Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.27910 del 13/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35882/2019 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in Vicenza, via Napoli 4, presso lo studio dell’avv. MASSIMO RIZZATO, che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****;

avverso la sentenza n. 3122/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/01/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

RILEVATO

che:

1. T.A., proveniente dal Senegal, ha proposto ricorso, per la cassazione della sentenza n. 3122/2019 emessa dalla Corte d’appello di Venezia e depositata in data 25 luglio 2019.

2. Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. Il ricorrente, secondo la ricostruzione della sua vicenda personale contenuta nel ricorso, è fuggito verso l’Italia dopo essere stato tenuto prigioniero per due mesi da un gruppo di ribelli armati (che di giorno lo facevano lavorare nei campi e di notte lo legavano) che spesso assalivano il suo villaggio e da cui egli era riuscito a scappare.

5. Giunto in Italia attraverso la Libia, il ricorrente si è visto rigettare tutte le domande volte ad ottenere, in via gradata, le varie forme di protezione internazionale. La Corte d’appello di Venezia ha ritenuto il racconto del richiedente vago e confuso, ha ritenuto inverosimile il fatto che i ribelli lo liberassero di giorno per il lavoro, rinchiudendolo di notte. Indica inoltre che il ricorrente non avrebbe mai fatto riferimento alla situazione del suo Paese di origine per segnalare il pericolo al quale sarebbe esposto in caso di rimpatrio. Esclude l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella sua zona di provenienza, e non ravvisa neppure presupposti della protezione umanitaria, “mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione a rischio” (pag. 6 della sentenza impugnata).

RITENUTO

che:

6. il ricorrente ha articolato due censure. Riferisce nel ricorso una serie di circostanze di fatto che nella sentenza non sono state prese in considerazione (quali il fatto di essere sposato e di avere tre figli). Dichiara di essere stato ferito dai ribelli che lo tenevano prigioniero, riportando cicatrici che aveva anche mostrato ai giudici di primo grado, di aver lasciato il paese grazie al denaro datogli dal padre, di aver attraversato il Mali, il Burkina, il Niger prima di raggiungere la Libia.

7. Con il primo motivo censura l’errata applicazione dei principi normativi e giurisprudenziali che in materia di protezione internazionale disciplinano la valutazione dell’attendibilità di chi richiede la protezione internazionale e l’onere della Commissione territoriale prima, e dell’autorità giudiziaria procedente poi, di concorrere all’accertamento delle situazioni rilevanti ai fini dell’applicazione della convenzione di Ginevra.

Segnala che il suo racconto è ricco di dettagli relativi al gruppo di ribelli dai quali fu fatto prigioniero che ne testimonia l’effettivo contatto, e che sul suo corpo sono presenti i segni delle ferite e le cicatrici che attestano la sua provenienza da un contesto irto di pericoli e fonte per lui di un danno permanente. Stigmatizza il fatto che, ritenendo il suo racconto confuso, la corte non abbia provato ad approfondirlo con i mezzi istruttori attivabili anche d’ufficio a sua disposizione.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in merito al mancato riconoscime’nto della ipotesi di protezione sussidiaria ivi prevista. Sostiene il ricorrente che la Corte abbia errato nel non analizzare la situazione di conflitto creata dal gruppo di ribelli indicato dal ricorrente, che, stando alle fonti ufficiali UNHCR, ha causato migliaia di vittime e lo sfollamento di interi villaggi ed in particolare la situazione di violenza indiscriminata che, a dire delle fonti internazionali più accreditate, esiste nella zona di Casamance, di sua provenienza, da oltre trent’anni a causa del conflitto armato tra il governo e i ribelli del movimento *****.

Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo.

Sussiste infatti nella sentenza impugnata la violazione del principio della procedimentalizzazione del giudizio di credibilità del richiedente asilo, perché in effetti la corte d’appello non considera affatto alcuni dati che per legge hanno invece la loro rilevanza, al fine di valutare se il richiedente abbia fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per circostanziare e documentare per quanto possibile il racconto. In particolare, non si prende in considerazione, e non si attribuisce di conseguenza alcuna rilevanza al fatto se il ricorrente abbia tempestivamente chiesto la protezione, se abbia collaborato, se abbia fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per ricostruire la sua situazione personale. La sentenza da un lato non rispetta la necessità di articolare il giudizio di credibilità secondo la scansione prevista dalla legge, dall’altro si limita ad affermare che il racconto sia privo di credibilità, in quanto il narrato sarebbe stato confuso, svalutando fino a zero la rilevanza del dato obiettivo allegato, che pure riferisce per aver il collegio constatato de visu, consistente nella esistenza di cicatrici da taglio e di segni permanenti degli impatti riportati sul corpo del ricorrente, segnali obiettivi di violenze subite, che avrebbero dovuto essere valutati almeno come elementi indiziari attestanti che era stato quanto meno vittima di aggressione e che avrebbero dovuto essere presi in considerazione in associazione al racconto, per valutarne la compatibilità con esso, o anche per escluderla, ma che non possono comunque rimanere irrilevanti all’interno di un giudizio sulla credibilità personale. La sentenza va quindi cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto secondo il quale in tema di protezione internazionale la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 10 del 2021, Cass. n. 23891 del 2020).

Il primo motivo è accolto, il secondo rimane assorbito, la sentenza è cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione che liquiderà anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2021

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