Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.27968 del 14/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17708/2020 R.G. proposto da:

Regione Autonoma della Sardegna, anche nell’interesse dell’Autorità

di Bacino e del suo Comitato istituzionale, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alessandra Putzu, ed Alessandra Camba, dell’Ufficio legale dell’Ente regionale, con domicilio eletto in Roma, via Lucullo n. 24, presso il suo Ufficio di rappresentanza;

– ricorrente –

contro

Ente Acque della Sardegna – ENAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi n. 13 presso gli uffici di tale Ufifcio;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

Consorzio di Bonifica della Gallura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Pilia, con domicilio eletto in Cagliari, via Sonnino n. 128, presso lo studio del difensore;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle acque pubbliche n. 25/2020, depositata il 27 febbraio 2020.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Enrico Manzon.

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 25/2020, depositata il 27 febbraio 2020, il Tribunale Superiore delle acque pubbliche accoglieva il ricorso R.G. 242/2017 ed i relativi motivi aggiunti proposto dal Consorzio di Bonifica della Gallura (breviter, CBG), per l’effetto annullando gli atti ed i provvedimenti con esso impugnati; dichiarava inammissibile il ricorso R.G. n. 83/2018 dal medesimo Ente proposto, entrambi nei confronti della Regione Autonoma della Sardegna (breviter, RAS) e dell’Ente Acque della Sardegna – ENAS.

Il TSAP in particolare osservava:

– che il ricorso R.G. n. 242/17, riguardante la Delib. n. 1 del 2017, dell’Autorità di Bacino (breviter, ADB), era ammissibile, poiché, trattandosi di provvedimento autonomo rispetto a quello della stessa Autorità n. 1/2016, riguardava il medesimo progetto presentato dal CBG (realizzazione di una centralina idroelettrica mediante utilizzo delle acque del bacino artificiale creato dal salto della diga del Liscia), che doveva considerarsi tacitamente assentito in forza della sentenza del medesimo TSAP n. 134/2017, passata in giudicato per effetto del rigetto del ricorso avverso la medesima da parte di queste SU (sentenza n. 17564/2019), sicché, in sostanza, tale giudicato aveva “effetto espansivo” in relazione alla Delib. dell’ADB n. 1 del 2016;

– che detto ricorso era fondato in ordine al primo motivo, affermando che, essendo stato il provvedimento di autotutela impugnato (annullamento del silenzio-assenso autorizzatorio del progetto presentato dal CBG in data 19 novembre 2013; conferma del provvedimento – pacificamente non impugnato – n. 1/2016 di diniego di autorizzazione alla realizzazione di una centralina idroelettrica alimentata con le acque pubbliche di detto bacino) emesso il 17 ottobre 2017, lo stesso doveva considerarsi tardivo e quindi illegittimo, in quanto scaduto il termine di 18 mesi previsto quale limite temporale all’esercizio del potere correlativo dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies, comma 1, quale novellato dalla L. n. 124 del 2015, art. 6, individuandosi quale dies a quo di decorrenza di tale termine legale il 27 agosto 2015 ossia la data di entrata in vigore di detta novella legislativa, comunque negando che tale fosse l’8 maggio 2017 ossia la data di deposito della sentenza del medesimo TSAP n. 134/2017 che aveva pronunciato sulla formazione del silenzio-assenso in ordine a detta richiesta di autorizzazione;

– che del pari erano fondati il secondo ed il terzo motivo (vizio di motivazione del provvedimento impugnato) nonché alcuni motivi aggiunti (relativi ad atti e provvedimenti accessori a quello principale impugnato) e che di conseguenza dovevano considerarsi assorbiti i motivi aggiunti ulteriori;

– che tali considerazioni importavano l’inammissibilità per carenza di interesse del ricorso R.G. n. 83/2018, proponente gli stessi motivi aggiunti accolti/assorbiti.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la RAS deducendo sette motivi.

Si sono costituite con controricorso ENAS e CBG, che hanno altresì proposto ricorso incidentale deducendo rispettivamente quattro motivi e cinque motivi.

