Bassano del Grappa, causa contro B.S. per sentir confermare il provvedimento d’urgenza, ex art. 700 c.p.c., adottato dal Pretore di Bassano in ordine all’igiene dell’allevamento condotto dal B. e per aver ristorati i danni patiti in conseguenza dell’azione illecita avversaria.
Resistette il B. contestando la fondatezza delle domande dei consorti G. – C. e proponendo domanda riconvenzionale afferente il mancato rispetto della distanza legale in relazione agli edifici eretti sul fondo degli attori. Ad esito della trattazione il Tribunale bassanese ebbe a confermare il provvedimento adottato per la salvaguardia dell’igiene ed a liquidare il danno patito dagli attori, mentre rigettò la domanda riconvenzionale esposta dal convenuto.
Il B. propose gravame avanti la Corte d’Appello di Venezia avverso tutte le statuizioni assunte dal primo Giudice e, resistendo i consorti G. – C., i Giudici marciani rigettarono l’impugnazione.
Osservava il Collegio lagunare come la normativa regionale del Veneto, invocata dal B. a sostegno della sua domanda riconvenzionale, non trovava applicazione nella specie e perché emanata successivamente alle edificazioni realizzate dalle parti e perché afferente gli allevanti qualificati siccome intesivi, mentre quello dell’appellante non lo era.
Inoltre la Corte serenissima rilevava come l’insalubre invasione di ditteri, lamentata dagli appellati, era stata confermata dagli accertamenti svolti dal consulente tecnico ed era collegata direttamente all’inosservanza di apposite norme igieniche dettate per la conduzione d’allevamento di animali.
Infine la Corte lagunare rilevava l’inapplicabilità della norma ex art. 844 c.c., comma 2 – invocata dal B. -, poiché la prevenzione era a favore dei consorti C. – G. che avevano ristrutturato gli annessi rustici esistenti sul loro predio già nel 1985, mentre l’allevamento era stato realizzato appena con concessione edilizia del 1986.
Avverso detta sentenza il B. ha interposto ricorso per la cassazione articolato su quattro motivi, illustrato con nota difensiva.
I consorti C. – G. resistono con controricorso, illustrato con memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso mosso dal B. s’appalesa privo di pregio giuridico e va rigettato.
Con il primo mezzo d’impugnazione, il ricorrente denunzia violazione delle norme ex art. 873 c.c., in relazione alla Delib. Giunta Regionale Veneto 22 dicembre 1989, poiché la Corte serenissima ha ritenuto non rilevante nella specie la normativa in tema di distanze da allevamenti delle nuove costruzioni ad uso abitativo.
Difatti, osserva il ricorrente, gli stabili esistenti sul fondo dei resistenti ottennero l’agibilità, quali fabbricati ad uso artigianale ed abitativo solo nel 1998 ed in sanatoria, sicché l’intervento edilizio deve considerarsi posto in essere dopo l’entrata in vigore della direttiva regionale e, non già, in momento antecedente come erroneamente ritenuto dalla Corte veneta.
Inoltre, osserva il B., erroneamente i Giudici marciani hanno ritenuto rilevante la qualificazione del suo allevamento siccome non di natura intensiva posto che la disciplina in tema di distanze, portata nel provvedimento regionale, è relativa agli allevamenti senza alcuna distinzione correlata alle loro caratteristiche produttive.
Conclude il ricorrente rilevando come la Corte serenissima non ha tenuto conto degli accertamenti effettuati dal consulente tecnico circa la priorità dell’esistenza della stalla, da lui eretta nel 1986, rispetto agli edifici esistenti sul fondo dei resistenti, che ottennero l’agibilità solo successivamente.
La censura mossa risulta priva di fondamento proprio in forza dell’affermazione giuridica presente nell’arresto del Tar Veneto n. 3918/03, evocato dal B. a sostegno della sua argomentazione critica e ritrascritto per parte nel ricorso.
Difatti il Giudice amministrativo nell’arresto citato sottolinea come la norma in tema di distanze tra case d’abitazione ed allevamenti portata nella citata Delib. Giunta del Veneto è “chiaramente volta a prescrivere una distanza di sicurezza sotto il profilo igienico-sanitario e non edilizio)”.
