LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34128/2019 proposto da:
S.D., elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale n. 54, presso lo studio dell’avvocato Monarca Francesco, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
T.R., nella qualità di tutore delegato del Sindaco di Roma dei minori H.Y. e Ha.Yu., elettivamente domiciliato in Roma, Via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Ronchini Enrico, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
H.A., M.M., Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Roma, R.E., Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, C.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 5957/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/03/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 4 ottobre 2019 la Corte d’Appello di Roma – sezione Minorenni – ha confermato la sentenza n. 95/2018 con la quale il Tribunale per i Minorenni di Roma ha dichiarato lo stato di adottabilità dei minori H.Y., nato il *****, e Ha.Yu., nato il *****.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato, alla luce delle relazioni degli operatori e delle conclusioni del CTU, all’esito di un periodo di osservazione e di sostegno, l’inidoneità della sig.ra S.D., madre dei minori, a svolgere le funzioni genitoriali, essendo risultato che il sostegno alla medesima fornito non ha raggiunto i risultati necessari a fronte di uno sviluppo psico-fisico dei minori già danneggiato, con una prognosi fondata che tali danni possano aggravarsi in futuro.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.D. affidandolo a tre motivi.
L’avv. G.C.M., curatrice speciale del minore, si è costituita in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art.. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la sentenza motivato in modo apparente e contraddittorio circa lo stato di abbandono e circa la irrecuperabilità in tempi ragionevoli delle competenze genitoriali.
Lamenta la ricorrente che nella sentenza non vi è una esposizione dei fatti che riguardino specificamente il dichiarato stato di abbandono, che descrivino condotte inaccudenti o comportamenti della ricorrente pregiudizievoli per i figli.
La motivazione è incentrata sulla disamina delle fragilità psichiche della sig.ra S., senza indicare in che misura tali fragilità possano dar luogo a condotte dannose per la crescita dei figli.
Sono stati posti a fondamento della dichiarazione dello stato di abbandono dei minori fatti risalenti a tre anni nonché valutazioni formulate non da esperti ma da assistenti sociali e dalla responsabile della casa famiglia.
I pretesi interventi di sostegno a favore della ricorrente, oltre a non essere stati descritti dalla sentenza impugnata, non ci sono effettivamente mai stati o stati prospettati alla sig.ra S..
2. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Contesta la ricorrente di aver rifiutato il sostegno degli operatori (essendosi non presentata nel 2016 agli appuntamenti con i servizi sociali solo nel periodo aprile/maggio), avendo all’opposto invocato, senza esito, interventi di sostegno per la stessa ed un progetto educativo per il recupero della relazione madre/figli.
La ricorrente, si duole, inoltre che la Corte d’Appello non ha fatto altro che recepire in modo pieno, incondizionato ed acritico, le conclusioni della CTU.
3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e segg. e dell’art. 8 Cedu.
Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello non ha valutato all’attualità lo stato di abbandono, avendo basato la decisione su fatti avvenuti tre anni prima o sul passato della madre, omettendo di verificare il recupero della capacità genitoriale.
Viene ribadito che lo stato di abbandono non è stato ritenuto sulla base di condotte pregiudizievoli della madre che potessero comportare danni gravi ed irreversibili per lo sviluppo dei minori, ma per la fragilità psichica della donna, ed in relazione ad un periodo di osservazione di soli tre mesi nel 2016.
Non sono state predisposte misure di sostegno volte al recupero del legame madre/figli o elaborato un percorso di riavvicinamento che avrebbe presupposto una intensificazione degli incontri.
Infine è stata dedotta la violazione della L. n. 183 del 1984, art. 5, per aver la Corte d’Appello omesso di convocare per un’audizione gli affidatari dei minori, anche per verificare se la permanenza del disagio fosse riconducibile all’allontanamento dalla loro madre.