CONSIDERATO

che:

Risulta necessario premettere una sintetica ricostruzione degli antecedenti fattuali e processuali del presente giudizio, trattandosi di un ormai risalente contenzioso tra la Regione Autonoma della Sardegna/ADB ed ENAS da un lato, il CBG dall’altro, avente ad oggetto lo sfruttamento idroelettrico delle acque del bacino artificiale creato dalla diga del Liscia.

Tralasciando le fasi iniziali della controversia, avviatasi a seguito della “regionalizzazione” delle – principali – acque pubbliche con L.R. Sardegna 6 dicembre 2006, n. 19, per la diretta incidenza ai fini della decisione si evidenzia dagli atti:

– che il CBG, dal 1 gennaio 2008 per effetto di detta legge regionale non più quale concessionario della derivazione di acque per uso irriguo, ma quale mero utilizzatore delle medesime ha presentato in data 26 aprile 2011 una domanda per il rilascio di una concessione di derivazione (durata trentennale) per uso idroelettrico delle acque di detto bacino, in particolare mediante lo sfruttamento del “salto” creato dalla diga; che tale istanza è stata rigettata dalla Regione, così come il relativo ricorso al TSAP (sentenza n. 76/2013);

– che in data 19 novembre 2013 il CBG ha presentato una nuova istanza, facendo valere la previsione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2000, art. 166 (codice dell’ambiente), peraltro limitandola al solo utilizzo delle acque per uso irriguo delle quali aveva già la disponibilità, fluenti nelle proprie opere di canalizzazione, con la previsione della realizzazione di una centralina a valle della diga del Liscia; che tale progetto è stato presentato al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) nell’ambito di un bando per il finanziamento di interventi nel settore della produzione di energia idroelettrica; che tale istanza è stata anch’essa respinta con Delib. 2 del 2014 del Comitato istituzionale dell’ADB; che il provvedimento reiettivo è stato impugnato dal CBG avanti al Tribunale Superiore delle acque pubbliche, che con sentenza n. 134/2017 ha accolto il ricorso, in particolare annullando detto provvedimento sulla base della considerazione che, prima della sua emanazione, si era formato il silenzio-assenso in virtù della speciale previsione di cui all’art. 166 CDA; che tale pronuncia del TSAP è stata impugnata per cassazione dall’ENAS ed incidentalmente dalla RAS/ADB e che tali ricorsi sono stati rigettati (Cass., Sez. U., sentenza n. 17564/2019);

– che nelle more di quest’ultimo giudizio, il 2 agosto 2016 il CBG ha presentato un’altra istanza di autorizzazione all’ADB, sempre titolata ex art. 166 CDA ed ugualmente finalizzata allo sfruttamento idroelettrico delle acque in questione, anch’essa respinta per le medesime ragioni con Delib. n. 1 del 2016 dell’ADB; che, pacificamente, tale Delib. non è stata impugnata;

– che il 17 ottobre 2017 -dopo la pubblicazione (3 maggio 2017) della sentenza TSAP 134/2017- l’ADB ha emesso la Delib. n. 1 del 2017, con la quale, in relazione al proprio provvedimento 2/2014 ed a detta decisione giudiziaria, ha annullato in autotutela, L. n. 241 del 1990, ex art. 21 nonies, il provvedimento di accoglimento dell’istanza di autorizzazione del CBG presentata in data 19 novembre 2013, comunque confermando il proprio provvedimento n. 1/2016 reiettivo di analoga istanza; che la Delib. ADE n. 2 del 2017, è stata impugnata con ricorso al TSAP, che l’ha appunto annullata con la sentenza oggetto di questo giudizio, unitamente ad ulteriori atti amministrativi “collaterali” inerenti la realizzazione della centralina idroelettrica, anch’essi impugnati dal CBG con motivi aggiunti ed anche con separato autonomo ricorso.

