Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27559 del 11/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26886/2017 proposto da:

T.A., B.G., elettivamente domiciliate in Roma, Via degli Scipioni n. 267, presso lo studio dell’avvocato Ciardo Daniela, rappresentate e difese dall’avvocato Elia Immacolata, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ta.An., elettivamente domiciliato in Roma, Viale dei Parioli n. 54, presso lo studio dell’avvocato Francioso Luciana, rappresentato e difeso dall’avvocato Zurlo Nicolangelo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

M.M.: quale curatore speciale del minore T.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1036/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 06/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/06/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1036/2017 pubblicata il 6-10-2017 e notificata nella stessa data la Corte d’appello di Lecce, per quanto ancora di interesse, ha respinto l’appello principale proposto da T.A. e B.G. nei confronti di Ta.An. e per l’effetto ha confermato la sentenza impugnata n. 1315/2016 del Tribunale di Brindisi, con la quale era stato dichiarato, in accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità, proposta da Ta.An., che quest’ultimo non era il padre biologico di T.F., nato a ***** e di T.A., nata a *****, nonché era stata condannata B.G. al pagamento in favore di Ta.An. di Euro 50.000,00, a titolo di risarcimento danni relativo al disconoscimento di T.A.. La Corte di merito ha rilevato che: i) era infondato il motivo d’appello in punto tempestività della proposizione dell’azione di disconoscimento, in quanto il T., solo nel febbraio – marzo 2012, dopo l’esame del DNA, aveva acquisito la consapevolezza di non essere il padre di T.F. e successivamente, dopo l’incontro con l’ex moglie e i parenti avvenuto a *****, aveva appreso dall’ex moglie che neppure T.A. era sua figlia, sicché l’azione era stata proposta entro l’anno, ex art. 244 c.c.; ii) correttamente il Tribunale aveva considerato, come prova della fondatezza delle domande di disconoscimento, il rifiuto ingiustificato dei due figli di sottoporsi all’esame del DNA; iii) il danno non patrimoniale subito dal T. per la perdita del rapporto filiale e relativo al disconoscimento di T.A. era stato quantificato, in via equitativa, in misura congrua, assumendo come parametro le tabelle del Tribunale di Milano, con la decurtazione di 5/6 dell’importo previsto in caso di morte del congiunto.

2. Avverso questa sentenza T.A. e B.G. propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, resistito con controricorso da Ta.An., mentre è rimasto intimato il curatore speciale di T.F..

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati: “1” Violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 13 Cost., art. 244 c.c., comma 2, art. 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata erroneamente ritenuto assolto l’onere probatorio in relazione alla tempestività dell’azione di disconoscimento, attraverso l’utilizzo di prova arbitraria, illegittima ed illegale; 2. Violazione ex art. 360 c.p.c., per inosservanza dell’art. 115 c.p.c., per aver la motivazione gravata omesso di apprezzare la prova testimoniale dei convenuti, così violando il principio di disponibilità delle prove; 3. Violazione ex art. 360 c.p.c., per inosservanza dell’art. 115 c.p.c., per aver la motivazione gravata erroneamente considerato la richiesta di rinvio da parte dei figli disconoscendi quale rifiuto ingiustificato a prestarsi all’esame biologico. Violazione ex art. 360 c.p.c., per inosservanza dell’art. 116 c.p.c., per aver la sentenza impugnata erroneamente tratto dalla condotta processuale dei figli disconoscendi argomento di prova ai loro danni. 4. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 2059,2697 c.c., per avere la sentenza impugnata espresso condanna al danno non patrimoniale, in difetto di prova”. Con il primo motivo le ricorrenti deducono che il T. ha prelevato in maniera occulta e clandestina i campioni salivari dei figli, in violazione dell’art. 13 Cost., e i giudici di merito hanno ritenuto dimostrata la tempestività dell’azione di disconoscimento in base all’esame del DNA, apprezzandolo come una prova, nonostante fosse stata assunta contra legem e in ogni caso essa era inidonea a provare l’adulterio e soprattutto la conoscenza dell’adulterio, avendo invece il T. voluto precostituirsi quella prova in maniera moralmente discutibile e giuridicamente illegittima. Le ricorrenti segnalano l’illegittimità costituzionale dell’art. 116 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3,13,24 e 29 Cost., nonché con l’art. 191 c.p.p., in uno con il principio di ragionevolezza, laddove la norma ometterebbe di prevedere limiti al principio di disponibilità delle prove, facultando il giudice, come accaduto nel caso di specie, addirittura ad apprezzare prove illegittimamente acquisite in danno di minore, con violazione di un doppio principio costituzionale, ai sensi dell’art. 13 e dell’art. 29 Cost.. Con i motivi secondo e terzo le ricorrenti si dolgono dell’errata valutazione delle risultanze testimoniali, con riferimento alle deposizioni dei testi assunti su loro indicazione, e della condotta processuale dei figli, che non si erano rifiutati categoricamente di sottoporsi all’esame biologico, ma avevano chiesto del tempo per prendere una decisione, sicché erroneamente i giudici di merito avevano tratto argomenti di prova da dette condotte. Con il quarto motivo deducono che il T. non aveva dimostrato di aver subito un pregiudizio, ed anzi per un ventennio aveva avuto con i figli un rapporto esaustivo di amore e di affetto. Rimarcano, pertanto, l’insussistenza dell’an della pretesa risarcitoria e contestano il ricorso all’equità nella valutazione del quantum.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il ricorrente, qualora proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto deve non solo allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto e in che modo la questione stessa sia stata prospettata, precisando elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, compiutamente riportando le relative deduzioni nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” (tra le tante Cass. n. 17049/2015; Cass. n. 16347/2018; Cass. n. 7499/2019).

