Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27724 del 12/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 13473/2016 proposto da:

U.A., e B.D., rappresentati e difesi dagli Avvocati Aurelio Giorgini, e Armando Giorgini, con domicilio eletto nel loro studio in Roma, piazza Amerigo Capponi, n. 16;

– ricorrenti –

contro

F.G., e G.A.M., rappresentati e difesi dagli Avvocati Ennio Pizzino, e Alessandro Pizzino, con domicilio eletto nel loro studio in Roma, viale XXI Aprile, n. 12;

– controricorrenti –

e contro

P.L., P.M., P.A., L.E., FA.Fr., FA.Al., FA.Ce., FA.Gu., COMUNE di ROCCA DI PAPA, PE.Ma. quale erede di C.E.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma pubblicata il 10 febbraio 2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 19 settembre 2001, U.A. e B.D., in seguito alla proposizione di un ricorso per denunzia di nuova opera (respinto), convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri – Sezione distaccata di Frascati, F.G. e G.A.M., chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’illegittimità dell’apertura, nello stabile di proprietà dei convenuti, di vedute dirette sul proprio fondo, siccome realizzate a distanza inferiore a quelle legali ex art. 905 c.c. (un metro e mezzo) ed a quelle previste dal piano regolatore generale (metri 5,25), con condanna delle controparti alla chiusura od eliminazione delle vedute stesse.

Si costituivano in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda avversaria e sollecitando un previo accertamento incidentale, con efficacia di giudicato ex art. 34 c.p.c., sulla questione pregiudiziale di merito di determinazione della reale estensione del diritto di proprietà degli attori (sul presupposto che questi ultimi, secondo quanto prospettato dai medesimi convenuti, erano proprietari del fondo rustico, ma non anche di alcuna porzione del viale, sviluppantesi integralmente sul fondo di proprietà comunale, con diritto di transito a favore del fondo di proprietà degli eredi P. – L.B.).

I convenuti chiedevano ed ottenevano dal Tribunale adito la chiamata in causa, ad integrazione del contraddittorio, del Comune di Rocca di Papa e degli eredi di P.O. e di L.B.N..

Il Comune di Rocca di Papa restava contumace.

Si costituivano, invece, P.L., P.M., P.A., L.A. ed C.E., i quali, nelle loro qualità di eredi di P.O. e di L.B.N., contestavano in toto le domande attrici. Essi chiedevano che, in via riconvenzionale, in forza della sentenza n. 1088/1985 della Corte di Appello di Roma, passata in giudicato tra le parti U. e P., fosse accertato e dichiarato che sul viale in questione, di proprietà comunale, vantavano la servitù di passaggio costituita per atto pubblico del 16 marzo 1953 ovvero per usucapione a decorrere sempre dal 1953.

2. – Il Tribunale di Velletri – Sezione distaccata di Frascati, con sentenza n. 75/2008, da un lato respingeva la domanda di U.A. e B.D. e, da un altro lato, dichiarava ed accertava che, in favore dei soggetti chiamati in causa, faceva stato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., la sentenza n. 1088/1985 della Corte di appello di Roma, passata in giudicato, in forza della quale spettava loro il diritto di passaggio sulla strada destinata ad uso pubblico, di proprietà del Comune di Rocca di Papa.

Quanto al rigetto della domanda, il Tribunale rilevava che “e’ chiaramente emerso che le distanze tra le dette vedute e la proprietà della parte attrice è superiore in tutta la sua estensione a quella prevista dall’art. 905 c.c., pari a un metro e mezzo”, aggiungendo che “tra il muro su cui sono poste le vedute dirette di proprietà dei convenuti… e la proprietà dei signori U.A. e B.D. insiste una proprietà del Comune di Rocca di Papa… la cui estensione è delimitata nei propri confini dal lavatoio comunale, dalla cabina ENEL, dalla proprietà comunale adibita a magazzino e garage… dalla proprietà P…. e dalla proprietà della parte attrice… la cui ampiezza, difforme in tutta la sua estensione, va da un minimo di due metri lineari ad un massimo di cinque metri e cinquantacinque lineari”.