Ciò posto, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente principale RAS lamenta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 34, commi 1 e 2, art. 35, comma 1, lett. b), art. 29, art. 40, comma 1, lett. b), (cod. proc. amm.), applicabili R.D. n. 1775 del 1933, ex artt. 143, 208, art. 112 c.p.c., poiché il TSAP rigettando l’eccezione di inammissibilità del ricorso n. 242/2017 contro la Delib. dell’ADB n. 1 del 2017, ha leso i principi di corrispondenza chiesto/pronunciato, esorbitando dai limiti della domanda proposta, in particolare estendendo la propria cognizione alla Delib. della medesima Autorità n. 1 del 2016, avverso la quale mai era stata proposta impugnazione giudiziale, così acquisendo natura giuridica di provvedimento inoppugnabile, e non essendo in ogni caso oggetto di detto ricorso del CBG, comunque ingenerandosene la carenza di interesse dello stesso ricorrente all’annullamento della successiva deliberazione – unicamente-impugnata.

La censura è inammissibile.

In primo luogo deve rilevarsi che l’articolazione del mezzo travisa e stravolge i termini, esatti, del punto decisionale aggredito.

Diversamente da quanto afferma la RAS, va rilevato infatti che il TSAP ha accertato (insindacabilmente in fatto) che la Delib. dell’ADB impugnata (n. 1 del 2017) conteneva sia la conferma della delibera della medesima Autorità n. 1/2016 sia l’annullamento in autotutela del silenzio-assenso in relazione al progetto CBG dell’11 novembre 2013, che peraltro affermava (insindacabilmente in fatto) essere identico a quello (del 2 agosto 2016), appunto ricusato con la citata seconda Delib. reiettiva della relativa istanza di autorizzazione; di conseguenza rilevava il TSAP che la “materia del contendere” ossia in termini più strettamente tecnici l’oggetto provvedimentale sostanziale delle due delibere fosse esattamente lo stesso, con l’ulteriore conseguenza di essere “coperto” dal giudicato formatosi, in ordine alla “materia” medesima, in seguito al rigetto del ricorso per cassazione contro la sentenza del TSAP n. 134/2017.

Quindi, essendo prospettata la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, se ne evidenzia l’inammissibilità, dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto che “La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass., n. 20910/2017) e che “La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate” (Cass., n. 17125/2017).

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4-1 – la ricorrente RAS denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., la violazione dell’art. 31, comma 3, art. 34, comma 2, art. 134 cod. proc. amm., art. 37 c.p.c., poiché il TSAP ha erroneamente fatto applicazione della preclusione pro judicato derivante dalla sua pronuncia n. 134/2017 in ordine all’accertamento del silenzio-assenso relativamente alla richiesta di autorizzazione di utilizzazione di acque pubbliche presentata dal CBG in data 19 novembre 2013; analogamente, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, la ricorrente incidentale ENAS denuncia la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione/falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324,336 c.p.c., art. 112 c.p.c., per ulteriori profili di errata interpretazione del giudicato formatosi con detta sentenza del TSAP. Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili e comunque infondate.

Va anzitutto osservato che, analogamente al primo mezzo della ricorrente principale, anche queste omologhe critiche della sentenza impugnata non pertengono in modo stringente e sostanziale ossia specifico al decisum della stessa, quanto, inammissibilmente, a quello della sentenza n. 134/2017 del medesimo TSAP.

A ben vedere infatti sia RAS che ENAS si soffermano sull’illegittimità di detta decisione – peraltro già censurata senza successo con i ricorsi per cassazione rigettati con la sentenza n. 17564/2019 di queste SU – particolarmente in punto formazione del silenzio-assenso sul citato progetto idroelettrico del CBG, essendone la sentenza impugnata una pronuncia che vi si collega meramente in termini di accertamento processuale della sua preclusività, del tutto consentito e pienamente conforme all’ordinamento processuale applicabile ai giudizi del Tribunale Superiore delle acque pubbliche.

