LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26434/2020 proposto da:
K.J., elettivamente domiciliato in Ravenna via della Lirica 43 presso lo studio dell’avvocato Andrea Camprini, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 345/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.
RILEVATO
CHE:
Il ricorrente, cittadino nigeriano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere stato aggredito, nel suo villaggio natio, da appartenenti alla comunità *****, che in precedenza gli avevano ucciso la madre, tramite un rito voodoo, e ancor prima ucciso il padre in occasione di una disputa per alcuni terreni.
Il ricorso è stato respinto dalla competente Commissione territoriale. Il richiedente ha proposto opposizione e il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento della domanda, ha riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Ha proposto appello il Ministero dell’Interno, che la Corte d’appello di Bologna ha accolto, rilevando che la decisione di primo grado soffre dei profili di contraddittorietà evidenziati dal Ministero in quanto il Tribunale, in motivazione, da un lato esclude la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale, dall’altro riconosce però la protezione umanitaria ma senza il supporto di gravi ragioni accertate. La Corte rileva inoltre il difetto di credibilità soggettiva del ricorrente e comunque la mancanza di attualità di un rischio;
assunte informazioni sulla condizione del paese di origine, di cui cita le fonti in sentenza, esclude che ricorra nell’effettiva zona di provenienza del ricorrente una situazione conflitto, localizzata invece nel nord est del paese, percorsa dai fenomeni terroristici dei gruppi di *****. Esclude quindi il diritto alla protezione umanitaria rilevando che il contratto di lavoro prodotto dall’appellato è limitato ad una contingenza spazio temporale transitoria insufficiente a prefigurare un solido e profondo radicamento meritevole di tutela.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi.
L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.
RITENUTO
CHE:
1.- Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 21/10/2020 avverso una sentenza pubblicata in data 23/1/2020, è tempestivo. Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.
Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.
Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3 relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di incandidabilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).
2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 La parte lamenta che il giudice non abbia rispettato i criteri procedimentali nella valutazione della credibilità del racconto posti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3. Deduce che il giudice si è richiamato genericamente al provvedimento di diniego espresso dalla Commissione, senza rendere possibile il controllo della motivazione e fornendo quindi una motivazione apparente, mentre di contro il richiedente ha fatto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, che ha presentato tempestivamente e la storia narrata è attendibile intrinsecamente.
Una attenta valutazione delle dichiarazioni del richiedente e dei documenti depositati avrebbe condotto ad una diversa decisione.
Il motivo è inammissibile.
Esso si risolve in una generica e apodittica affermazione di credibilità del racconto, senza muovere censure specifiche agli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello, che non ha soltanto richiamato il giudizio reso dalla Commissione ma ha anche indicato (pag. 4) quali sono le contraddizioni intrinseche in virtù delle quali ha escluso la credibilità soggettiva. La censura pertanto non coglie la ratio decidendi e non si confronta con essa.
3.-Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 8 e art. 14, lett. c) nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 La parte deduce che il giudice nel valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e sussidiaria deve sempre procedere ad esaminare la situazione del paese di origine, onde verificare la sussistenza del diritto al riconoscimento della protezione, senza limitarsi a valutare le ragioni che hanno spinto il richiedente ad abbandonare il suo paese ed anche a prescindere da queste, e dalla stessa credibilità delle sue dichiarazioni. Ha quindi errato la Corte a respingere la domanda di protezione sussidiaria anche sotto il profilo di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non indicando le fonti informative sul paese di origine o quantomeno indicandole in maniera superficiale ed apparente; rileva peraltro di avere depositato in giudizio il passaporto attestante con certezza la sua provenienza.
Il motivo è inammissibile.
Non risulta che il ricorrente abbia proposto appello incidentale sul rigetto delle due protezioni maggiori, non affermandolo la Corte di merito né deducendolo la parte in ricorso. La questione non faceva quindi parte del thema decidendum, tanto che la Corte, nell’argomentare sulla situazione del paese di origine, precisa che si tratta di una indagine effettuata “per mero scrupolo di completezza”. Pertanto tutte le argomentazioni spese sulla credibilità soggettiva e sulla situazione del paese di origine, servono a ricostruire il quadro generale prima di procedere all’esame dell’appello principale proposto dal Ministero sulla protezione umanitaria, accogliendolo per i motivi sopra indicati, e non a respingere la domanda di protezione sussidiaria, sul cui rigetto è passata in giudicato la sentenza di primo grado.
4.-Con il terzo motivo del ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 La parte lamenta che la Corte d’appello abbia respinto la domanda di protezione umanitaria (recte: accolto l’appello del Ministero sul punto) solo sulla base della valutazione negativa del contratto di lavoro prodotto dall’appellato, senza valutare tutti gli elementi di vulnerabilità, e l’effettivo grado di integrazione sociale, provato in primo e in secondo grado, e senza dare conto delle argomentazioni delle parti e in particolare senza confutare le argomentazioni espresse dal tribunale di Bologna a supporto del riconoscimento della protezione umanitaria. Deduce quali fattori individualizzanti di vulnerabilità la condizione sociale non certo abbiente del ricorrente che lo priverebbe di tutela da parte delle forze dell’ordine e di una difesa adeguata e lo esporrebbe alle minacce ricevute dagli appartenenti alla etnia avversa.
il motivo è inammissibile, in quanto tende a sollecitare una rivalutazione del giudizio di fatto operato dalla Corte, che ha escluso un effettivo inserimento sociale, ritenendo tal fine insufficiente il contratto di lavoro depositato dalla parte perché limitato a una contingenza transitoria; di contro la parte non precisa in ricorso in quale altro modo essa avrebbe dimostrata la sua dedotta integrazione sociale. Inoltre, la Corte ha escluso la credibilità della storia narrata e pertanto correttamente non ha tenuto conto, nella valutazione comparativa delle condizioni del paese di origine, il dedotto rischio di non essere protetto, in caso di rimpatrio, dalle minacce da parte di appartenenti al gruppo etnico avversario.
In conclusione, il ricorso è da dichiarare inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021