LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti n. 10582-2019 proposto da:
V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO GRACIS;
– ricorrente –
contro
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BETTIOL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 833/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 06/04/2018;
e n. 31760/2020 proposto da:
V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO GRACIS;
– ricorrente –
contro
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BETTIOL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1058/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/03/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
FATTI DI CAUSA
S.P. agì, in qualità di unica erede di S.M., nei confronti della Assicurazione Generali s.p.a. – quale impresa designata dal F.G.V.S. – per ottenere il risarcimento del danni patiti dalla propria dante causa a seguito della morte del figlio Z.M., che era deceduto in data *****, sulla strada provinciale *****, a causa dell’investimento da parte di più veicoli rimasti sconosciuti mentre si trovava disteso sulla carreggiata dopo essere caduto dal proprio ciclomotore.
La compagnia convenuta resistette alla richiesta risarcitoria.
Il Tribunale di Treviso rigettò la domanda ritenendo che, escluso il coinvolgimento di altre vetture, l’unico mezzo coinvolto era risultato quello condotto da Se.Ca., nei confronti del quale il giudice penale aveva emesso sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto; concluse, pertanto, per il difetto di legittimazione passiva del F.G.V.S. sul rilievo che era stato individuato il veicolo investitore.
La Corte di Appello di Venezia confermò la decisione di primo grado.
Con pronuncia n. 23710/2016, la Corte di Cassazione accolse il primo motivo del ricorso della S. (dichiarando assorbiti gli altri) affermando che “nel caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato, il danneggiato, esaurito lo spatium deliberandi previsto dalla legge, potrà agire nei confronti dell’impresa designata per conto del FGVS allegando e provando, oltre al fatto che il sinistro si è verificato per condotta dolosa o colposa del conducente di un altro veicolo, che quest’ultimo non era identificabile in forza di circostanze obiettive, non dipendenti da sua negligenza; la legittimazione passiva, processuale e sostanziale, dell’impresa designata rispetto a tale sinistro rimarrà stabilizzata per tutto il corso del giudizio, anche nel caso in cui si accerti successivamente l’identità del responsabile, nei cui confronti la stessa impresa designata, adempiuta la sentenza di condanna al risarcimento del danno, potrà agire in via di regresso”.
Riassunto il giudizio in sede di rinvio, la Corte di Appello di Venezia ha ritenuto che “al momento della proposizione dell’azione civile non sussistessero evidenze tali da autorizzare l’allora attrice a convenire in giudizio un soggetto diverso dal FGVS”; ha tuttavia rigettato la domanda sull’assunto che “il Se., conducente della Renault 5 che ha cagionato il decesso dello Z., al momento del sinistro ha fatto tutto il possibile per evitare l’evento che, pertanto, non risulta a lui imputabile ma alla grave situazione di pericolo creata dall’imprudente condotta di guida del conducente del motociclo”.
In particolare, la Corte ha rilevato che il Se. era riuscito a schivare il motociclo Vespa “che giaceva di traverso sulla carreggiata”, mentre non aveva potuto evitare di collidere col corpo riverso a terra dello Z., che era “apparso improvvisamente sulla careggiata (in parte, mentre la restante parte era sul ciglio della strada (…), scarsamente illuminato, subito dopo un altro ostacolo che l’aveva obbligato ad una manovra di emergenza che, sebbene correttamente eseguita, l’aveva spinto inevitabilmente a transitare sulla fascia destra della corsia”.
La Corte ha pertanto concluso per “l’integrale responsabilità del danno a carico del conducente del motociclo che ha creato sulla strada, con un’imprudente condotta di guida, la situazione di pericolo grave e imprevedibile, determinando pertanto l’evento”.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione V.M., madre ed erede di S.P. nel frattempo deceduta, affidandosi a sette motivi; ad esso ha resistito, con controricorso, la Generali Italia s.p.a., sempre nella qualità di impresa designata alla gestione del F.G.V.S..
Avverso la medesima sentenza, la V. ebbe a proporre ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, individuando errori revocatori in punto di posizione assunta dal ciclomotore sulla carreggiata (non di traverso, ma pressoché longitudinale rispetto al senso di marcia), sul fatto che la supposta manovra di emergenza avrebbe spinto inevitabilmente il Se. a transitare sulla fascia destra della corsia (in contrasto con le risultanze della c.t.u. secondo cui l’autovettura aveva seguito una traiettoria “leggermente obliquata da destra verso sinistra”), nonché sulla ritenuta posizione del corpo dello Z., che la relazione della Polizia Stradale aveva reputato conseguita al trascinamento del corpo prodotto dall’investimento.