Peraltro va detto che nella motivazione della sentenza impugnata tale accertamento ha valore di mero obiter dictum, non fondando affatto in modo causalmente diretto né sul piano logico né sul piano giuridico le rationes decidendi della sentenza medesima in parte qua, esclusivamente pertinenti al contenuto di autotutela annullatoria del provvedimento impugnato e relativi atti amministrativi accessori impugnati con i motivi aggiunti e con autonomo ricorso poi dichiarato inammissibile per consequenziale carenza di interesse.

Pur non senza qualche contraddittorietà, invero più apparente che effettiva, sulla questione del giudicato riveniente dal suo precedente inter partes, il giudice a quo così si è espresso:

“.. una volta respinto il ricorso interposto avanti alle ss.uu. Cass. contro la sopra citata decisione n. 134/2017 e sceso il giudicato anche sulla qualificazione, sul piano contenutistico, della istanza, nei termini formulati in data 19.11.2013, anche con la prevista realizzazione, cioè, di una piccola centrale idroelettrica a valle della Diga del Liscia, quale domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 166 cit., da ciò, consegue la fondatezza e l’accoglimento dei motivi di diritto rubricato ai nn. da 1) a 3) dei ricorso introduttivo n. r.g. 242/2017”, peraltro subito appresso soggiungendo “Quanto al primo motivo, in disparte possibili profili di nullità del provvedimento in epigrafe per violazione del giudicato ricavabile da TSAP n. 134/2017 – profilo che, peraltro, non risulta essere stato esplicitamente dedotto da CBG ricorrente, il tema conduttore principale enunciato dal CBG è quello per cui il silenzio assenso sull’istanza di autorizzazione ex art. 166 avanzata dal CBG nei termini precisati in data 19.11.2013 si sarebbe formato sin dal 24.3.2014 ossia allo scadere del termine di 120 giorni dall’istanza, con la conseguenza che il “termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi” entro cui poter agire in autotutela avrebbe iniziato a decorrere dal 24.3.2014.

Ma poi ulteriormente la motivazione della sentenza impugnata prosegue “Al riguardo il collegio nel ribadire l’evidente anomalia di una Delib. in autotutela che, con l’annullare un atto di silenzio-assenso che costituisce il nucleo essenziale di una sentenza del TSAP passata in cosa giudicata, finisce, almeno nelle intenzioni dell’organo emanante, con il vanificare la portata della sentenza n. 134/17; il collegio, si diceva, senza necessariamente aderire alla tesi “radicale” del Consorzio, ritiene di poter accogliere ugualmente il motivo alla stregua di un criterio di continenza, sull’assunto, cioè, condiviso in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, 3874/2018 e 3462/2017), in base al quale il termine di diciotto mesi entro cui annullare d’ufficio un provvedimento per ipotesi illegittimo comincia a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, modificativa dell’art. 21 nonies, di cui alla L. n. 124 del 2015, ossia dal 27.8.2015 (la Delib. n. 1 del 2017, di annullamento, è del 17.10 2017, e risulta adottata dunque ben oltre i 18 mesi consentiti)”.

Il tenore letterale della pronuncia impugnata deve perciò considerarsi chiaro ed univoco nel senso che l’accoglimento – nel merito – del primo motivo del ricorso non è basato sulla forza giuridica preclusiva del giudicato riveniente dalla sentenza n. 134/2017, quindi evocato appunto quale mera argomentazione rafforzativa (obiter dictum), ma – esclusivamente – sulla decorrenza del termine preclusivo sostanziale dato all’esercizio del potere di autotutela dall’art. 21 nonies, legge proc. amm., quale novellato dalla L. n. 124 del 2015, art. 6.

In altri termini il rilievo del giudicato esterno non è funzionalmente collegato alla argomentazione diretta/alla statuizione di accoglimento sul/del primo motivo del ricorso CBG, appunto incentrato – esclusivamente – sul decorso di detto termine decadenziale e non sulla preclusione pro judicato.

