LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36924/2019 proposto da:
I.O.U., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3529/2019 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata in data 27/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/1/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
Che:
I.O.U., cittadino nigeriano, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso dalla comunità locale per ragioni di carattere religioso;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento I.O.U. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ricorso dinanzi al Tribunale di Roma, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza del 1/12/2017;
tale provvedimento, appellato dal soccombente, è stato confermato dalla Corte d’appello di Roma con sentenza depositata in data 27/5/2019;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della sostanziale inattendibilità del racconto di vita del richiedente asilo; 2) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;
il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da I.O.U. con ricorso fondato su tre motivi, illustrati da successiva memoria;
il Ministero dell’interno non ha svolto difese in questa sede.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’istanza di riforma del provvedimento di diniego della sospensione dell’efficacia dell’ordinanza con la quale il tribunale ha rigettato la domanda di protezione internazionale, in contrasto con il dettato del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 4, che prevede l’automatica sospensione della decisione di primo grado fino alla definitiva conclusione del giudizio sulla domanda di protezione internazionale;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la censura in esame abbia ad oggetto l’impugnazione di un’omessa pronuncia, da parte della corte d’appello, su un’istanza di sospensione della decisione di primo grado: decisione (quella asseritamente omessa da parte del giudice d’appello), in relazione alla quale non è prevista alcuna forma di ricorso dinanzi al giudice di legittimità, atteso il carattere meramente processuale della stessa, estranea all’ambito di applicazione dell’art. 111 Cost. e di per sé insuscettibile di determinare alcuna forma di giudicato;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b); D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c), nonché per omesso esame del certificato di appartenenza alla Chiesa cristiana avventista del settimo giorno (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente valutato l’esercizio, da parte del giudice di primo grado, dei relativi doveri di cooperazione istruttoria, avendo entrambi i giudici di merito trascurato, nel decidere sulla domanda diretta al riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), di procedere all’esame delle dichiarazioni rese dall’interessato nel corso del procedimento, nel rispetto dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed avendo altresì trascurato di integrare la valutazione di dette dichiarazioni con la complessiva valutazione delle condizioni e della situazione socio-politica del paese di provenienza, con particolare riguardo all’idoneità delle istituzioni locali di tutelare l’interessato dai soggetti privati cui ebbe a risalire la minaccia alla vita e all’integrità fisica del richiedente;
il motivo è fondato;
occorre preliminarmente rilevare come la censura in esame attenga esclusivamente all’indagine concernente il ricorso dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), tanto desumendosi dagli inequivoci richiami comparenti nell’intestazione del motivo, nonché dalla successiva illustrazione della censura (segnatamente in relazione a quanto espressamente si afferma a pagg. 8 ss. del ricorso), con il conseguente apprezzamento della credibilità del ricorrente con specifico riferimento alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della forma di protezione sussidiaria specificamente indicata (cfr. pagg. 11 e ss. del ricorso);
ciò posto, osserva il Collegio come la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);
detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);
in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sé assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;
rimane in ogni caso fermo come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non sia affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente’ (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, nel trattare della questione (allo stesso devoluta) relativa alla credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, si è limitato ad affermare che “il primo giudice ha proceduto all’audizione personale del ricorrente ed ha, quindi, pronunciato su elementi acquisiti direttamente, respingendo la domanda per carenza dei requisiti previsti dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra, ritenendo che la vicenda narrata apparisse poco credibile. Il giudice di primo grado, non ha omesso di decidere sulle istanze istruttorie atteso che il ricorrente non ha reiterato, in udienza, alcuna richiesta istruttoria e non ha mai indicato alcun nominativo di teste da escutere. Ne consegue che, correttamente, il giudice ha ritenuto che la vicenda non fosse tale da far ritenere che il rientro del richiedente asilo nel paese di origine lo avrebbe esposto al pericolo di essere perseguitato per motivi di razza, religione e nazionalità. (…) Peraltro, la vicenda narrata dal richiedente, relativa alle minacce di morte subite, da prima dagli abitanti del suo villaggio, e poi, a Madjuguri, dalla comunità musulmana, non presenta alcuna connessione con il clima politico della zona di provenienza e assume connotazioni di carattere prettamente personale ed esula, senza dubbio, anche dei presupposti generali di cui al D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 14, al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria” (pag. 3 della sentenza impugnata);
tale motivazione deve ritenersi radicalmente inidonea a giustificare, in modo legittimo, l’affermata inattendibilità del ricorrente, trattandosi dell’esposizione di argomentazioni del tutto assertorie e, dunque, meramente apparenti, tanto in relazione alla credibilità in sé del dichiarante, quanto con riferimento alle specifiche situazioni di fatto allegate dall’istante;
osserva, pertanto, il Collegio, come il giudice a quo abbia inammissibilmente trascurato di estendere la propria considerazione all’insieme delle dichiarazioni del ricorrente e di procedere all’esame dell’impegno dell’interessato eventualmente profuso nel fornire tutte le informazioni a sua disposizione ai fini del giudizio;
in particolare, varrà considerare come la corte territoriale abbia propriamente trascurato di circostanziare e articolare la valutazione di credibilità del richiedente in rapporto a ciascuno dei parametri di attendibilità dichiarativa sul cui necessario rilievo insiste la disposizione imperativa di cui al D.Lgs. n. 51 del 2008, art. 3, comma 5, finendo col porsi in evidente contrasto con i canoni di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale espressamente raccomandati dalla legge e, più in generale, con la struttura “procedimentale” e “comprensiva” del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle stesse dichiarazioni;
in forza di tali premesse, le lacune indicate devono ritenersi tali da riflettersi inevitabilmente sulla legittimità della motivazione in thema dettata dal giudice di merito, atteso che il mancato rispetto del “modello legale di lettura” delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo vale a escludere l’avvenuta giustificazione, in modo legalmente adeguato, del giudizio di inattendibilità così espresso dal giudice di merito;
varrà, peraltro, rilevare l’ulteriore fondatezza della censura sollevata in questa sede con riguardo alla trascurata considerazione, da parte dei giudici di merito, della situazione socio-politica del paese di provenienza del ricorrente, con particolare riguardo all’idoneità delle istituzioni locali a fronteggiare le gravi minacce di morte dallo stesso asseritamente subite, là dove di dette minacce se ne intenda ritenere verosimile il ricorso, giudicandole estranee (come espressamente riferito dalla corte d’appello) ai casi di grave danno alla persona rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;
sul punto, è appena il caso di sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);
in forza di tali premesse, in accoglimento della censura in esame, dovrà provvedersi alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, con la conseguente necessità di procedersi al riesame della domanda avanzata dal ricorrente, con particolare riguardo al chiesto riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b);
col terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tener conto delle condizioni di criticità sociale e istituzionale del paese di provenienza, nonché della significativa rilevanza, a tali fini, del periodo trascorso in Libia, paese di transito;
l’accoglimento del secondo motivo – concernente l’affermazione dell’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) – vale ad assorbire la rilevanza dell’esame del terzo motivo, avanzato con riguardo al mancato riconoscimento della protezione umanitaria;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del secondo motivo (dichiarato inammissibile il primo ed assorbito il terzo), dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, a cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, con riferimento al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b); dichiara inammissibile il primo; dichiara assorbito il terzo; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021