La Corte di Appello ha ritenuto che la revocazione della V. potesse “trovare accoglimento con riferimento al primo e secondo degli elementi indicati (…) con conseguente necessaria determinazione dell’an e del quantum delle domande risarcitorie avanzate”.
In particolare, la Corte ha ritenuto che il Se. non abbia eseguito alcuna manovra di emergenza per evitare il ciclomotore e non è stato pertanto spinto inevitabilmente a transitare sulla fascia destra della corsia, non mutando pertanto il proprio percorso e deviando “pressoché in coincidenza dell’investimento”; tanto premesso, la Corte ha affermato che “sussisteva una concreta prevedibilità per il Se. della presenza di un corpo sull’asfalto, in ragione della presenza del veicolo incidentato; ciò avrebbe imposto al conducente di moderare ulteriormente la velocità, considerato che, come attestato dal CTU nella ricostruzione cinematica, tra il punto in cui vi era il ciclomotore e quello in cui vi era il corpo intercorrevano almeno 8 metri”.
Individuati i profili di responsabilità del conducente dell’autovettura, la Corte ha ritenuto, peraltro, che gravasse sullo stesso Z. “la gran parte della responsabilità del sinistro”, determinandola nella misura dei due terzi.
Tanto premesso e liquidato il danno non patrimoniale complessivo in 270.000,00 Euro, la Corte ha posto a carico della compagnia convenuta (tenuto conto della misura del concorso) un risarcimento di 90.000,00 Euro, oltre al rimborso della quota parte delle spese funerarie ed oltre agli interessi legali; infine, compensate nella misura di un terzo le spese processuali di tutti i gradi di giudizio, ha posto a carico della Generali Italia i restanti due terzi.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.M., affidandosi a cinque motivi e chiedendo la riunione di tale ricorso a quello proposto contro la sentenza di appello; ha resistito, con controricorso, la Generali Italia s.p.a., sempre in qualità di impresa designata dal F.G.V.S., che si è opposta alla riunione dei giudizi.
Ha depositato memoria la V. (con atto riferito ad entrambi i ricorsi), insistendo per la riunione dei due procedimenti e proponendo istanza di rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte ovvero di rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. al fine di valutare la “compatibilità tra la normativa italiana (…) impersonata dal combinato disposto dell’art. 2054 c.c., comma 1 e art. 1227 c.c., comma 2, con la piena tutela (vulneratus ante omnia reficiendus), imposta dal diritto Eurounitario a mezzo del sistema di obbligatorietà dell’assicurazione della r.c.a., alle vittime non motorizzate della strada e specie ai pedoni, quando investiti ed uccisi da un autoveicolo originariamente non identificato”; la Generali Italia s.p.a. ha depositato memoria in relazione al procedimento n. 10582/2019.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Deve disporsi preliminarmente la riunione dei due giudizi alla luce del principio per cui “i ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell’art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza” (Cass. n. 25376/2006; cfr. Cass. n. 5480/1998, Cass. n. 1814/2004, Cass. n. 6878/2009, Cass. n. 6456/2010, Cass. n. 23445/2014).
Sulla base della medesima giurisprudenza teste’ richiamata, deve procedersi preliminarmente all’esame del ricorso avverso la pronuncia emessa in sede di revocazione.
2. Vanno disattese sia la richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE che quella di rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte, in quanto:
la prima è formulata un modo generico ed “esplorativo”, senza indicazione delle specifiche norme rispetto alle quali sussisterebbe la necessità di interpretazione da parte della Corte di Giustizia della Unione Europea;
né questa Corte ravvisa un dubbio interpretativo su una norma comunitaria rispetto alla quale sia ipotizzabile un contrasto con le norme nazionali sulla cui applicazione verte il ricorso;
deve peraltro rilevarsi che il principio di effettività della tutela giurisdizionale immanente nel diritto unionale non osta a una normativa nazionale che rimetta al giudice di valutare caso per caso l’eventuale incidenza sul piano risarcitorio del concorso colposo della vittima;
neppure ricorre l’opportunità di rimettere gli atti al Primo Presidente della Corte per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, in quanto – per le ragioni che si esporranno di seguito – non sussistono contrasti interpretativi o questioni di massima di particolare importanza che giustifichino tale rimessione.