Da qui l’inammissibilità delle censure, in adesione e conferma dei principi di diritto che si sono sopra evocati in relazione al primo mezzo proposto dalla ricorrente principale RAS.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente RAS lamenta la violazione/falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies, comma 1 e della L.R. n. 19 del 2006, poiché il TSAP ha affermato l’invalidità del provvedimento di autotutela impugnato a causa del decorso del termine, massimo, per la sua adozione previsto dalla disposizione legislativa statale evocata, in particolare erroneamente fissando la decorrenza del termine medesimo dall’entrata in vigore (27 agosto 2015) della novella della disposizione legislativa medesima (L. n. 124 del 2015, art. 6,), in luogo della data di pubblicazione della sentenza n. 134/2017 del TSAP stesso, con la quale si è evidenziata la necessità dell’emanazione del provvedimento di autotutela impugnato.

Analogamente, con il terzo motivo del ricorso incidentale ENAS – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – denuncia la violazione/falsa applicazione dell’art. 166 CDA, artt. 2, 20, 21, quinquies, 21, nonies, legge proc. amm., poiché il TSAP ha erroneamente fissato il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale di cui a quest’ultima disposizione legislativa, non tenendo conto che l’atto annullato in autotutela era precedente alla sua novella, mentre, appunto come sostenuto anche dalla ricorrente principale, tale data andava fissata in quella di pubblicazione di detta sentenza del TSAP, a tale fine dovendosi comunque tener conto del comportamento decettivo del CBG, che falsamente aveva affermato che il progetto autorizzando utilizzava – esclusivamente – le acque detenute per l’uso irriguo, invece che quelle derivanti dal “salto” determinato dalla diga del Liscia, operai proprietà della RAS ed in gestione dell’ENAS.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili ed in ogni caso infondate.

Va anzitutto rilevata la palese inammissibilità del mezzo proposto dalla ricorrente incidentale ENAS in relazione alla prospettata violazione dell’art. 21 quinquies, legge proc. amm., non essendo dedotta alcuna specifica critica alla sentenza impugnata in relazione alla stessa, la quale peraltro in nessun punto decisionale affronta l’oggetto della sua cognizione con riguardo all’ipotesi della revoca del provvedimento amministrativo (istituto giuridico che è disciplinato dalla disposizione legislativa in questione).

Quanto alla delineata violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies, nel testo applicabile ratione temporis, questa disposizione legislativa prevede che “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo art. 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. 2. E’ fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. 2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”. Tale versione della disposizione è stata introdotta con la L. n. 124 del 2015, art. 6, comma 1, lett. d), n. 2), ed è entrata in vigore il 28 agosto 2015.

Ciò rilevato, non può che convenirsi con il TSAP in ordine alla fissazione della decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella legislativa citata del termine massimo per l’esercizio dell’autotutela nel caso di specie.

A quella data infatti il provvedimento annullato era sicuramente stato “adottato”, pur nella forma speciale del silenzio-assenso, come, meramente, accertato con la sentenza 134/2017 del medesimo Tribunale Superiore delle acque pubbliche e pertanto l’ADB aveva appunto 18 mesi per provvedere in autotutela, sicché la deliberazione impugnata in quanto emessa il 7 ottobre 2017 non può che considerarsi tardiva e per tale ragione illegittima.

Ragionando come invece fanno la ricorrente principale e la ricorrente incidentale, si attribuirebbe a detta pronuncia del TSAP una valenza costitutiva che non ha rispetto alla formazione del silenzio-assenso, la cui fattispecie, intrinsecamente ed autonomamente costitutiva di effetti secondo la tipologia provvecimentale amministrativa, si perfeziona ex se, nei casi, quali Quello in questione, previsti espressamente dalla legge, a causa dell’inerzia dell’amministrazione e del decorso del tempo.