3. – Avverso tale decisione interponevano gravame, dinanzi alla Corte di appello di Roma, U.A. e B.D..

Si costituivano tutti gli appellati, ad esclusione del Comune di Rocca di Papa, chiedendo il rigetto del gravame principale e l’accoglimento delle rispettive impugnazioni incidentali.

4. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3488/11, depositata il 5 settembre 2011, definitivamente pronunziando, accoglieva solo in parte l’appello e dichiarava inammissibili gli appelli incidentali proposti rispettivamente dal F. e dalla G. e dai P., confermando, nel resto, l’appellata sentenza.

Per quanto qui di interesse, la Corte territoriale si basava sul rilievo, ritenuto assorbente in quanto decisivo, rappresentato dalla proprietà pubblica dello stradello che divide la proprietà degli attori (appellanti) da quella dei convenuti F. – B., con conseguente esclusione dell’obbligo di cui all’art. 905 c.c., alla luce del disposto di cui all’ultimo comma di tale disposizione.

5. – U.A. e B.D. impugnavano la suddetta sentenza di secondo grado con ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo.

Si costituivano, con controricorso, F.G. e G.A.M..

6. – La Corte, con ordinanza della VI-2 Sezione civile 26 giugno 2013, n. 16200, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese del giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Riteneva la Corte di cassazione, condividendo la proposta del relatore, la manifesta fondatezza dell’unico motivo formulato, con cui i ricorrenti avevano dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 905 c.c., comma 3, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Nello specifico, U. e B. avevano censurato la sentenza d’appello per il fatto che l’incontestata circostanza in base alla quale fra i due fondi fosse interposta una strada di proprietà comunale, non avrebbe potuto consentire di considerare la strada stessa come pubblica, con il conseguente esonero dal divieto di aprire vedute a distanza inferiore a m. 1,50 dal confine.

La Corte territoriale, infatti, pronunciandosi sulla specifica questione se, nel caso di specie, trovasse o meno applicazione dell’art. 905, comma 3 (in relazione, cioè, al presupposto se esistesse o meno tra i due fondi una via pubblica), aveva riconosciuto che l’uso della strada fosse riservato esclusivamente ai P. e, tuttavia, aveva ritenuto applicabile la richiamata disposizione normativa, in virtù del fatto che la strada appartenesse, a titolo petitorio, al Comune di Rocca di Papa.

Senonché – rilevava la Corte di Cassazione alla stregua della concorde giurisprudenza di legittimità – la ricostruzione operata dal giudice di appello appariva, all’evidenza, erronea.

Ed infatti – affermava la Corte – ciò che rileva ai fini dell’esenzione non è l’appartenenza del suolo su cui il passaggio si esercita ad un ente pubblico o ad un privato, ma la pubblicità dell’uso al quale quel passaggio è destinato; ed inoltre, l’esonero dal divieto è giustificato dall’identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti. Dunque, essendo pacifico tra le parti in causa (ed, infatti, nessuna di esse ha mai sostenuto che il tratto in questione fosse identificabile come una pubblica via, anzi i P. hanno sempre difeso il loro esclusivo passaggio) che alla porzione di terreno, di proprietà comunale, abbiano accesso i soli P., sembra indubbio che la stessa non possieda il carattere di uso pubblico richiesto dall’art. 905 c.c., per esimere dal rispetto della distanza minima tra le costruzioni. In conclusione – affermava la Corte – i ricorrenti hanno correttamente rilevato l’errore della Corte territoriale che, da un lato, ha riconosciuto che i P. esercitano una servitù di passaggio per accedere, attraverso di essa, alla loro proprietà, ma, dall’altro lato, ha attribuito ad una semplice porzione di terreno comunale la connotazione di una via pubblica.

