LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4104/2017 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
B.A., rappresentato e difeso dall’avv.to Alessandro Barretta, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Priscilla n. 128, giusta procura speciale allegata al controricorso;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 4320/20/16 della Commissione tributaria Regionale del Lazio (di seguito, CTR), depositata in data 04/07/2016 e non notificata;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita d’Angiolella nella Camera di consiglio del 28 settembre 2021;
udito per la controricorrente l’avv.to Barretta Alessandro che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza in epigrafe, la CTR del Lazio ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza della CTP di Roma n. 4320/20/16 del 4 luglio 2016, che aveva accolto il ricorso del contribuente, B.A., avverso l’avviso di accertamento n. *****, per l’anno 2008, con il quale l’Ufficio aveva rideterminato, con metodo sintetico, ai fini IRPEF e relative addizionali, un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato dal contribuente.
2. La CTR, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, ha ritenuto che in seguito alle modifiche intervenute per effetto dello ius superveniens di cui al D.L. n. 78 del 2010, che aveva modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, non era più consentita la spalmatura degli incrementi patrimoniali negli anni precedenti dovendosi imputare l’intera spesa nell’anno di realizzo; di conseguenza, ha ritenuto illegittimo il modus operandi dell’Ufficio che, nel determinare il reddito dell’anno 2008, oggetto di accertamento, aveva tenuto conto degli incrementi patrimoniali realizzati negli anni 2009 e 2010 dal contribuente e li aveva spalmati in quote costanti nell’anno di realizzo e nei quattro precedenti, come previsto dalla previgente normativa.
3. Avverso la sentenza della CTR di cui in epigrafe, ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi.
4. B.A., ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo di ricorso l’Amministrazione erariale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, vigente ratione temporis, e del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, conv. mod., L. 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il modus operandi dell’Ufficio che, nel determinare il reddito dell’anno 2008, oggetto di accertamento, aveva tenuto conto degli incrementi patrimoniali realizzati dal contribuente negli anni 2009 e 2010 dal contribuente e li aveva spalmati in quote costanti nell’anno di realizzo e nei quattro precedenti, come previsto dal citato D.P.R., art. 38, vigente ratione temporis.
1.2. Col secondo mezzo, denuncia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, dell’art. 132 c.p.c., per carenza di motivazione del percorso logico giuridico seguito nell’espungere le quote degli incrementi patrimoniali degli anni successivi al 2008 e nell’annullare l’accertamento anche per gli altri rilievi contestati dall’Ufficio, “anche alla luce delle giustificazioni addotte dal contribuente”. Riporta il testo di alcuni passi della sentenza per evidenziare l’apoditticità e l’incomprensibilità delle affermazioni ove è affermato che il contribuente ha dimostrato la sua maggiore capacità contributiva contestata in base alla circostanza che la provvista di Euro 60.059,63 esistente sul conto corrente bancario acceso su Banca Intesa, proveniente dal residuo prestito del padre e dal residuo prezzo della vendita del 2007, come sufficiente a giustificare le maggiori spese contestate, pari a 88.891,00.
2. Il secondo motivo di ricorso – che va esaminato prioritariamente poiché riguarda un vizio di nullità che, se sussistente, travolgerebbe interamente la sentenza impugnata – è infondato in quanto la motivazione della decisione impugnata supera certamente il tetto del cd. minimo costituzionale (cfr., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Sez. 6-5, 07/04/2017, n. 9105; Sez. 1, 30/06/2020, n. 13248), essendo in essa indicate le ragioni per le quali si è ritenuto adeguata la prova contraria offerta dal contribuente per superare la presunzione legale posta a favore dell’Ufficio, valorizzando, ai fini della rideterminazione del reddito, le movimentazioni bancarie, i proventi rinvenienti dalla vendita di un immobile, nell’anno 2007, la modestia del reddito di impresa (“dal conto corrente di banca Intesa risulta avere un saldo iniziale di Euro 61.533,63, proveniente in parte dal residuo della somma ottenuta in prestito dal padre ed in parte quanto meno dal residuo prezzo della vendita immobiliare avvenuta il *****. Il B. poi ha dimostrato e documentato anche con lo schema in atti relativo al riepilogo dei movimenti del conto corrente bancario per l’anno 2008 il permanere della disponibilità finanziaria per tutto l’anno con uscite per spese personali per Euro 88.891,00 (…). Appare sostanzialmente condivisibile sotto il profilo della esistenza delle diponibilità economiche, anche quanto dedotto e documentato dal contribuente in ordine al reddito di impresa (calcolato col criterio di competenza) che appariva modesto in quanto vi erano stati notevoli ammortamenti nella misura di Euro 241.423,00”). La CTR ha, altresì, supportato la motivazione richiamando le sentenze di questa Corte nn. 1455 e 1638 del 2016, evidenziando che, secondo tali pronunciamenti, “ai fini dell’accertamento del redditometro occorre semplicemente fornire la prova che il contribuente abbia avuto la disponibilità di determinate somme per un tempo ragionevole e che quindi non sia solo transitata sui conti correnti, ma che sia rimasta per una durata tale da rendere possibile le spese effettuate”.
2.1. Ne’ il parametro di censura evocato consente di verificare la correttezza dell’applicazione della regola iuris afferente alle regole di riparto dell’onere probatorio, non avendo la ricorrente dedotto il diverso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, vizio che non è possibile sussumere in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto l’articolazione del secondo motivo di ricorso è chiaramente volta a denunciare la nullità della sentenza per omissione di motivazione e non altri vizi.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto.
3.1. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, gli elementi e le circostanze di fatto utilizzate per l’accertamento sintetico di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, nella formulazione vigente ratione temporis per l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008, non debbono necessariamente riferirsi all’anno in contestazione, ma possono essere accaduti in anni diversi, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi.
3.2. Ciò in quanto, in base alla formulazione previgente del citato D.P.R., art. 38, comma 4, è consentito all’Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, e che possono anche essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. La norma in parola non esclude la possibilità di superare dette presunzioni, ma sempre che il contribuente soddisfi l’onere, a suo carico, di provare che la disponibilità di quel reddito presunto non rientra nella base imponibile da prendere in considerazione ai fini della determinazione delle imposte (cfr., ex pluribus, Sez. 1, 02/06/1992, n. 6714; Sez. 1, 22/12/1995, n. 13089; Sez. 5, 21/06/2002, n. 9099; Sez. 5, 01/07/2003, n. 10371; Sez. 5, 07/06/2006, n. 13316; Sez. 5, 20/04/2012, n. 6226; Sez. 6-5, 26/03/2014, n. 7163).
3.3. Da tali principi ne deriva che il capo della decisione impugnato col primo mezzo è erroneo – con conseguente accoglimento, in parte qua, del ricorso – in quanto, in primo luogo, gli elementi circostanziali utilizzati per l’accertamento sintetico possono essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, sempre che si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi, così, in ulteriori ed autonomi indici contributivi; in secondo luogo in quanto, per superare le presunzioni derivanti dall’applicazione dei parametri contenuti nel decreto ministeriale cui al citato D.P.R., art. 38, comma 4, il contribuente avrebbe dovuto provare che il reddito presunto non rientrava nella base imponibile presa in considerazione dall’Ufficio perché gli incrementi patrimoniali in questione, effettuati dopo l’anno 2008, non derivano da redditi già disponibili nell’anno dell’accertamento.
4. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al primo motivo, rigettandosi il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, la quale dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021