Ne’ ha pregio l’argomento sviluppato da entrambi i patrocinii RAS ed ENAS circa l’insussistenza dell’affidamento del CBG in ordine alla pronuncia giudiziale di accertamento del silenzio-assenso sulla sua istanza di autorizzazione del 19 novembre 2013, posto che, per un verso, tale era esattamente l’aspettativa sottesa ad uno dei motivi di impugnazione della Delib. ADB oggetto del processo definito con la sentenza 134/2017 del TSAP; per altro verso, che la successiva istanza di autorizzazione rigettata con la Delib. ADB n. 1 del 2016, pur non impugnata, non ha in tal senso un significato univoco.

Nemmeno ha pregio l’argomento speso dalla ricorrente incidentale ENAS circa la “mala fede” del CBG, quale espressa nella falsa rappresentazione giudiziale del contenuto dell’istanza originante il silenzio-assenso, trattandosi all’evidenza in ogni caso di allegazioni difensive processuali e non di attestazioni fatte in ambito procedimentale all’Autorità titolare del potere di autotutela, così come dell’art. 21 nonies, u.c. legge proc. amm. appunto prevede.

Peraltro tale argomento presenta altrettando evidenti profili di inammissibilità, attingendo nel profondo al meritum causae e quindi a questioni di fatto che non sono sindacabili in questa sede.

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente principale si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 21 nonies, comma 1, legge proc. amm., artt. 1362,1363 c.c., nonché della L.R. Sardegna n. 19 del 2006, poiché il TSAP, accogliendo il secondo ed il terzo motivo del ricorso CBG, ha affermato l’invalidità della Delib. ADB n. 1 del 2017 – anche – per vizio motivazionale.

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente incidentale ENAS aggredisce il medesimo punto decisionale denunciando la nullità della sentenza impugnata in parte qua a causa di un vizio motivazionale “assoluto (apparenza, perplessità ed illogicità).

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili e comunque infondate.

Risulta evidente l’infondatezza del mezzo proposto da ENAS, posto che va ribadito il principio di diritto secondo il quale “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).

La motivazione della sentenza impugnata, anche, nella parte qui censurata non rientra sicuramente nel paradigma negativo definito con tale, consolidato, arresto giurisprudenziale, parendo ben al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. U., 8053/2014). Il mezzo della ricorrente principale RAS è invece da considerarsi inammissibile.

La censura infatti “maschera” come vizi di legittimità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, critiche che invece pertengono alle considerazioni di merito, negative, sviluppate dal TSAP in ordine all’adeguatezza motivazionale del provvedimento amministrativo impugnato, il che pone la censura stessa al di fuori del perimetro paradigmatico dell’evocata disposizione processuale e quindi del sindacato consentito a questa Corte.

Ciò appare di tutta evidenza nella sintetica e generica denuncia di violazione delle norme civilistiche di interpretazione del contratto, ancorché pacificamente applicabili all’interpretazione del provvedimento amministativo (v. da ultimo Cass., Sez. U., Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876 – 02).

Con il quinto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente principale RAS lamenta il vizio motivazionale della sentenza impugnata in punto determinazione dell’oggetto del progetto CBG assentito “per silenzio”, trattandosi di “fatto decisivo controverso”, sul quale appunto il TSAP si è limitato a rilevare che in ordine ad esso è “sceso” il giudicato (in riferimento alla propria sentenza 134/2017).

La censura è infondata.

Va ribadito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U., n. 8053 del 07/04/2014).

Certamente la motivazione della sentenza impugnata su tale punto decisionale non può farsi rientrare nei paradigmi invalidanti indicati in tale, consolidato, arresto giurisprudenziale, ponendosi in ogni caso al di sopra del “minimo costituzionale”.

Peraltro, sotto questo specifico profilo, va pure notato che il riferimento al giudicato esterno riveniente dalla citata sentenza del medesimo Tribunale Superiore delle acque pubbliche è tutt’affatto non pertinente ovvero non fondato, posto che queste stesse SU lo hanno appunto rilevato nella pronuncia reiettiva dei ricorsi contro tale sentenza (Cass., Sez. U., 17564/2019, pagine 12-13).

