LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28530/2015 proposto da:
B.G., B.S., D.R.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 13, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Franco Zambelli, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
Veneto Strade S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giovanni Battista Martini n. 2, presso lo studio dell’avvocato Francesco Marascio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gennaro Maria Amoruso, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
Regione Veneto, Veneto Infrastrutture e Servizi S.r.l.;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. 1938/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, del 25/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/04/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che conclude chiedendo rimettersi il ricorso alla pubblica udienza; in subordine rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.1. Attinta a mente del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 54 e art. 702-quater c.p.c., dai B. – D.R. che si dolevano della stima operata dalla Commissione Provinciale per l’esproprio di una fascia di terreno di loro proprietà interessata dai lavori di completamento del passante autostradale di Mestre, la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza in esergo ha provveduto a liquidare l’indennità dovuta nella specie in base alle risultanze della disposta CTU e, circa lo specifico pregiudizio fatto valere dagli istanti con riguardo alla porzione residua del medesimo fondo, sovrastato da due fabbricati residenziali e da un magazzino, in conseguenza delle immissioni, delle vibrazioni, della rumorosità e delle difficoltà di accesso derivanti dall’opera pubblica, ne ha escluso l’indennizzabilità sul presupposto che, sebbene il mappale oggetto di esproprio fosse frutto del frazionamento della più ampia porzione di terreno rimasto in proprietà degli istanti “non può ritenersi che esso costituisse un’unica unità economico funzionale, così da potersi ravvisare un’ipotesi di esproprio parziale”, stante l’esistenza della recinzione che racchiude e separa dalla fascia espropriata la residua porzione del fondo. Ciò, nondimeno, ha notato la Corte decidente, le ragioni di danno lamentate dagli istanti, pur non potendo trovare sfogo nel presente procedimento, una volta esclusa l’unitarietà della vicenda espropriativa, “potranno essere fatte valere in un distinto giudizio risa rcitorio”.
Avverso la predetta sentenza i B. – D.R. ricorrono ora a questa Corte sulla base di quattro motivi, illustrati pure con memoria, cui resiste la sola Veneto Strade s.p.a. con controricorso e memoria, non avendo svolto attività processuale gli altri intimati.
Requisitorie scritte ex art. 380-bis.1 c.p.c., del Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il ricorso – la cui disamina si sottrae alle obiezioni preclusive della controricorrente poiché le censure, pur cumulativamente dispiegate, sono comunque specifiche e agevolmente comprensibili, come mostra del resto di credere la stessa controricorrente, censurandone il contenuto – allega con il primo motivo, insieme ad un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, l’erroneità in punto di diritto dell’impugnata pronuncia nella parte in cui, escludendo l’indennizzabilità del pregiudizio sofferto dalla residua porzione del fondo rimasto nella disponibiltà degli istanti, si è data cura di affermarne la deducibilità quale oggetto di un separato giudizio risarcitorio, perché “così facendo il giudice di prime cure ha violato, svilendolo, il principio dell’unicità dell’indennità di esproprio”, in ragione del quale qualora l’espropriazione influisca oggettivamente in modo negativo sulla parte residua del fondo espropriato l’indennità va determinata in applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, ossia tenendo conto della diminuzione di valore della parte residua.
2.2. Il motivo, in disparte dall’inammissibilità che infirma la doglianza motivazionale per estraneità di essa all’attuale paradigma normativo del vizio di motivazione, e’, quanto alla doglianza in diritto, fondato.
Va invero ribadito il convincimento più volte esternato da questa Corte in ragione del quale “nel caso di espropriazione parziale, che si configura quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare caratterizzato da una destinazione economica unitaria e da un nesso di funzionalità tra ciò che è stato oggetto del provvedimento ablativo e ciò che è rimasto nella disponibilità dell’espropriato, l’indennizzo riconosciuto al proprietario del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, non può riguardare soltanto la porzione espropriata, ma anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua” (Cass., Sez. I, 7/10/2016, n. 20241); così come del resto è certo che “il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato rientra nell’unica indennità di espropriazione, che, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione rimanente derivata dalla parziale ablazione del fondo, sia essa agricola o edificabile, non essendo concepibili, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni” (Cass., Sez. I, 14/06/2018, n. 15696).
Ne discende perciò che erroneamente la Corte d’Appello abbia ricusato di sindacare l’istanza “risarcitoria” dispiegata dai ricorrenti a cagione del pregiudizio subito in conseguenza della realizzazione dell’opera pubblica, sicché in ragione di ciò la doglianza merita adesione e la sentenza qui impugnata va conseguentemente cassata.