Il Collegio della VI-2 Sezione della Corte di cassazione condivideva argomenti e proposte contenuti nella relazione anche a seguito dei rilievi esposti nella memoria difensiva depositata nell’interesse dei controricorrenti, ribadendo che, perché si possa parlare di strada pubblica ai fini dell’esonero dal rispetto delle distanze nell’apertura di vedute dirette e balconi, ex art. 905 c.c., comma 3, occorreva che la destinazione della strada all’uso pubblico risultasse da un titolo legale, il quale può esser costituito oltreché da un provvedimento dell’autorità o da una convenzione con il privato anche dall’usucapione ove risulti provato l’uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all’acquisto del relativo diritto, restando peraltro escluso che a tal fine rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene uti singuli essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all’uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti.

7. – Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 febbraio 2016, ha respinto la domanda proposta dall’ U. e dalla B. e ha regolato le spese del giudizio.

La Corte territoriale ha rilevato che la stessa documentazione fotografica (oltre che le planimetrie allegate alle varie consulenze tecniche di ufficio depositate in atti) consente di rendersi conto che la parte indubbiamente ad uso pubblico della particella n. ***** (ovvero quella asfaltata, antistante sia alla cabina elettrica che prospiciente l’ingresso del deposito comunale) consente un affaccio diretto sul fondo di proprietà degli attori che, pertanto, risulta esposto al passaggio di tutti coloro che sono diretti all’una o all’altra e che, attesa la natura dei locali, non possono per questa ragione essere considerati come singoli utilizzatori di quegli spazi che, invece, sono destinati ad un uso pubblico.

8. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, resa in sede di rinvio, U.A. e B.D. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 24 e il 25 maggio 2016, sulla base di due motivi.

Hanno resistito, con controricorso, F.G. e G.A.M..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

9. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

I controricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa in prossimità della Camera di consiglio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando che la sentenza impugnata non si sia uniformata al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16200 del 2013. Il principio di diritto – osservano i ricorrenti – era chiaro: per il tratto di terreno di proprietà comunale, che separa la proprietà U. da quella F. e sul quale i P. godono, da soli, di servitù di passaggio, non si può parlare di strada pubblica ai fini dell’esonero dal rispetto delle distanze nell’apertura di vedute dirette e balconi ex art. 905 c.c., comma 3. Pertanto, la Corte del rinvio avrebbe dovuto limitarsi, in base al principio così enunciato, ad accogliere tutte le domande proposte dagli attori.

2. – Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 905 c.c., comma 3. I ricorrenti deducono che dall’esame della documentazione, anche fotografica, in atti si evince non esser vero quanto affermato dalla Corte di rinvio in ordine alla possibilità che dalla strada di accesso alla proprietà U. sia possibile l’affaccio a quella parte della proprietà che è visibile dal tratto goduto dai soli P. e sottostante alle finestre F. e G.. La porzione di terreno di proprietà del Comune, interessata dal presente giudizio, sarebbe esclusivamente quella che, chiusa e non accessibile al pubblico, è strettamente antistante alle finestre che sono state aperte dai resistenti. Ciò che rileva – assumono i ricorrenti – è se la porzione di proprietà del Comune che si trova direttamente di fronte alle finestre in oggetto, e quindi tra la proprietà F. e quella U., sia una strada pubblica: e sarebbe indiscutibile che in quel punto non si tratti di strada pubblica, ma di terreno chiuso da un cancello, accessibile esclusivamente ai P., proprietari del piano terra dell’edificio.

3. – Il primo motivo è infondato.

3.1. – Com’e’ noto, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 2, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass., Sez. lav., 6 aprile 2004, n. 6707; Cass., Sez. I, 7 agosto 2014, n. 17790; Cass., Sez. lav., 24 ottobre 2019, n. 27337; Cass., Sez. II, 14 gennaio 2020, n. 448).

3.2. – Nella specie si versa in questa terza ipotesi.