IL RICORSO AVVERSO LA SENTENZA N. 1058/2020 EMESSA NEL GIUDIZIO DI REVOCAZIONE.
3. Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del combinato disposto dell’art. 1227 c.c., comma 1 e art. 2054 c.c., comma 1 e censura la sentenza impugnata per aver effettuato una “erronea riduzione” del pur concesso risarcimento del danno, in applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1.
Assume la ricorrente che “la presenza di un veicolo fermo per incidente sulla sede stradale, tempestivamente avvistabile e persino avvistato, imponeva al conducente del veicolo sopraggiungente di moderare la velocità e di tenere un comportamento improntato alla massima prudenza, non potendo reputarsi circostanza a quel punto imprevedibile, al contrario rientrando nella ragionevole prevedibilità, quella della presenza degli occupanti del veicolo incidentato sulla sede stradale in prossimità dello stesso” e aggiunge che la fattispecie concreta è “sussumibile esclusivamente nello specifico ambito operazionale della giusta nomofilachia dell’art. 2054 c.c., comma 1, per cui essendo l’investimento facilmente evitabile da parte del conducente, minimamente prudente e diligente, la causalità dello stesso avrebbe dovuto giuridicamente imputarsi interamente a lui, con esclusione di ogni rilevanza della condotta, pur colpevole, della vittima, la cui presenza sulla sede stradale, pur in spregio delle norme di comportamento ad essa riservate dall’ordinamento, era da derubricarsi a mera occasione del proprio investimento”.
Più specificamente, la ricorrente assume – in diritto – che:
la portata della prova liberatoria di cui è gravato il conducente di un autoveicolo, ex art. 2054 c.c., comma 1, deve “escludere che, in presenza, comunque, di una chiara evitabilità dell’investimento, la colpa del pedone possa risultare giuridicamente rilevante, con la conseguenza di doversi così accreditare la permanenza della presunzione di responsabilità esclusiva del conducente”;
non risulta condivisibile l’assunto – di cui, fra l’altro, a Cass. n. 24472/2014 – secondo cui la violazione di una regola di condotta da parte del pedone è sufficiente a ritenere un concorso di colpa del pedone stesso, ex art. 1227 c.c., nella causazione del sinistro;
devono privilegiarsi, al contrario, le “finalità protezionistiche dell’art. 2054 c.c., comma 1”, che mettono “al centro della disciplina la tutela dei soggetti deboli come i pedoni” e deve ritenersi, in continuità con Cass. n. 5627/2020, che “il conducente deve fornire ex art. 2054 c.c., comma 1, la prova che il sinistro non fosse da lui evitabile”, cosicché, quando la situazione di pericolo – pur creata colpevolmente dal pedone – “sia di tale evidenza da poter essere neutralizzata con facilità, attraverso l’impiego doveroso (della) normale diligenza (…) la causalità dell’investimento deve essere interamente attratta nella sfera della responsabilità integrale del conducente, per meglio tutelare la parte più debole (…), viceversa trovando nuova espansione la riducibilità generalista dell’art. 1227 c.c., comma 1, solo quando la situazione di pericolo non potesse dirsi di tale dimensione e di tale immediata percepibilità da assurgere al ruolo di causa esclusiva dell’investimento e induca, allora, una necessaria comparazione tra la misura delle diligenze violate (tra conducente e pedone)”.
