LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1140-2020 proposto da:
INPS, – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato MAURO SFERRAZZA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIA PASSARELLI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;
– ricorrente –
contro
C.A., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE FERRARA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3926/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata l’08/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
CHE:
1. con sentenza 8 luglio 2019, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello dell’Inps avverso la sentenza di primo grado di reiezione della sua opposizione all’ingiunzione di C.A. di pagamento in proprio favore, con decreto del Tribunale di Napoli Nord, della somma di Euro 8.159,60 per T.f.r. maturato alle dipendenze della s.a.s. De Nigris di L.V.;
2. come il Tribunale, anch’essa riteneva integrati i presupposti (di esperimento di una procedura esecutiva, per la non assoggettabilità a fallimento del datore di lavoro) del diritto azionato dal lavoratore, avendo egli tentato inutilmente una procedura (con infruttuoso esperimento di un pignoramento presso terzi il 7 luglio 2009 in virtù di precetto intimato il 25 maggio 2009) e successivamente presentato istanza di fallimento, rigettata con decreto del Tribunale di S. Maria Capua Vetere con decreto 24 febbraio 2012; essendo quindi risultata, alla data di presentazione di domanda all’Inps (28 dicembre 2012), la cancellazione della società dal registro delle imprese dal 16 aprile 2008;
3. con atto notificato il 23 (27) dicembre 2019, l’Istituto ricorreva per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., cui il lavoratore resisteva con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. il ricorrente deduce violazione dell’applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 1, 2 e 5 in riferimento agli artt. 2313 e 2740 c.c., per erroneo riconoscimento del diritto del lavoratore alla percezione del T.f.r. dal Fondo di garanzia, pur non avendo egli esperito le debite procedure esecutive anche nei confronti del socio accomandatario, coobbligato solidale e illimitatamente responsabile (unico motivo);
2. esso è inammissibile;
3. secondo insegnamento consolidato di questa Corte, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982 in favore dei lavoratori per il pagamento del T.f.r., in caso di insolvenza del datore di lavoro, ove quest’ultimo, pur assoggettabile al fallimento, non lo possa in concreto per aver cessato l’attività da oltre un anno, è ammissibile un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, ai sensi dell’art. 2, comma 5, L. cit., purché il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione forzata, salvo che risulti l’esistenza di altri beni aggredibili con l’azione esecutiva (Cass. 1 luglio 2010, n. 15662; Cass. 20 novembre 2017, n. 27467); ed è stato più recentemente ritenuto che l’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per la realizzazione dei crediti di lavoro nei confronti del datore di lavoro inadempiente, che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali, risponda ad un’esigenza di socializzazione del rischio da inadempimento e da insolvenza che pone a carico dell’ente previdenziale, cui spetta il diritto di surroga, i rischi connessi alla procedura di recupero del credito, essendo subordinato all’assolvimento, da parte del lavoratore, dell’onere di agire in executivis nei confronti del datore di lavoro secondo un criterio conformato, nei tempi e nei modi, alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva individuale: con la conseguenza che il lavoratore non è tenuto ad esperire l’esecuzione in tempi prestabiliti, ma solo al rispetto di quelli relativi al procedimento previdenziale, potendo limitarsi ad intraprendere una delle possibili forme di esecuzione, con l’onere, in caso di esito infruttuoso di quella prescelta, di compiere ulteriori attività di ricerca dei beni solo allorché si prospetti la possibilità di una nuova esecuzione fruttuosa e ragionevole. Tale ultima ipotesi, escluso un onere indistinto di ricerca di beni o di condebitori, si verifica, dal punto di vista oggettivo, in presenza di beni che risultino dagli atti agevolmente aggredibili, senza un particolare dispendio economico e temporale e, dal punto di vista soggettivo, in presenza di altri condebitori solidalmente e illimitatamente responsabili oppure, in caso di soci limitatamente responsabili di una società di capitali cancellata ed estinta, allorché risulti positivamente dimostrato che tali soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. 7 luglio 2020, n. 14020);
4. la Corte partenopea ha applicato i suenunciati principi di diritto, con diffuso richiamo di pertinenti precedenti di legittimità (dall’ultimo capoverso di pg. 2 al primo di pg. 4 della sentenza): sicché, non si configura la violazione di legge denunciata, integrata, come è noto, dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; diversa essendo invece l’ipotesi di allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non ricorrente;
4.1. nel caso di specie, la Corte di merito ha piuttosto accertato essere documentato che “il lavoratore, con altri dipendenti ha dapprima intrapreso la procedura esecutiva… senza alcun utile risultato;… quindi ha presentato ricorso per fallimento… dichiarato improcedibile… Ebbene alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza sopra esposti… devesi ritenere sufficiente l’avvenuto esperimento da parte del lavoratore di una procedura esecutiva individuale conclusasi con esito interamente o parzialmente infruttuoso senza che sia necessario il compimento di ulteriore attività…” (così al secondo e terzo capoverso di pg. 4 della sentenza);
4.2. tale accertamento in fatto, in corretta applicazione, come detto, dei principi di diritto regolanti la materia e congruamente argomentato, non è stato specificamene censurato dall’Istituto ricorrente, con una puntuale confutazione della ritenuta esaustività dell’attività esecutiva esperita dal lavoratore, indicando ulteriori attività di ricerca di beni, nella prospettiva di una nuova esecuzione fruttuosa e ragionevole concretamente praticabile dal lavoratore, secondo un onere di diligenza ordinariamente esigibile nel suo esercizio;
4.3. sotto il profilo illustrato il motivo risulta pertanto generico, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa confutazione, tanto meno specifica, della puntuale argomentazione della Corte territoriale (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845; Cass. 18 novembre 2020, n. 26277): ciò che comporta l’inammissibilità del ricorso, pertanto da dichiarare, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta, nonché raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Inps alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021