3.1. Il secondo motivo, anch’esso deducente un vizio motivazionale, in uno con l’errore di diritto in cui li decidente sarebbe sempre caduto nel negare la reclamata indennizzabilità del pregiudizio collaterale sul presupposto che non era ravvisabile tra porzione espropriata e porzione residua un’unità economico-funzionale, lamenta che “l’iter logico su cui la Corte territoriale fonda tale capo di sentenza appare erroneo ed incongruo”, in quanto il dato a tal fine valorizzato dal decidente costituito dall’essere le due porzioni separate da una recinzione o da un muro di cinta, tenuto conto dell’originaria inerenza di esse ad un unico mappale, “non rappresenta né può rappresentare… un elemento di separazione ma costituisce, evidentemente, espressione della diversa funzione assegnata all’area contigua alla preesistente viabilità vicinale, comunque strumentale al miglior utilizzo del fondo”.
3.2. Il motivo, anche considerando nel giudizio le lagnanze motivazionali, è inammissibile.
Come bene ha detto il Procuratore Generale, la valutazione della sussistenza o meno nel caso concreto di un’unicità economico-funzionale delle porzioni del fondo originario, in ragione del quale è possibile ravvisare la fattispecie dell’esproprio parziale e procedere all’indennizzo della diminuzione di valore subita dalla porzione non ablata, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso all’esclusivo giudizio del decidente di merito e sottratto perciò al sindacato di questa Corte se, nei limiti in cui è ancora consentito il controllo di legittimità sulla motivazione, esso si mostri congruamente ed adeguatamente motivato. Poiché nel caso che ne occupa l’accertamento al riguardo operato dal decidente di merito, che ha ascritto, nell’escludere la pretesa unità economica e funzionale del fondo originario, portata decisiva al fatto che le due porzioni risultanti dall’esproprio fossero già fisicamente separate in considerazione dell’erezione di una recinzione o, meglio, di un muro di cinta è frutto di una “ponderata condivisione” delle risultanze peritali, la doglianza di cui si fa interprete il secondo motivo di ricorso è espressione solo di un mero dissenso dialettico e postula indirettamente una rinnovazione del sindacato di merito che non rientra tra i compiti istituzionali di questa Corte e che rende perciò la doglianza inammissibile.
4.1. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti, sempre deducendo un vizio di motivazione declinato nella forma consentita tanto dal nuovo che dal vecchio art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentano anche la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, giacché nel determinare la somma liquidata a titolo di indennità di esproprio la Corte d’Appello avrebbe erroneamente preso a misura anche il vincolo espropriativo discendente dall’essere l’area ablata destinata a viabilià di progetto.
4.2. Il motivo, sfrondato comprensibilmente di ogni suggestione motivazionale inferibile con riferimento al soppresso dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto al resto si rende inammissibile per un chiaro difetto di specificità.
Non spiegano per vero i ricorrenti le ragioni donde deriverebbe l’errore imputato alla Corte d’Appello, dacché, sotto il profilo dell’errore motivazionale, non allegano alcun fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, di cui sia stato omesso l’esame, piuttosto indicando un fatto (il vincolo espropriativo), secondo la loro ipotesi invece esaminato dal decidente; sotto il profilo dell’errore di diritto, non indicano nel ragionamento decisorio a mezzo di quale affermazione si debba ritenere che il decidente nel liquidare l’indennità, non abbia ignorato il vincolo espropriativo, sicché la censura risulta affetta da un eloquente tautologismo.
5.1. Con il quarto motivo di ricorso, sempre declinato con il più ampio riferimento possibile al vizio di motivazione, i ricorrenti si dolgono ancora della violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, nonché della violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 33 e 39, in cui la Corte d’Appello, sempre in sede di liquidazione dell’indennità di esproprio, sarebbe incorsa non considerando che in conseguenza dell’allargamento della sede stradale da realizzarsi sulla porzione di terreno ablato, si sarebbe determinato un sopravanzamento della fascia di rispetto con l’effetto di deprimere la capacità edificatorie della porzione residua di fondo, privata della possibilità di ampliare o trasformare gli edifici esistenti, non senza pure nel contempo escludere ogni utilizzabilità a fini edificatori dell’area incisa dal vincolo ex lege.
5.2. Il motivo – ancora opportunamente sfrondato da ogni suggestione motivazionale, risultando il vizio allegato a questo titolo estraneo al parametro normativo evocato o non idoneo ad integrarlo – è quanto alla censura in punto di diritto privo di fondamento.
5.3. Scrutinando funditus la questione se il sacrificio a cui è chiamato il privato che per effetto dell’allargamento dell’area viaria e della conseguente estensione a margine di essa della fascia di rispetto veda compromesso l’esercizio dei diritti dominicali e segnatamente la capacità edificatoria sottesa originariamente al fondo di sua proprietà sia indennizzabile la giurisprudenza di questa Corte ha da ultimo affermato che “nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste” (Cass., Sez. I, 5/06/2020, n. 10747); ed ancora che “lo spostamento della fascia di rispetto autostradale all’interno dell’area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sé non indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell’indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, mediante il computo delle singole perdite conseguenti al deprezzamento dell’area residua, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della stessa, ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste in proprietà” (Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13598).