Il motivo va disatteso, atteso che:
l’art. 2054 c.c., comma 1, prevede una presunzione di responsabilità a carico del conducente di un veicolo (senza guida di rotaie), gravandolo della prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno;
la norma dà per presupposta l’esistenza del nesso causale fra la guida del veicolo e il danno a persone o a cose e pone pertanto una presunzione di colpa che può essere superata soltanto dimostrando, appunto, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno;
tale presunzione di colpa, ove non superata, lascia tuttavia aperta la possibilità di valutare il concorso causale alla produzione del danno della condotta colposa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.p.c., comma 1;
va quindi data continuità al consolidato principio di legittimità secondo cui “la presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e dunque non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l’indagine sull’imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fine del concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione” (Cass. n. 24204/2014; conformi Cass. n. 842/2020, Cass. n. 6168/2009, Cass. n. 11873/2007 e Cass. n. 2216/1998);
tale principio non è stato contraddetto, a ben vedere, da Cass. n. 5627/2020 (richiamata dalla ricorrente); che, dopo aver confermato “in astratto l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., comma 1, anche ad un’ipotesi di responsabilità presunta come quella del conducente”, ha affermato – con riferimento alle peculiarità del caso esaminato – che, “qualora la situazione di pericolo è di tale evidenza da poter essere superata con l’uso della normale diligenza, non deve essere ritenuto responsabile dell’incidente chi ha posto in essere la situazione di pericolo”: e ciò sulla base di una valutazione di sostanziale irrilevanza causale della condotta del danneggiato, in quanto assorbita dalla successiva condotta colposa del conducente;
il richiamo a tale precedente – tarato sulla specificità del caso – non giova tuttavia alla ricorrente, che, in più passaggi, dà per presupposte – nella fattispecie qui esaminata – una evidenza ed una facile percepibilità della situazione di pericolo che la Corte territoriale non ha affatto apprezzato come tali: invero, la sentenza – per un verso – esclude che la parte convenuta abbia fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 2054 c.c., comma 1 (affermando che “sussisteva una concreta prevedibilità per il Se. della presenza di un corpo sull’asfalto, in ragione della presenza del veicolo incidentato”, e che “ciò avrebbe imposto al conducente di moderare ulteriormente la velocità”) e – per altro verso – valuta e accerta il (prevalente) concorso causale della condotta colposa della vittima, senza mai sostenere che la situazione del campo del sinistro fosse tale da evidenziare una sicura evitabilità dell’investimento da parte del conducente dell’autovettura;
sotto tale profilo, il motivo non palesa dunque l’interesse concreto alla censura, giacché nel caso specifico non è emersa quella evidenza della evitabilità del danno che – secondo l’assunto della ricorrente – precluderebbe la possibilità di applicare l’art. 1227 c.c.;
va comunque escluso – e sotto tale profilo il motivo va rigettato – che il contenuto della prova liberatoria richiesta al conducente sia quello ipotizzato dalla ricorrente, ossia che sia dovuta la dimostrazione della non evitabilità dell’investimento: un siffatto onere risulta in effetti diverso (e più gravoso) da quello chiaramente indicato dall’art. 2054 c.c., comma 1, giacché la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno investe la condotta e il profilo della colpa, mentre la dimostrazione della non evitabilità del danno involge un profilo di incidenza causale della condotta del conducente e comporta un accertamento controfattuale circa il fatto che anche una sua condotta pienamente corretta non avrebbe evitato il danno (con il corollario che l’eventuale insufficienza della prova sul punto ricadrebbe sul conducente gravato della presunzione di responsabilità).
4. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, “nella misura in cui la sentenza ha deciso di superare la presunzione legislativa di esclusiva responsabilità dell’investitore (…), senza aver avuto da lui o dalla società che della sua responsabilità rispondeva L. n. 990 del 1969, ex art. 19, lett. a), o comunque dallo svolgimento delle indagini, alcuna previa informazione sulle fasi antecedenti l’arrotamento, necessarie invece per un’esatta ricostruzione della cinematica (ed il superamento della presunzione)”; la ricorrente assume che, in difetto di tali informazioni, “era impossibile, in diritto, derogare alla presunzione di una causalità comunque esclusiva del conducente”.
Il motivo è infondato, in quanto è basato sull’assunto erroneo che l’art. 2054 c.c., comma 1, stabilisca una presunzione di responsabilità esclusiva, anziché una presunzione di colpa che, se non superata, lascia aperta la possibilità di accertare l’eventuale concorso causale della condotta colposa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1.
5. Col terzo motivo, la ricorrente deduce la “violazione del principio che vuole la percentuale della riduzione del risarcimento ex art. 1227 c.c., comma 1, in un caso di investimento pedonale, basata su di un’espressione logica che rifletta la gravità dei rispettivi comportamenti oggetto di adeguata esposizione motivazionale e non solo il frutto della percezione o dell’intuito del Giudicante nonché motivazione insufficiente per l’omesso esame di fatti decisivi – ben discussi dalle parti – per la corretta ripartizione logico-giuridica della percentuale di con-causalità (violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4)”.
