Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27587 del 11/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25463/2020 proposto da:

E.D.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Ercole Bombelli 29 B presso lo studio dell’avvocato Verrastro Francesco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Quadruccio Paolo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2121/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

CHE:

Il ricorrente, cittadino *****, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere nato a *****, e che all’età di dodici anni si è trasferito a *****; di essere tornato a ***** per seppellire il padre e qui aveva avuto delle liti con un suo connazionale che intendeva costruire una casa nel terreno dove era stato sepolto il padre; di avere subito minacce, di essere stato rapito, picchiato e di essere infine fuggito, rifugiandosi nuovamente a *****, dove nel 2014 una bomba aveva distrutto la sua casa, sicché egli aveva deciso di espatriare.

La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta.

Il Tribunale dell’Aquila, adito dal ricorrente, ha respinto la domanda. Il ricorrente ha proposto appello che è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello dell’Aquila. La Corte di Cassazione con ordinanza numero 14875 del 2018 ha ritenuto l’appello tempestivo e rinviato la causa alla stessa Corte d’appello dell’Aquila in diversa composizione. La Corte con la sentenza oggi impugnata ha respinto l’appello, ritenendo le dichiarazioni del ricorrente inattendibili e contraddittorie in particolare sul fatto che abbia veramente vissuto a *****, ritenendo invece che egli abbia vissuto a *****. Di conseguenza ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b). Ha inoltre escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), rilevando che in ***** non può dirsi raggiunto un livello di violenza indiscriminata talmente elevato da far ritenere che un civile correrebbe rischi per la sola presenza sul territorio, in particolare perché i fenomeni violenti sono in fase di regressione e limitati alle sole regioni del nord est. Ha infine escluso la protezione umanitaria, ritenendo non sufficiente a tal fine l’allegazione di essere in giovane età e il riferimento e alle generali condizioni di privazione delle libertà nel paese di origine e alle condizioni economiche precarie.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi. L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.

RITENUTO

CHE:

1.- 1.- Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 22 settembre 2020 avverso una sentenza pubblicata in data 23 dicembre 2019, è tempestivo.

Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.

Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.

Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3 relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di incandidabilità di cui al del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).

2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 6 nonché la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27 e del dovere di cooperazione istruttoria.

La parte lamenta che non siano state verificate le condizioni del paese di origine tramite fonti aggiornate e che la ricerca eseguita dalla Corte è superficiale. Deduce che il Collegio, dopo avere apoditticamente ed immotivatamente escluso che l’odierno ricorrente abbia vissuto a *****, sostiene che l’odierno ricorrente sia originario di *****, escludendo erroneamente la permanenza a ***** in ragione di una pretesa contraddizione sulla frequenza scolastica, che tuttavia è frutto di una superficiale lettura delle dichiarazioni.

Deduce inoltre che la Corte non ha considerato che, secondo i dati pubblicati dal *****, il ***** di ***** è più attivo nel nord del paese, ma al contempo nel ***** una nuova generazione di militanti minaccia la guerra, i soldati uccidono i civili indiscriminatamente e la polizia è nota per l’omicidio stragiudiziale; deduce che allo stesso modo altri siti tra cui i rapporti conoscitivi del Ministero degli affari esteri (*****) consigliano di evitare assolutamente i viaggi nel *****. Le informazioni assunte dalla Corte, pertanto, non sono né aggiornate né relative alla effettiva zona di provenienza del ricorrente.

Con il secondo motivo del ricorso la parte lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 Deduce che la Corte d’appello senza alcuna sostegno di prove ha escluso che il ricorrente abbia già vissuto a ***** e, quanto alla vicenda occorsagli a *****, ha erroneamente ritenuto che la polizia locale era in grado di perseguire adeguatamente l’autore, solo per averlo individuato. Di contro, rileva il ricorrente, il lassismo e il grado di corruzione delle forze di polizia locali alle quali egli si era affidato per ricevere protezione senza ottenerne, appaiono conclamati e provati già dal solo fatto che lo stesso vi si era rivolto per ben due volte senza ottenere aiuto alcuno.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili.