3.3. – Con l’ordinanza rescindente della VI-2 Sezione civile n. 16200 del 2013, infatti, la Corte di cassazione ha accolto, per manifesta fondatezza, l’unico motivo di ricorso, con il quale erano state dedotte sia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 905 c.c., comma 3, sia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla stessa norma.

La Corte di cassazione ha individuato essere pacifico tra le parti in causa che la porzione di terreno in questione, di proprietà comunale, non è identificabile come pubblica via, avendo ad essa accesso i soli P., e quindi non possiede il carattere di uso pubblico richiesto dall’art. 905 c.c., per esimere dal rispetto della distanza minima tra le costruzioni.

La ordinanza di cassazione ha quindi individuato l’errore compiuto dalla Corte d’appello che, da un lato, ha riconosciuto che i P. esercitano una servitù di passaggio per accedere, attraverso di essa, alla loro proprietà e, dall’altro, ha attribuito ad una semplice porzione di terreno comunale la connotazione di una via pubblica.

La Corte di cassazione ha così enunciato il principio di diritto secondo cui la qualificazione di una strada come pubblica, ai fini dell’esonero dal rispetto delle distanze nell’apertura di vedute dirette e balconi, ex art. 905 c.c., comma 3, esige che la sua destinazione all’uso pubblico risulti da un titolo legale, che può essere costituito non solo da un provvedimento dell’autorità o da una convenzione con il privato, ma anche dall’usucapione, ove risulti dimostrato l’uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all’acquisto del relativo diritto, restando peraltro escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene uti singuli, essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all’uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti.

3.4. – In sostanza, la Corte di cassazione ha affermato il principio di diritto per cui, in tema di distanza per l’apertura di vedute dirette o balconi, l’esonero dal divieto è giustificato dall’identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti; ed ha escluso, ravvisando il vizio di motivazione, che l’accesso da parte dei soli P. alla strada in questione, appartenente al Comune di Rocca di Papa, valga a renderla una strada pubblica.

3.5. – Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Roma è pervenuta al rigetto della domanda degli attori sulla base del seguente percorso:

ha ritenuto ammissibili e rilevanti le considerazioni spese dalla difesa del F. e della G. in ordine alla dislocazione dei fondi e alla posizione della strada pubblica, che non è necessario che si frapponga tra questi, essendo “sufficiente che i fondi interessati vi confinino in modo da consentire a chiunque di spingere lo sguardo sui fondi adiacenti e, pertanto, esporre il fondo del vicino alla indiscrezione indiscriminata di tutti”;

ha rilevato che, agli effetti dell’art. 905 c.c., la pubblica via “non presuppone necessariamente che questa separi i fondi medesimi, ma richiede soltanto che essi siano confinanti con la strada pubblica, indipendentemente dalla loro reciproca collocazione”;

ha considerato che la stessa documentazione fotografica (oltre che le planimetrie allegate alle varie consulenze tecniche di ufficio depositate in atti) comprovano che la parte indubbiamente ad uso pubblico della particella n. ***** (ovvero quella asfaltata, antistante sia alla cabina elettrica che prospiciente l’ingresso del deposito comunale) consente un affaccio diretto sul fondo di proprietà degli attori che, pertanto, risulta esposto al passaggio di tutti coloro che sono diretti all’una o all’altra e che, attesa la natura dei locali, non possono per questa ragione essere considerati come singoli utilizzatori di quegli spazi che, invece, sono destinati ad uso pubblico.

3.6. – Secondo la costante giurisprudenza, in riferimento al giudizio di rinvio, se la sentenza dei giudici di merito è stata cassata per i concorrenti motivi di cui dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato, ma, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati della sentenza cassata, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla pronuncia della Corte di Cassazione, la cui portata vincolante è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione nella norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale (Cass., Sez. III, 18 giugno 2003, n. 9690; Cass., Sez. lav., 27 agosto 2007, n. 18087).