Nelle citate occasioni si è precisato che il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42; che, malgrado ciò, sarebbe tuttavia eccessivo rispetto agli scopi del vincolo legale di inedificabilità attribuirgli un effetto pervasivo indiretto e sostanzialmente ablatorio, senza indennizzo anche sulle parti residue della proprietà; che infatti, nella descritta ipotesi di sopravanzamento della fascia di rispetto, la corrispondente porzione del bene, edificabile prima dell’ablazione della fascia di rispetto, diviene in ragione di ciò inedificabile, con la conseguenza che il proprietario della residua porzione di fondo vedrà contrarsi la capacità edificatoria del medesimo in proporzione alla quota di essa corrispondente all’area sovrastata dal nuovo vincolo di inedificabilità, subendo in tal modo un indiretto effetto ablatorio che non lo priverà del diritto di proprietà sull’area destinata a fascia di rispetto, ma di quel diritto perderà la facoltà forse più rappresentativa consistente nella sua sfruttabilità edilizia che, di conseguenza, onde evitare che tale effetto negativo si ripercuota doppiamente in capo al proprietario, una prima volta, direttamente, per effetto del vincolo di inedificabilità sorgente sulla nuova fascia di rispetto ed una seconda volta per effetto della contrazione dell’originaria capacità edificatoria del fondo, è consentito ricorrere all’interpretazione estensiva della disciplina dettata in materia di espropriazione parziale dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, all’uopo soccorrendo anche la considerazione che a mente del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, la determinazione dell’indennità di esproprio risulta dovuta anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà.
5.4. A questo quadro di riferimento si rende opportuno, a completo schiarimento della fattispecie, almeno nei suoi tratti istituzionali, aggiungere un’ulteriore osservazione. E’ bene infatti precisare che nel dare applicazione estensiva alla detta disciplina dell’espropriazione parziale non è in ogni caso consentito deflettere da quelle che per consolidato insegnamento di questa Corte sono le condizioni che ne consentono l’applicazione. Va da sé, allora, che allorché si intenda indennizzare il proprietario della diminuzione di valore che la porzione del fondo rimasto nella sua disponibilità viene a soffrire sotto il profilo della riduzione della propria originaria capacità edificatoria in considerazione del vincolo di inedificabilità cui soggiace la restante porzione di esso su cui insiste la fascia di rispetto, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 e, dunque, l’indennizzabilità che esso consente, postula, da un lato, che l’imposizione del vincolo sulla fascia di rispetto sia effettivamente foriero di un pregiudizio negativo in danno della residua porzione del fondo, nel senso di privare il proprietario di una quota parte dello ius aedificandi esercitabile ab origine sul medesimo; e dall’altro che tra le due porzioni del fondo in cui risulta suddiviso per effetto del procedimento ablatorio il fondo originario sussista un vincolo strumentale ed obiettivo tale da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale. E solo perciò in presenza di siffatte condizioni che deve ritenersi possibile il ricorso all’applicazione estensiva della disciplina anzidetta.
5.5. Ora, per venire al caso che ne occupa, la doglianza dei ricorrenti, alla luce delle esposte considerazioni, si svuota prestamente di ogni consistenza.
Nessun seguito può per vero essa trovare laddove lamenta “l’inutilizzabilità ai fini edificatori dei fondi ex novo incisi dal vincolo ex lege”, costituendo la fascia di rispetto, come si è detto, un limite legale della proprietà consentito dall’art. 42 Cost., gravante su una platea indistinta di consociati in relazione alla localizzazione di taluni beni di cui siano proprietari, limite che si traduce in particolare nell’istituzione sui fondi medesimi di un vincolo di inedificabiltà assoluta.
Non miglior sorte la doglianza riscuote nel sostenere che “il sopravanzamento della fascia di rispetto… influisce negativamente sulle porzioni residue dei ricorrenti azzerando ogni possibilità di ampliamento e/o trasformazione degli edifici esistenti”. E ciò innanzitutto perché come pure ha obiettato il Procuratore Generale andrebbe primamente stabilito se le aree residue avessero, prima della realizzazione dell’opera pubblica, una ulteriore potenzialità edificatoria o se invece avessero esaurito ogni facoltà del genere, profilo rimasto negletto nell’illustrazione del motivo e quindi inidoneo a dimostrare la sussistenza di un pregiudizio negativo in danno della residua porzione di fondo; farebbe poi in ogni caso difetto, come si è visto esaminando i primi due motivi di ricorso, l’ulteriore condizione costituita dall’unita econonomico-funzionale delle porzioni costituente il fondo originario non riscontrabile nel caso di specie per la separazione fisica esistente tra di esse.
5.6. Il motivo non è perciò fondata e non merita di conseguenza adesione.
6. In conclusione va accolto, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, respinti o inammissibili risultando i restanti.
Debitamente cassata nei limiti del motivo accolto la causa va rimessa al giudice a quo per il necessario seguito.
PQM
Accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso e rigetta il quarto motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Venezia che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021