2.2. Ciò posto, nella sentenza impugnata non vi è il minimo accenno alla questione dell’illecita acquisizione del campione salivare e dell’inutilizzabilità” della prova. La Corte di merito ha sintetizzato il primo motivo d’appello, sull’eccezione di decadenza ex art. 244 c.c. (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata in cui è esposta l’illustrazione del suddetto motivo, concernente la mancata dimostrazione, da parte del T., dei tempi e modi dell’adulterio e in ordine alla mancata indicazione della persona con cui il tradimento sarebbe avvenuto), ma non ha menzionato affatto la questione della pretesa illiceità della prova.

Nell’illustrazione del motivo in disamina le ricorrenti non riportano il testuale tenore del primo motivo d’appello e neppure si dolgono specificamente della mancata pronuncia sulla questione dell’inutilizzabilità/illiceità della prova, ma del fatto che detta prova sia stata posta a fondamento del ragionamento sulla mancata decadenza dall’azione ex art. 244 c.c., nonostante fosse, a loro avviso, contra legem. Nella ricostruzione della vicenda processuale (pag. 3 ricorso) le stesse ricorrenti assumono di aver contestato, con il loro primo atto difensivo, solo l’efficacia probatoria dell’esame genetico, denunciando “l’anomalia del prelievo di campioni fatti non dal personale sanitario ma dal padre, di soppiatto, all’insaputa dei figli, in maniera subdola e fraudolenta”. Quanto al contenuto dei motivi d’appello, in ricorso (pag. 4) è solo genericamente dedotto che erano state espresse articolate doglianze sull’operato del Tribunale e che non erano “utilizzabili, ad usare un’espressione penalistica” i campioni salivari “assunti dal T.” contra legem sia nella forma, per essere stati prelevati “inaudita altera parte in maniera occulta, al di fuori dei requisiti stabiliti dalle legge ed al di là dei principi costituzionali ex art. 13 Cost.”, sia nella sostanza perché non attendibili, essendone incerta la provenienza.

Le ricorrenti, per non incorrere nel difetto di autosufficienza, trattandosi di questione che involge anche profili fattuali (prelievo del campione salivare all’insaputa e contro la volontà del figlio minore), avrebbero dovuto indicare con precisione e in dettaglio come era stata espressa la doglianza, nel giudizio d’appello, in punto d’invalidità della prova con riguardo ai profili ora denunciati, non menzionati, si ribadisce, nella sentenza impugnata. Ciò che difetta nella premessa in rito e in forma autosufficiente, infatti, è il dove (in premessa dell’atto, oppure con uno specifico motivo) e il come (in forma di generica lamentazione oppure ponendo al giudice dell’impugnazione la necessità di esaminare la specifica censura) la questione sia stata posta e illustrata, comportando essa – com’e’ evidente – la necessità di una specifica istruttoria giudiziale che non si sa per colpa di chi (se erano state poste domande testimoniali) – sarebbe del tutto mancata.

In difetto di tali puntuali indicazioni, che non è dato evincere dall’esposizione di cui al ricorso sopra riassunta, la doglianza è inammissibile per difetto di autosufficienza.

2.3. Dall’inammissibilità della censura nei termini precisati discende l’assorbimento della eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 116 c.p.c., che resta, pertanto, di nessuna rilevanza nella specie, con riferimento al profilo prospettato (apprezzamento, da parte del giudice di merito, di prove illegittimamente acquisite).

3. I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

3.1. Questa Corte ha, da tempo, chiarito che a seguito della sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2006, in. 266, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 235 c.c., comma 2, nella parte in cui subordinava l’esame delle prove ematologiche alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie, il giudice di merito deve procedere agli accertamenti genetici anche in mancanza di prova dell’adulterio, traendo argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., dall’eventuale rifiuto di una parte di sottoporsi al prelievo (cfr. Cass.n. 4175/2007), sicché è infondato il profilo di doglianza sollevato con riferimento a tale aspetto.

3.2. Le censure sono inammissibili nella parte in cui, esprimendo una serie di critiche inerenti la valutazione, effettuata dalla Corte territoriale, delle risultanze emergenti dalla prova per testi e della condotta processuale dei figli, in ordine al loro rifiuto di sottoporsi agli esami del DNA, si risolvono in un’impropria richiesta di riesame probatorio e dei fatti.

Infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (tra le tante Cass. n. 21887/2019).

4. Il quarto motivo è inammissibile.

4.1. La censura circa la sussistenza e la quantificazione del danno subito dal T. per la perdita del rapporto parentale con i figli “putativi” è espressa in modo del tutto generico, senza confronto con il decisum sul punto e senza la benché minima illustrazione degli elementi a supporto della critica, salvo il riferimento, all’evidenza non conducente rispetto all’assunto che si vuole sostenere, al “rapporto esaustivo di amore e di affetto” avuto dal danneggiato con i “figli” per un ventennio.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

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