4. Tutti e tre i motivi, da esaminare unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente connesse, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va osservato che se è pur vero che la ricorrente, nell’invocare la prioritaria esigenza dei figli di vivere, nei limiti del possibile, con i genitori biologici, afferma un principio sancito dalla L. n. 184 del 1983, art. 1 (rafforzato dalla consolidata interpretazione dell’art. 8 CEDU), la stessa non considera, tuttavia, che la situazione di abbandono, quale presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità, è configurabile quando si accerti che la vita offerta al minore dai congiunti sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico, così che la rescissione del legame familiare diviene uno strumento necessario per evitare per il bambino un più grave pregiudizio (Cass. 10 luglio 2014 n. 15861, 29 marzo 2011, n. 7115; 26 gennaio 2011, n. 1838; 31 marzo 2010, n. 7959; 1 febbraio 2005, n. 1996; 7 febbraio 2002, n. 1674).
Inoltre, questa Corte ha avuto modo di ribadire, anche recentemente, che il prioritario diritto dei minori a crescere nell’ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l’impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l’adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l’esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica (Cass. 16357/2018; Cass. 17603/2019).
Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre, pertanto, allorquando i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, di calore affettivo e di aiuto psicologico indispensabili allo sviluppo e alla formazione della sua personalità, senza che tale situazione sia dovuta a motivi di carattere transitorio (L. n. 184 del 1983, art. 8), considerati in base ad una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito (Cass. 11171/2019).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel ritenere sussistenti i presupposti per lo stato di adottabilità, non ha affatto fondato il proprio giudizio – come sostiene la ricorrente – solo sulla fragilità psicologica della madre e/o su risalenti fatti accaduti in un breve intervallo di tre mesi (intorno all’aprile – maggio 2016) o sulla base di valutazioni di operatori non esperti.
Emerge, invece, dalla ricostruzione della Corte d’Appello che la valutazione dello stato di abbandono è stato fondato, oltre che sulla valutazione psicologica a cura del DSM – ASL Roma *****, sulle conclusioni del CTU nominato nel giudizio d’appello, che ha attentamente valutato la personalità della ricorrente, la quale, in sede di operazioni peritali, ha rivelato tutta la propria inadeguatezza a svolgere la funzione genitoriale e di elaborare modelli educativi e decisionali efficaci, volti ad ovviare alle numerose criticità evidenziate dai minori.
In primo luogo, è stata evidenziata la tendenza della ricorrente a banalizzare e a disconoscere le proprie problematiche e quelle dei figli, l’inconsapevolezza dell’assoluta necessità di rafforzarsi come madre (reputandosi del tutto adeguata) e come donna, l’ingiustificata convinzione di essere sempre molto attenta alle esigenze dei figli, rispetto ai quali la donna, sentendosi unica vittima della condotta di maltrattamenti perpetrata in passato ai suoi danni dal marito, neanche ha compreso i gravissimi pregiudizi che i medesimi hanno subito a causa della violenza domestica, non rendendosi neppure conto delle situazioni pericolose per l’equilibrio psico-fisico dei medesimi cui li ha esposti (come portarli in Marocco, nonostante un padre molto violento ed affermare che lì stavano bene).
La ricorrente si è quindi rivelata una madre non tutelante rispetto ai bisogni educativi e di contenimento dei minori.
A solo titolo di esempio del come la ricorrente non avesse compreso la gravità dello stato psicologico dei minori, emerge dalla sentenza impugnata che, secondo la donna, anche in casa famiglia i suoi figli continuavano a star bene. Eppure, gli stessi facevano i loro bisogni ovunque anche in cucina.
Proprio l’inesistente capacità di autocritica e la tendenza all’esternalizzazione dei problemi e delle difficoltà di cui non vi è mai stata un’assunzione della responsabilità ha comportato che la ricorrente non abbia mai profuso un serio impegno per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, avendo dimostrato di non aver alcun interesse ad essere supportata nel suo percorso di crescita.