Parte ricorrente fonda la sua censura su presupposti che non hanno attinenza con la motivazione resa dalla Corte d’appello. In primo luogo si rileva che la Corte d’appello non ha affermato che il richiedente provenga da *****, bensì da *****; il riferimento a *****, contenuto alla pagina 19 della sentenza è un chiarimento in fatto reso su una sentenza di legittimità ivi citata. La Corte non ha in ogni caso ritenuto il soggetto proveniente dal *****, e quindi correttamente non ha acquisito informazioni sulle criticità che riguardano la zona del *****, che sono quelle cui si riferiscono i rapporti citati dal ricorrente nel suo ricorso. Il ricorrente peraltro si contraddice poiché se da un lato critica l’utilizzazione della fonte “*****” (sito del Ministero degli Esteri) da parte della Corte d’appello, poi a sua volta la cita come fonte attendibile laddove raccomanda di evitare viaggi nel *****. Di contro anche il ricorrente afferma, così come ha fatto la Corte, che i fenomeni di violenza sono limitati alla zona nord del paese, fatto questo ritenuto irrilevante dalla Corte, che ha escluso l’attendibilità della storia narrata dal richiedente asilo con riguardo alla sua permanenza a *****, nel nord del paese, non soltanto in base alle contraddizioni del narrato sulla frequenza scolastica – il che secondo il ricorrente costituirebbe una incongruenza inesistente – ma anche su altre lacune e contraddizioni rilevanti del racconto, in particolare la circostanza che prima abbia affermato che il padre lavorava *****, successivamente smentendo questa circostanza, che non abbia saputo precisare i periodi trascorsi nel nord e la zona della città dove sarebbe scoppiata la bomba, episodio in seguito al quale egli avrebbe preso la decisione di espatriare. Ne’ peraltro il ricorrente lamenta un vizio procedurale nel giudizio di attendibilità reso della Corte, che si è correttamente attenuta alla regola fissata dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, lett. a) valutando la coerenza interna del racconto, che riguarda le eventuali incongruenze, discrepanze o omissioni presenti nelle dichiarazioni. Il ricorrente è infatti tenuto ad allegare in modo chiaro e completo i fatti costitutivi della pretesa (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020) e il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020), posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020). Una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca (Cass. n. 24575/2020).

Quanto alla censura di omesso esame di fatto decisivo, la parte non precisa quale sarebbe il fatto decisivo non esaminato dalla Corte, ma piuttosto evidenzia il suo dissenso rispetto alle motivazioni rese dalla Corte su due fatti (da essa Corte esaminati) e cioè la permanenza a ***** e la capacità della polizia di proteggerlo dall’aggressore di *****, così sollecitando, in veste di censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, una inammissibile revisione del giudizio di fatto.

3.- Con il terzo motivo del ricorso la parte lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rilevando che il ricorrente aveva chiesto, in subordine, il riconoscimento della protezione umanitaria e che la Corte d’appello omettendo qualsivoglia riferimento alla vicenda personale dell’odierno ricorrente, ha liquidato il gravame ritenendo che le condizioni economiche precarie non costituiscono motivi idonei a concedere la protezione umanitaria, ponendo a fondamento della decisione una risalente giurisprudenza secondo cui lo svolgimento di un’attività lavorativa in Italia non costituisce il presupposto per il rilascio di soggiorno per motivi umanitari. Deduce inoltre che la condizione di vulnerabilità meritevole di valutazione può avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza in cui sia possibile soddisfare i bisogni e le esigenze della persona.

Il motivo è inammissibile.

La parte si limita ad una generica censura avverso la decisione della Corte d’appello in materia di protezione umanitaria, senza specificare quale fatto decisivo in concreto sarebbe stato omesso nell’esame della domanda e in particolare se il dedotto inserimento lavorativo è stato debitamente allegato e documentato dei gradi di merito.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

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