Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27421 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24171/2019 proposto da:

B.I., elettivamente pomiciato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI, 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 914/2019 della CORTE D’APPELLO Di Venezia, depositata il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO che:

1. B.I., cittadino del Senegal, impugnava innanzi alla Corte d’appello di Venezia l’ordinanza del 3 luglio 2017, con cui il Tribunale di Venezia aveva rigettato la domanda di protezione internazionale e, in subordine, umanitaria. A sostegno della domanda, davanti alla Commissione territoriale – con dichiarazioni poi confermate innanzi al Tribunale – il richiedente aveva narrato di avere lasciato il proprio paese perché dei ribelli, dopo avere rubato dei capi di bestiame della sua famiglia ed ucciso suo fratello, avevano tentato di arruolarlo nella “ribellione”, aggregandolo forzatamente al gruppo.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 11 marzo 2019, n. 914, ha respinto il gravame perché manifestamente infondato, confermando l’ordinanza impugnata, e ha revocato l’ammissione del richiedente al patrocinio a spese dello Stato.

2. Avverso la decisione della Corte d’appello di Venezia B.I. propone ricorso per cassazione.

Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in sette motivi.

1. I primi tre motivi sono tra loro complementari e sono congiuntamente trattati dal ricorrente:

a) il primo motivo contesta “motivazione apparente e conseguente nullità in relazione alla dedotta non credibilità della vicenda personale, violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4”;

b) il secondo motivo denuncia “violazione o falsa applicazione” del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1-bis, “nella valutazione delle dichiarazioni del ricorrente e per omessa collaborazione nell’accertamento dei fatti”;

c) il terzo motivo fa valere “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” in relazione “alla dedotta non credibilità della vicenda personale, travisamento della prova”.

I tre motivi non possono essere accolti. Ad avviso del ricorrente il giudizio di non credibilità reso dal Tribunale e “pedissequamente” confermato dalla Corte d’appello sarebbe privo di motivazione, si porrebbe in contrasto con i criteri interpretativi delle dichiarazioni del ricorrente stabilite dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e sarebbe ulteriormente viziato dalla mancata collaborazione istruttoria. Iniziando dal primo profilo, gli argomenti addotti dalla Corte d’appello in relazione alle dichiarazioni del ricorrente assolvono l’obbligo di motivazione di cui all’art. 111 Cost. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 8038/2018), non sono poi violati (secondo profilo) i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, avendo la Corte rilevato la contraddittorietà e non plausibilità di quanto narrato dal ricorrente; né assume portata decisiva la mancata menzione nella motivazione della rassegna di articoli della stampa locale (v. p. 27 del ricorso), così come non decisiva è l’erronea – ad avviso del ricorrente – affermazione della Corte della duplice fuga dal campo di reclutamento, dovendosi la seconda fuga intendersi, sempre secondo il ricorrente, come allontanamento dalla casa della sorella.

2. Tra loro complementari sono poi il quarto e il quinto motivo che, rispettivamente, contestano “erronea applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” e “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” in relazione “ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, omesso esame dell’elevato percorso di integrazione in Italia”.

I motivi non possono essere accolti. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia “telegraficamente” considerato la situazione della Casamance, senza considerare il percorso di integrazione in Italia, essendo il ricorrente impegnato in un tirocinio formativo professionalizzante (e retribuito) presso un ristorante di Treviso.

I motivi non possono essere accolti. Se è vero che la Corte d’appello non ha, in motivazione, fatto riferimento al tirocinio svolto dal ricorrente presso un ristorante di Treviso, si tratta di un fatto che, così come prospettato dal ricorrente, non ha carattere decisivo, non essendo sufficiente a configurare una compiuta integrazione nel nostro Paese.

3. Esposti insieme dal ricorrente sono il sesto e il settimo motivo che fanno valere “erronea applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, art. 122, art. 126, comma 1 e art. 136” e “nullità della motivazione per mera apparenza nella parte relativa alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato”: l’effettività del diritto di accesso alla giustizia comporterebbe che la decisione di revocare il patrocinio a spese dello Stato non possa risolversi in un mero richiamo alla decisione negativa sul merito, ma debba “espressamente indicare gli elementi in fatto e in diritto che consentano di ravvisare malafede o colpa grave nel ricorso in giudizio”.

I motivi sono inammissibili. Alla luce della sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 4315 del 2020, va infatti affermato che il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato (sia con separato decreto che all’interno del provvedimento di merito), “deve essere sempre considerato autonomo e di conseguenza soggetto a un separato regime di impugnazione ovvero l’opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15; contro tale provvedimento è ammesso il ricorso ex art. 111 Cost., mentre è escluso che della revoca irritualmente disposta dal giudice del merito possa essere investita la Corte di cassazione in sede di ricorso avverso la decisione” (così Cass. 16117/2020).

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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