Con il sesto motivo la ricorrente principale RAS denunzia la violazione di varie disposizioni legislative regionali, nazionali ed unionali ed in via subordinata chiede il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE asserendo che la sentenza impugnata viola il diritto unionale.

Tali censure e richiesta si basano su di un assunto di fatto ossia che la sentenza impugnata e la sentenza 134/2017 della medesima A.G. abbiano l’effetto pratico di consentire al CBG l’utilizzo di “..energia di acque demaniali, collegando l’impianto idroelettrico a monte della derivazione irrigua in uso al ricorrente e soprattutto a monte delle valvole Burger.. e del canale venturi”, in tal modo appunto vanificando l’effetto attuativo della normativa unionale, come attuata con la citata legge regionale.

Orbene, tale punto di fatto è stato sempre controverso sia nel contenzioso definito con il passaggio in giudicato della sentenza n. 134/2017 sia in quello deciso con la sentenza impugnata; come detto, in esito al giudizio di cassazione su tale thema decidendum si è chiaramente formata nel primo giudizio una preclusione processuale correttamente estesa al presente giudizio dalla sentenza impugnata medesima.

Non può più quindi discutersi inter partes, per l’effetto oggettivo del giudicato ex art. 2909 c.c., che l’autorizzazione assentita “per silenzio” (sentenza TSAP 134/2017) ron riguarda acque demaniali né derivazioni implicanti l’uso del “salto” delle acque dalla diga del Liscia, bensì – esclusivamente – acque irrigue che sono nella legittima detenzione del CBG quale utilizzatore.

In ogni caso va ribadito che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).

L’esame della quaestio facti che costituisce il presupposto delle denunciate violazioni di legge non è comunque consentito in questa sede.

Ne deriva la piana insussistenza dei presupposti giuridici per rimettere la causa al giudizio pregiudiziale della Corte di Lussemburgo.

Con il settimo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente principale RAS denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2909,1362,1363 c.c., dell’intera L.R. Sardegna n. 19 del 2006, D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 7 comma 1, ult. cpv., art. 37 c.p.c., ed analogamente la ricorrente incidentale ENAS con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si duole della violazione/falsa applicazione di disposizioni legislative varie, poiché il TSAP ha accolto alcuni dei motivi aggiunti di CBG ed in particolare la richiesta di annullamento del diniego della RAS di nulla osta demaniale in data 20-24.4.2018 alla realizzazione della centralina idroelettrica, in ricezione de pareri ENAS 9.1-20.2.2018.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.

Con l’accoglimento di tali motivi aggiunti la sentenza impugnata ha infatti correttamente esteso l’effetto di giudicato esterno della sua sentenza 134/2017, posto che la realizzazione del manufatto de quo non è nient’altro che un aspetto esecutivo dell’autorizzazione assentita “per silenzio”, appunto quale titolo accertato con detto giudicato.

In questo senso il punto decisionale in esame è del tutto coerente e consequenziale al rilievo di detto giudicato, quale effettivamente sussistente (cfr. ancora la sentenza di queste SU 17564/2019), essendo altrettanto ovvio che detta opera non potrà che essere eseguita nei limiti del giudicato stesso ossia con riguardo all’accertato ambito giuridico-fattuale (acque irrigue) del provvedimento di silenzio-assenso.

Ciò posto, tutte le altre considerazioni sviluppate dalla ricorrente principale e dalla ricorrente incidentale non sono altro che riproposizione di quaestiones facti inammissibilmente sottoposte al sindacato di questa Corte.

In conclusione vanno rigettati il ricorso principale ed il ricorso incidentale di ENAS, derivandone l’assorbimento del ricorso incidentale di CBG, stante la sua evidente natura condizionata.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Cortei rigetta il ricorso principale della Regione Autonoma della Sardegna ed il ricorso incidentale di Ente Acque della Sardegna -ENAS, dichiara assorbito il ricorso incidentale del Consorzio di Bonifica della Gallura; condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale ENAS in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000 per onorari, Euro 200 per esborsi oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale ENAS dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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