Il motivo – espressamente subordinato al mancato accoglimento dei primi due – è inammissibile,in quanto si risolve nella contestazione della ragionevolezza della ripartizione del contributo causale delle condotte colpose dell’investitore e della vittima (rispettivamente, nelle misure di 1/3 e di 2/3), e – quindi – dell’apprezzamento svolto dalla Corte sul punto, sulla base di considerazioni tese ad accreditare una diversa ripartizione e, con ciò, una diversa valutazione di merito; il tutto in difetto di deduzione di vizi idonei ad integrare una carenza di motivazione o una irriducibile contraddittorietà interna della stessa (non essendo ovviamente deducibile la mera insufficienza).
6. Il quarto motivo denuncia la “violazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, sia nella parte in cui il bilanciamento tra le rispettive condotte era del tutto approssimativo e mancante di fondamentali valutazioni sulla velocità dell’auto investitrice, sulla violazione del precetto della massima prudenza alle viste di un veicolo incidentato in mezzo alla carreggiata e della regula iuris che vieta la conduzione a chi sia ubriaco”, sia nella parte in cui “non ha dato alcun peso o valore normativo al requisito dell'”entità delle conseguenze” che fossero derivate dal fatto stesso dell’investimento del pedone ad opera di un veicolo lanciato in velocità e quindi all’elemento della diversissima capacità offensiva di un’auto in movimento”.
Il motivo è inammissibile, in quanto non prospetta propriamente errori di diritto, ma censura la valutazione della Corte sul piano fattuale, sull’assunto che la stessa avrebbe dovuto “bilanciare” diversamente le condotte della vittima e del conducente dell’auto investitrice, in tal modo sollecitando un non consentito diverso apprezzamento di merito.
7. Il quinto motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo “rappresentato dalla fuga dell’investitore, senza aver prestato soccorso al pedone investito” e censura la Corte anche per non avere “impiegato nel bilanciamento causale delle condotte sotteso dall’art. 1227 c.c., comma 1, quell’inferenza – abilitata dalla fuga – per cui proprio da un tal incivile fatto noto era dato risalire a quello ignoto dell’esistenza (…) probabile di una causalità esclusiva da ritenersi causa da sola sufficiente al verificarsi del sinistro medesimo”.
Il motivo è inammissibile, giacché investe – come il precedente – l’apprezzamento di merito compiuto dalla Corte territoriale in punto di determinazione dell’apporto causale delle condotte colpose del conducente e della vittima; né – peraltro – può ritenersi decisivo il fatto della fuga dell’investitore, che non appare idoneo – di per sé – a fornire elementi circa il grado di concorso causale, dato che la fuga si colloca in un momento successivo all’investimento (a meno che si assuma ma non è questo il caso – che il mancato soccorso all’investito abbia influito sulla sua possibilità di sopravvivenza); risulta, infine, meramente ipotetico l’assunto che, in caso di mancata fuga, sarebbe stato possibile acquisire elementi decisivi circa le condizioni di ubriachezza del Se., tali da determinare un diverso giudizio sul grado di responsabilità del conducente investitore.
8. Il ricorso va pertanto rigettato.
IL RICORSO AVVERSO LA SENTENZA N. 833/2018.
9. La sopravvenuta revocazione – non impugnata – della sentenza n. 833/2018 emessa in sede di appello avverso la sentenza del Tribunale ha determinato il venir meno dell’oggetto del (primo) ricorso per cassazione, comportando pertanto la cessazione della materia del contendere e, con ciò, l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. Cass. S.U. n. 10553/2017).
10. In relazione ad entrambi i ricorsi riuniti, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche introdotte a partire dalla L. n. 263 del 2005, applicabile ratione temporis, trattandosi di causa iniziata nell’anno 2002.
11. In relazione al ricorso n. 31750/2020 R.G. (concernente la sentenza n. 1058/2020 della Corte di Appello di Venezia), sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Non altrettanto in relazione al ricorso n. 10582/2019 R.G. (avverso la sentenza n. 833/2018 della medesima Corte di Appello), atteso che l’inammissibilità è sopravvenuta alla proposizione del ricorso (cfr. Cass. n. 3542/2017).
PQM
La Corte, disposta la riunione del ricorso n. 31760/2020 a quello n. 10582/2019, dichiara inammissibile il ricorso avverso la sentenza n. 833/2018 della Corte di Appello di Venezia e rigetta quello proposto contro la sentenza n. 1058/2020 emessa dalla stessa Corte; compensa le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza, in relazione al ricorso n. 31760/2020 R.G., dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il detto ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021
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