LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23402/2020 proposto da:
Ministero Affari Esteri, *****, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
K.A.R., elettivamente domiciliato in Roma Via Andrea Doria, 64, presso lo studio dell’avvocato Notargiovanni Mauro, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2975/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2021 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.
RILEVATO
che:
L’Avvocatura Generale dello Stato ha proposto ricorso in cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva accolto il gravame proposto da K.A.R. avverso l’ordinanza, ex art. 702 bis c.p.c., emessa dal tribunale di Roma che aveva confermato il diniego dell’Ambasciata d’Italia a Nairobi al rilascio del visto d’ingresso richiesto dal medesimo richiedente, il quale era titolare del permesso di soggiorno per asilo politico, visto d’ingresso richiesto per ricongiungimento familiare alla propria madre.
In riferimento al chiesto ricongiungimento, il tribunale aveva rigettato la domanda sul rilievo che la documentazione posta a corredo della richiesta era risultata contraffatta. In particolare, la dichiarazione sostitutiva di atto notorio a firma di un Notaio di ***** era risultata falsa, come successivamente emerso da una dichiarazione dello stesso studio notarile. Inoltre, ad avviso del tribunale, l’autocertificazione assumeva rilievo solo nei rapporti amministrativi ma era priva di efficacia in sede giurisdizionale.
La Corte d’appello, invece, ha rilevato come l’Ambasciata a Nairobi si era limitata a contestare la inidoneità delle autodichiarazioni della madre dell’appellato a sostenere la domanda di ricongiungimento senza avere effettuato verifiche di nessun tipo al fine di dimostrarne la non veridicità ed ha ritenuto, pertanto, alla luce del fatto che il richiedente è titolare dello status di rifugiato, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 bis, comma 2, la veridicità delle dichiarazioni della madre dell’appellato che la stessa era a suo carico e che non aveva altri figli oltre al ricorrente, valorizzando il dettato normativo di cui al predetto art. 29 bis cit., secondo cui, in presenza di un rifugiato, per l’inaffidabilità delle autorità locali, il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori, ma è necessario esperire verifiche che quanto dichiarato non sia veritiero; la Corte d’appello ha, inoltre, valorizzato un successivo “affidavit” a firma di un Notaio di Nairobi dove la madre del richiedente (che risiedeva in un campo profughi del Kenia) aveva dichiarato che a seguito del decesso di tutti i familiari, il ricorrente era il suo unico figlio. Di questo documento l’Amministrazione pubblica non aveva contestato la validità.
Contro la sentenza della Corte d’appello, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Il richiedente ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo di ricorso, l’Amministrazione ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 bis, commi 1 e 2 e art. 29, comma 3, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la madre del ricongiungendo, quest’ultimo titolare del permesso di soggiorno quale rifugiato, non aveva più di sessantacinque anni e non aveva dimostrato di essere a carico del figlio richiedente né aveva dimostrato l’assenza di figli nel paese di origine.
Con il secondo motivo, l’Amministrazione ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 bis, comma 2 e dell’art. 3 in combinato disposto con il D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 47, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto che l’Amministrazione fosse gravata dall’obbligo di effettuare verifiche sulle dichiarazioni sostitutive rese dall’interessato, benché queste riguardassero requisiti diversi da quelli indicati da questa disposizione e cioè, l’esistenza di vincoli familiari tra il ricongiungendo e il soggetto destinatario del provvedimento di ricongiungimento e nel caso in esame che si trattasse della madre: nella presente causa non era, infatti, in discussione il vincolo di parentela di madre, ma la sussistenza dei requisiti di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, comma 1, lett. d) e cioè che il genitore del rifugiato vivesse a carico del figlio richiedente e l’assenza di altri figli nel paese di origine.
Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, perché connessi, sono infondati.
La condizione di soggetto beneficiario di protezione internazionale imponeva alla rappresentanza diplomatica, in ragione della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 bis, comma 2, di effettuare le verifiche ritenute necessarie, anche se a spese degli interessati, ovvero consentiva il ricorso ad altri mezzi atti a provare le circostanze ritenute necessarie per il rilascio del visto.
Anche se testualmente, nella norma in questione, si fa riferimento solo all’esistenza del vincolo familiare, tuttavia, si ritiene l’indicazione non tassativa, ma riferibile anche ad altri elementi che qualificano il vincolo, come la vivenza a carico ovvero l’assenza di altri figli in patria.
L’espressione “vincoli familiari” deve potersi riferire alle caratteristiche complessive della situazione familiare con il ricongiungendo e non al solo rapporto di parentela, strettamente considerato, perché altrimenti a quest’ultimo proposito non vi sarebbe una regolamentazione delle regole probatorie. Ne’ sussiste alcuna ragione per differenziare in senso più severo la prova dell’inesistenza di altri figli rispetto al rapporto di filiazione, poiché le difficoltà da affrontare per il rifugiato sono le stesse.
In ogni caso il rigetto della domanda non poteva essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori (non si ritiene, pertanto, conferente alla presente vicenda, il principio di diritto di cui a Cass. n. 18599/13, sull’inefficacia delle dichiarazioni sostitutive di certificazione nel processo civile ma solo nell’ambito dei procedimenti amministrativi).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Amministrazione statale a pagare a K.A.R. le spese di lite che liquida nell’importo di Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021