Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27423 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24630/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’avvocato ORNELLA FIORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 628/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO Che:

1. M.S., cittadino della Nigeria, impugnava innanzi alla Corte d’appello di Torino il provvedimento con cui il Tribunale di Torino aveva rigettato la sua domanda di protezione sussidiaria ovvero, in subordine, umanitaria. A sostegno della domanda, aveva dichiarato di aver ricevuto delle minacce di morte da parte degli affiliati di una società segreta (*****) cui apparteneva il padre società alla quale si era rifiutato di appartenere in quanto di religione cristiana – e di avere causato accidentalmente la morte di una persona; temendo di essere ucciso dagli affiliati della società segreta ovvero dai parenti dell’ucciso, aveva quindi abbandonato la Nigeria.

2. Avverso la decisione del Tribunale di Torino M.S., propone ricorso per cassazione.

Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in cinque motivi:

1) Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, art. 16 direttiva 2013/32/UE, per la falsa applicazione delle norme di diritto concernenti l’omessa audizione personale del richiedente.

Il motivo non può essere accolto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poiché l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa” (Cass. 8931/2020). Nel caso in esame la Corte d’appello, nel rigettare l’istanza di audizione, ha comunque precisato che il richiedente non aveva rappresentato il sopraggiungere di circostanze o fatti nuovi e neppure l’esistenza di eventuali imprecisioni o inesattezze riportate dalla Commissione nella verbalizzazione.

2) Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono unitariamente trattati dal ricorrente:

a) il secondo motivo contesta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, art. 16 direttiva 2013/32/UE, a fronte della falsa applicazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente;

b) il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame della documentazione proveniente dal ricorrente, decisiva per la valutazione della sua credibilità;

c) il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c, art. 6, commi 1 e 2, 14 e segg., con specifico riguardo all’esistenza di un dovere di attivazione della protezione delle autorità statuali nel paese d’origine quale presupposto necessario al riconoscimento della protezione internazionale.

I motivi non possono essere accolti. Quanto al secondo motivo va rilevato che la Corte d’appello ha esaminato le dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione, seguendo i criteri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare sottolineando l’incoerenza e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese (v. pp. 4 e 5 del provvedimento impugnato). In relazione all’inosservanza del dovere di cooperazione istruttoria il motivo non considera il giudizio di non credibilità del racconto del ricorrente formulato dalla Corte d’appello, giudizio di credibilità che, come si è appena detto non è inficiato dai vizi denunciati. Quanto infine all’omesso esame di documenti (due fotografie, una dichiarazione giurata del fratello e la denuncia presentata alla polizia locale sempre dal fratello, v. p. 12 del ricorso), tali documenti non appaiono di per sé decisivi, e d’altro canto il ricorrente nel motivo non offre alcuna argomentazione in relazione alla loro decisività.

3) Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per la violazione dei criteri legali per la concessione della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile. Circa il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, è infatti necessaria un’adeguata integrazione sociale in Italia (cfr. Cass. 4455/2018) e al riguardo la Corte d’appello ha rilevato che il ricorrente non aveva censurato le motivazioni del diniego date dal giudice di primo grado. L’affermazione della Corte è contestata dal ricorrente che rileva come, “anche attraverso produzioni documentali effettuate nell’ambito del secondo grado di giudizio”, aveva fornito prova del suo positivo percorso di integrazione in Italia. Il motivo si limita però ad indicare alla nota n. 31 che si tratterebbe dei documenti da c) ad f) del fascicolo di parte relativo al grado di appello, senza dire nulla circa il contenuto di tali documenti, così da non fornire a questa Corte gli elementi per valutare la pertinenza e decisività degli stessi.

II. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, in quanto il controricorso del Ministero, per la sua aspecificità, non essendo chiaramente riferibile alla vicenda in esame, non presenta i requisiti minimi di cui all’art. 370 c.p.c..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater , i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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