LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 19056/2020 proposto da:
K.Y., elettivamente domiciliato in Roma, al v.le Università 11, presso lo studio dell’avvocato Benzi Emiliano, rappres. e difeso dall’avv. Ballerini Alessandra, con procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.
presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappres. e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 32/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 14/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2021 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
Che:
Il Ministero dell’Interno propose appello avverso l’ordinanza del 19.1.18 con la quale il Tribunale di Genova, in accoglimento del ricorso di K.Y., aveva annullato il decreto del Questore di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia.
Con sentenza del 14.1.2020, la Corte d’appello ha accolto il gravame, osservando che: era da applicare nella fattispecie il D.Lgs. n. 286 del 1996, art. 5, comma 5 bis, circa la valutazione di pericolosità dello straniero; il provvedimento del Questore è da ritenere conforme all’interpretazione della suddetta norma in ordine all’esclusione del permesso di soggiorno per motivi familiari qualora il richiedente abbia subito recenti condanne penali per gravi reati che inducano a ritenerne la pericolosità sociale attuale, valutata anche la situazione reddituale e la sua situazione familiare; il diniego del permesso era stato rettamente giustificato dalla gravità dei reati commessi dal ricorrente, anche per la violazione, con particolare riferimento ai maltrattamenti in famiglia nei confronti della moglie per numerosi anni dal 2006 al 2011; dalle recenti informazioni assunte risultava che il ricorrente era stato più volte condannato per vari reati, e che in particolare solo il 22.8.16 era emersa un’altra condanna in appello alla pena detentiva di sei anni di reclusione e al pagamento della multa di Euro 26.000,00 per detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti continuata, delitto commesso declinando false generalità; a tale condanna era seguito l’affidamento in prova ai servizi sociali, pur rilevando che non era possibile attribuire rilievo alla decisione del Tribunale di sorveglianza; dalle informazioni acquisite emergeva che le figlie dell’istante erano state affidate ai servizi sociali e che lo stesso era risultato “soggetto di pessima condotta”, proclive alla commissione di reati dai quali traeva il proprio sostentamento; il ricorrente era dunque da considerare socialmente pericoloso alla luce delle plurime condanne penali in epoca abbastanza recente.
Lo straniero ricorre in cassazione con unico motivo.
Il Ministero resiste con controricorso.
RITENUTO
Che:
L’unico motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, art. 5, comma 5 bis T.U., art. 8 Cedu, nonché omesso esame di un fatto decisivo, non avendo la Corte d’appello esaminato la pericolosità sociale del ricorrente – omettendo di effettuare un bilanciamento con i legami familiari – la durata del regolare soggiorno in Italia e l’inserimento lavorativo del ricorrente. In particolare, quest’ultimo si duole che la Corte d’appello, limitandosi a citare i reati commessi, non abbia considerato l’ordinanza d’estinzione della pena emessa dal Tribunale di sorveglianza il 12.6.17 dalla quale si evinceva il positivo percorso dell’affidamento in prova ai servizi sociali con giudizio finale di non pericolosità attuale.
Il ricorrente lamenta altresì che la Corte d’appello non abbia tenuto conto delle sue capacità genitoriali, omettendo l’esame delle ragioni che avevano determinato l’affido dei figli ai servizi sociali e dei documenti prodotti, con violazione anche del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, in tema di immigrazione, la valutazione della “pericolosità sociale” del coniuge straniero di cittadino italiano ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari deve essere svolta alla luce dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, potendo essere desunta anche dalla commissione di reati che ledono o mettono in pericolo l’integrità fisica. La valutazione deve, peraltro, essere svolta in concreto, attraverso un esame della condotta complessiva del richiedente, considerata la tipologia e l’entità delle condotte delittuose, della loro continuità o sviluppo diacronico, ferma la necessità che almeno una di esse sia riconducibile alle ipotesi normativamente descritte nella citata disposizione, peraltro del tutto omologhe a quelle di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis, regolante le condizioni di legge per il rilascio ed il rinnovo, in generale, del titolo di soggiorno anche per motivi diversi da quelli volti a salvaguardare l’unità familiare (Cass., n. 19337/16).
Ora, il motivo non è autosufficiente, in quanto il ricorrente non ha trascritto il contenuto della richiamata ordinanza del Tribunale di sorveglianza che avrebbe determinato l’estinzione del suddetto delitto connesso agli stupefacenti, precludendo ciò al collegio la verifica afferente al percorso di rieducazione che lo stesso ricorrente avrebbe intrapreso. D’altra parte, la Corte d’appello, a sostegno della decisione impugnata, ha valorizzato la precedente condanna penale per il reato di maltrattamenti in famiglia continuato ai danni della moglie, da cui è oggi separato, gli accertamenti compiuti sulla condotta del ricorrente, risultato segnalato per guida in stato di alterazione psicofisica e con veicolo sprovvisto della copertura assicurativa, violenza privata, lesioni personali, minacce, porto d’armi, ricettazione, nonché per l’affido dei figli minori ai servizi sociali.
Pertanto, il motivo in esame è anche privo di decisività, criticando la valutazione di pericolosità effettuata dalla Corte d’appello sulla condanna in materia di stupefacenti, ma non attingendo la ratio della sentenza impugnata che è fondata anche sui reati precedentemente commessi dal ricorrente e sulla sua personalità proclive alla violenza. Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre al pagamento delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021