3.7. – Nella specie, giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello non ha affatto modificato i termini oggettivi della controversia, come esplicitamente o implicitamente fissati dalla pronuncia di cassazione, né ha posto nel nulla gli effetti intangibili della pronuncia di annullamento. Per un verso non ha considerato più la porzione di terreno alla quale hanno accesso i soli P. una pubblica via, e così ha evitato di incorrere nell’errore compiuto dalla sentenza a suo tempo impugnata. Per altro verso, uniformandosi al principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente della Corte di cassazione, ha attribuito alla porzione della particella n. ***** (quella asfaltata, antistante sia alla cabina elettrica che prospiciente l’ingresso del deposito comunale) la connotazione di via pubblica non semplicemente perché si tratta di porzione di terreno comunale, ma perché su di essa è riscontrabile un uso da parte della comunità, essendovi il passaggio di tutti coloro che sono diretti alla cabina elettrica o al deposito comunale.

Dando rilievo alla dislocazione dei fondi e alla posizione della strada pubblica, così come risultanti dalla documentazione fotografica già acquisita nei pregressi gradi di merito e alle planimetrie allegate alle varie consulenze tecniche di ufficio espletate nelle precedenti fasi, la Corte territoriale, alla quale non era preclusa la ricostruzione della vicenda fattuale (Cass., Sez. II, 10 dicembre 2015, n. 24976), non ha preso in considerazione fatti nuovi, ma ha valutato, tenendo conto delle mere difese proposte dal F. e dalla G., la documentazione e le prove già raccolte, verificando in concreto, sulla base del principio di diritto enunciato da questa Corte e senza ripetere il vizio già censurato, che la porzione di terreno di proprietà comunale rispetto alla quale i fondi sono confinanti, possiede il carattere di uso pubblico richiesto dall’art. 905 c.c., tale da esimere dal rispetto della distanza minima.

4. – Il secondo motivo, con cui i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 905 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è inammissibile.

4.1 – Deve, invero, anzitutto rilevarsi che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione della norma che si assuma violata, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con la indicata norma regolatrice della fattispecie o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dal ricorrente. Diversamente verrebbe ad essere impedito alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., Sez. I, 29 novembre 2016, n. 24298; Cass., Sez. I, 5 agosto 2020, n. 16700; Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745).

4.2. – Nel caso di specie, per contro, la censura in esame non evidenzia in alcun modo in quale parte, e sotto quale profilo, l’impugnata sentenza della Corte capitolina sia affetta dal denunciato vizio di violazione e falsa applicazione di legge.

Il motivo lamenta in realtà che il giudice del rinvio si sarebbe fondato su una pretesa situazione di fatto contraria al vero; e – nell’affermare che la porzione di terreno di proprietà del Comune, interessata dal presente giudizio, è esclusivamente quella che, chiusa e non accessibile al pubblico, è strettamente antistante alle finestre che sono state aperte dai resistenti – richiama, a sostegno, le osservazioni critiche di pare attrice alla perizia del c.t.u. geom. D. e la documentazione dagli U. prodotta nell’ultima udienza del giudizio di appello dell’8 giugno 2011.

E’ evidente che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, in realtà i ricorrenti lamentano una errata ricognizione della fattispecie concreta. Essi mirano – ciò che non è consentito in sede di legittimità – ad una ricostruzione della situazione di fatto diversa da quella operata dalla Corte del rinvio (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476), contestando la corrispondenza al vero della circostanza che “dalla strada di accesso alla proprietà U. sia possibile l’affaccio a quella parte della proprietà che è visibile dal tratto goduto in usufrutto dai soli P. e sottostante alle finestre F. e G.”, e rilevando che “e’ sì visibile lateralmente un piccolo tratto di detta proprietà, ma non quella che, diversa e ben maggiore, si può vedere dalle finestre dei F.”.

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

6. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 4.000, di cui Euro 3.800 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

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