Di conseguenza va osservato come le disposizioni portate nel D.G.R. Veneto del 1989 evocata non sono dunque norme integrative della disposizione ex art. 873 c.c., essendo tese a disciplinare, anche sotto il profilo igienico sanitario, l’attività dell’impresa agricola dedita all’allevamento – Cass. sez. 2 n. 5605/19, Cass. sez. 2 n. 16094/05 – e non anche l’attività edilizia, in relazione alla quale il disposto ex art. 873 c.c., opera richiamo ai regolamenti locali.
Pertanto la Corte marciana ha erroneamente argomentato come se effettivamente detto provvedimento regionale portasse disposizioni aventi funzione integrativa della norma dedotta siccome violata; tuttavia la statuizione cui è giunta è corretta, sicché questa Corte può, ex art. 384 c.p.c., comma 2, procedere alla correzione della motivazione in diritto.
Con la seconda ragione di doglianza il B. deduce violazione del disposto ex art. 873 c.c., in relazione al P.R.G. del Comune di Rosà poiché applicabile la sola distanza di metri 50 da allevamenti esistenti degli stabili da erigere sui terreni limitrofi in quanto applicabile, secondo il principio di reciprocità, la medesima distanza fissata in relazione al posizionamento delle stalle ad almeno 50 metri dalle abitazioni.
Anche detta censura risulta priva di fondamento per la medesima ragione illustrata in relazione al primo mezzo di impugnazione ossia lo stesso ricorrente fonda il principio di reciprocità, posto alla base del suo ragionamento critico – la norma regolamentare comunale risulta specifica per la sola costruzione delle stalle – sulla finalità igienico-sanitaria perseguita dalla norma in assonanza con la direttiva della Giunta regionale evocata nel primo motivo d’impugnazione. Pertanto l’estensione della disposizione anche alle case di abitazione, superando mediante opzione interpretativa, la positiva prescrizione del P.R.G. comunale, ricordata dalla Corte marciana, non rientra nella disposizione ex art. 873 c.c., poiché come dianzi ricordato il provvedimento regionale non ha natura integrativa della disposizione codicistica.
Con il terzo mezzo d’impugnazione il B. deduce omesso esame di fatto decisivo individuato nella distanza, rilevata dal consulente, esistente tra la costruzione, in cui è sito il suo allevamento, ed il rustico ad uso magazzino allogato sul fondo dei resistenti, in quanto inferiore al limite posto dal P.R.G. di Rosà.
Con la quarta ragione di doglianza – proposta in via subordinata rispetto alla terza censura – il ricorrente denunzia nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione ex art. 132 c.p.c., in relazione alla sua domanda di riduzione in pristino del rustico condonato esistente sul terreno dei resistenti e collocato a distanza inferiore rispetto a quella prescritta dal Comune di Rosà.
Le due censure possono esser trattate unitariarnente, stante che attengono alla medesima questione e sono proposte in via gradata l’una rispetto all’altra, e sono prive di fondamento.
Difatti l’assunto sotteso ad entrambe le censure, ossia che la Corte marciana non ebbe a valutare il fatto che il rustico avversario ad uso magazzino è collocato a distanza inferiore a quella ritenuta applicabile dalla stessa Corte di merito – mt 30 -, rimane contraddetto dalla statuizione puntuale assunta in punto motivo di gravame circa l’applicazione del disposto ex art. 844 c.c., comma 2.
Difatti il Collegio lagunare ha puntualizzato, esaminando la ricordata censura mossa dal B., come la concessione edilizia per eseguire i lavori sugli annessi rustici dei consorti C. – G. fu rilasciata nel 1985, mentre la concessione afferente i lavori di erezione della stalla del B. data 1986.
Di conseguenza la Corte territoriale ha ritenuto che la priorità dell’uso in relazione a detto edificio era da individuarsi in capo agli odierni resistenti.
Detto accertamento in tema di applicazione dell’art. 844 c.c., comma 2, non risulta attinto da specifica ragione di impugnazione, sicché il fatto, del quale è dedotta l’omessa valutazione risulta puntualmente apprezzato dai Giudici lagunari con apposita motivazione.
Al rigetto del ricorso segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione in favore dei consorti C. – G., in solido fra loro, delle spese di questo giudizio di legittimità, tassate in globali Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense.
Il ricorrente è tenuto, poiché rigettato il suo ricorso, a pagare l’ulteriore contributo unificato, ove dovuto.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei consorti G. – C., in solido fra loro, delle spese di questo procedimento di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense liquidato nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021
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