Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27588 del 11/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25820/2020 proposto da:

O.F., elettivamente domiciliato in Lucca viale Castracani 243 presso lo studio dell’avv. Giovanni Biagi, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 290/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

CHE:

Il ricorrente, cittadino *****, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di appartenere, originariamente, ad una comunità idolatra, ma che aveva ripudiato, insieme al padre, la religione idolatra e quindi, in quanto dichiarato “osu” (esiliato), dagli anziani, doveva essere sacrificato; che in effetti il padre è stato ucciso, mentre lui si è rifugiato in una chiesa cattolica e il parroco lo ha aiutato a fuggire; in seguito è stato sequestrato, è riuscito a fuggire e si è quindi stabilito Lagos dove, dopo un primo periodo di stenti, ha lavorato come cameriere e poi, sentendo alcuni ragazzi parlare della Libia si è messo in viaggio per questo paese e successivamente verso l’Italia.

Il ricorso è stato respinto dalla competente Commissione territoriale e dal Tribunale di Firenze, adito dal ricorrente in opposizione al provvedimento della Commissione. Il richiedente asilo ha proposto appello che la Corte d’appello di Firenze ha respinto sul rilievo che, anche dando la storia per vera, da essa non si desume un rischio, in quanto egli era già sfuggito alla persecuzione degli idolatri, si era trasferito nella capitale e aveva trovato un lavoro e quindi la sua migrazione è considerarsi determinata da ragioni economiche, alla ricerca di migliori condizioni di vita. La Corte di merito esclude anche il rischio di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. C, rilevando che la ***** è un paese molto vasto, ove sussistono solo rari focolai terroristici, vicende che però non hanno riguardato il richiedente. La Corte ha infine escluso la protezione umanitaria rilevando che, anche prescindere dalla questione della esatta individuazione della normativa applicabile alla fattispecie in esame, l’appellante non ha offerto concreti elementi che possano indurre a considerarlo persona particolarmente vulnerabile e che sebbene i motivi di appello contengano un cenno all’inserimento sociale raggiunto dallo straniero in Italia, la profondità dell’integrazione appare modesta e comunque inferiore a quella che l’appellante potrebbe velocemente ricostruire nel proprio paese.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a cinque motivi.

L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.

RITENUTO

CHE:

1.- Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 29/09/2020 avverso una sentenza pubblicata in data 3/2/2020, è tempestivo.

Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.

Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.

Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3 relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di incandidabilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).

2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La parte deduce che il dovere di cooperazione richiede che il giudice esamini le dichiarazioni rese dal ricorrente attraverso l’esame delle informazioni acquisite d’ufficio e prodotte dalla difesa relative alle condizioni del paese di origine, con aggiornamento al momento della decisione. La Corte d’appello ha invece omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio e non ha fornito alcuna motivazione in merito alla credibilità o meno delle vicende narrate dall’odierno ricorrente pronunciandosi sull’irrilevanza dei fatti riferiti sulla base di una mera opinione del giudice.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b). La parte deduce che ai fini della corretta applicazione della norma non è sufficiente escludere la condanna alla pena di morte o l’assenza di sanzioni inumani e degradanti perché comunque il richiedente sarebbe esposto a un danno grave dagli adepti del rito religioso ripudiato, atteso che la discriminazione realizzata nei confronti degli “osu” e l’inerzia delle autorità nel contrastare tale fenomeno è stata documentata negli atti di causa.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili.

La parte non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello, che non è entrata nel merito della valutazione di credibilità della storia narrata dall’odierno ricorrente, ma ha rilevato che dalla storia stessa non si evince alcun profilo di rischio, posto che le vicende di persecuzione per motivi religiosi risalgono ad epoca antecedente al suo trasferimento a Lagos. E’ lo stesso ricorrente, infatti, a raccontare che solo dopo essersi trasferito a Lagos e ivi avervi trovato lavoro ha deciso di recarsi in Libia. La valutazione del rischio, necessaria per potersi riconoscere la protezione internazionale, deve essere necessariamente fatta all’attualità e la Corte in questo caso ha sostanzialmente rilevato che il pericolo non era più attuale già prima dell’espatrio. Questa motivazione non è censurata dalla parte, che non ha asserito di essere stato ulteriormente perseguitato dopo il suo trasferimento a Lagos.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e art. 14, lett. c) e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, nonché dell’art. 132 c.p.c.

La parte deduce che nella sentenza oggetto dell’impugnazione si fa riferimento alle vicende personali narrate dal richiedente che vengono ritenute non credibili, ma in realtà l’accertamento sulla sussistenza di una condizione di violenza indiscriminata ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), deve precedere non seguire qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente. Detto accertamento deve essere aggiornato al momento della decisione e deve riferirsi all’attualità; la sentenza ha escluso il rischio per il riconoscimento della protezione sussidiaria con riferimento alla situazione attuale della ***** senza riportare in motivazioni le fonti informative utilizzate per raggiungere tale convincimento.

Il motivo è inammissibile.

Anche in questo caso il ricorrente omette di censurare la ratio decidendi fondamentale della sentenza della Corte che ha attribuito al richiedente asilo la qualifica di migrante economico in relazione a quanto da lui stesso esposto, escludendo pertanto ogni altro profilo di rischio. La censura appare pertanto standardizzata e stereotipata senza effettivo e concreto riferimento alle argomentazioni della Corte.

4.- Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 8 CEDU.

La parte deduce la violazione del dovere di cooperazione perché la Corte ha omesso la valutazione sul livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente ritenendolo irrilevante.

Il motivo è inammissibile.

La Corte ha esaminato la rilevanza dell’inserimento sociale dedotto dalla parte e lo ha ritenuto modesto, non sufficiente a fondare il riconoscimento della protezione umanitaria. Si tratta di un giudizio di fatto di cui in questa sede non può chiedersi la revisione; peraltro il ricorrente non chiarisce quali sarebbero i fatti decisivi prospettati nei gradi di merito, e in quale parte dell’atto d’appello sono stati sottoposti specificamente all’attenzione della Corte, quegli elementi che consentirebbero – in ipotesi – di pervenire ad un diverso giudizio.

5.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché in relazione all’art. 8 CEDU.

La parte deduce la violazione del dovere di cooperazione poiché le dichiarazioni del richiedente asilo avrebbero dovuto essere esaminate alla luce delle informazioni sul paese di origine, da indicare analiticamente, mentre la Corte d’appello ha omesso qualsiasi esame delle dichiarazioni e delle motivazioni addotte dal ricorrente per enucleare le ragioni dell’espatrio, enunciando considerazioni generiche e personali. La Corte inoltre non ha considerato i fatti decisivi prospettati dalla parte in sede di giudizio di merito sulla situazione di integrazione sul territorio nazionale, elemento fondamentale della valutazione comparativa necessaria ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile perché consiste in una ripetizione delle censure già avanzate con i motivi precedenti, non correlate alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

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