La ricorrente lamenta in questa sede che non vi sono stati e non le sono stati neppure prospettati strutturati interventi di sostegno da parte delle istituzioni. Tuttavia, emerge dalla ricostruzione della sentenza impugnata (che ha riportato a pag. 6 la relazione del 28 febbraio 2017 dell’ASL Roma ***** – DSM/UOS-CSM), che la donna, per disposizione del Tribunale dei Minorenni, è stata sottoposta ad una valutazione psicologica, che è stata articolata in una serie di colloqui iniziati nel novembre 2016 (nel corso dei quali è stata anche sottoposta al test MMPI-2), all’esito dei quali è emerso che la ricorrente non è in grado di valutare il proprio operato e ciò le impedisce una critica efficace della realtà, su cui ha l’unica certezza di essere stata sempre in buona fede, e, per tale motivo, si è sentita messa “in punizione” e messa “allo stesso livello” del marito, pur ritenendo di non aver commesso alcun errore nella gestione della situazione, per essere stata una madre premurosa ed accudente.
Proprio tale atteggiamento mentale ha fatto sì che nonostante le operatrici della casa famiglia abbiano cercato di sostenerla, suggendole come rapportarsi con i figli e il tipo di risposte che avrebbe dovuto fornire agli stessi desiderosi di comprendere le vicende familiari, gli accorgimenti e le strategie di intervento utilizzati per aiutare la donna non sono stati recepiti, avendo anzi la stessa assunto un atteggiamento critico nei confronti dei servizi sociali e, in generale, degli operatori che non si allineavano alla sua lettura della realtà.
Anche durante le operazioni peritali (iniziate nel dicembre 2018), essendo la ricorrente, anche a distanza di tempo, tuttora sempre convinta di essere l’unica vittima della situazione familiare (totalmente inconsapevole del pregiudizio subito dai minori) e di essere una madre adeguata, la stessa – secondo quanto ricostruito dalla sentenza impugnata – non ha collaborato nel tentativo di dissimulare i suoi limiti, assumendo un atteggiamento difensivo e di scarsa disponibilità durante i test, negando ogni fragilità.
E’ proprio tale rifiuto di collaborare con le istituzioni e di impegnarsi (al di là dell’intento manifestato solo di recente) in un percorso di recupero che consenta di supplire ai deficit personali, nonché la tendenza a dissimulare la realtà (vedi test e colloqui clinici) che hanno indotto coerentemente il giudice d’appello, alla luce dei rilievi del CTU, a ritenere la sig.ra S. non abbia margini di cambiamento reale, essendo, a questo punto, impossibile ritenere che un percorso di recupero sarà idoneo a conferirle sufficienti capacità genitoriali in tempi compatibili con le esigenze dei minori, i quali, a causa dei traumi subiti, necessitano di cure speciali e dell’aiuto di adulti con solide competenze genitoriali, tenuto conto che il loro sviluppo psico-fisico appare già danneggiato, con una prognosi fondata che i danni potranno aggravarsi nel futuro.
I minori non possono rimanere in comunità (presso la quale hanno comunque registrato qualche miglioramento) in attesa che la madre superi i propri disagi.
Con l’articolato, ed immune da censure, percorso argomentativo della sentenza impugnata la ricorrente non ha ritenuto di confrontarsi minimamente, limitandosi a reiterare genericamente le doglianze già svolte innanzi alla Corte d’Appello.
La sig.ra S., anche nell’affermare di non aver usufruito di interventi di sostegno da parte delle istituzioni, non fa che svolgere censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata in modo analitico da entrambi i giudici di merito.
Infine, infondata è la dedotta violazione della L. n. 184 del 1983, art. 5.
La Corte d’Appello ha fatto precisi richiami (vedi pag. 26 e 29) nella trattazione ad episodi riguardanti la condizione dei minori riferiti dagli affidatari, con la conseguenza che gli stessi sono stati sentiti.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali, che liquida in Euro 2.300,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021