LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22863/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
MOBILI COSTANTINO Sas di Pallone Oro e C., in persona del legale rappresentante pro tempore e C.G., rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale il calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. Ugo Greco, elettivamente domiciliati in Roma preso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1928/39/2015 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata in data 25 febbraio 2015;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 660/38/2013 la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettò i ricorsi riuniti proposti dalla Società in accomandita semplice Mobili Costantino e dai tre soci C.G., C.R. e Co.Ri. contro l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia nei confronti della società relativo ad IRAP ed Iva per l’anno di imposta 2005 e quello nei confronti del socio C.G. relativo ai redditi di partecipazione di tale socio nella società, derivanti – per quanto ancora interessa – dall’invito ad esibire documentazione dall’esame della quale era emerso che gli accrediti bancari versati dalle società finanziatrici delle vendite di mobili non corrispondevano a scontrini fiscali o fatture di pari importo, dal che l’Ufficio finanziario aveva desunto trattarsi di ricavi non contabilizzati.
Il primo giudice ritenne che la società non avesse offerto prova della emissione degli scontrini e che le somme contabilizzate come “finanziamenti soci” e “assegni in cassa” non fossero mai state trasferite ad un conto “ricavi per vendite”, il che legittimava le presunzioni in base alle quali l’Ufficio aveva emesso gli accertamenti.
Investita da due separati appelli della società e dei soci e del socio C.G. con riguardo ai redditi personali di partecipazione che dedussero l’illegittimità degli accertamenti per assenza dei presupposti di inattendibilità delle scritture contabili e per illegittimo ricorso, da parte dell’Ufficio, a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza – la Commissione tributaria regionale della Campania, riuniti i due appelli, con sentenza n. 1928/39/2015, depositata in data 25 febbraio 2015, li accolse, ritenendo trattarsi di una situazione di errore di contabilizzazione ma non anche di occultamento dei ricavi. La CTR rilevò che, come emerso in sede di contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e come confermato attraverso i documenti versati in atti nel giudizio, gli importi incassati dalla società contribuente a mezzo bonifici da parte di “finanziarie” che avevano finanziato la maggior parte degli acquisti di mobili da parte dei clienti, erano stati regolarmente appostati come incassi di somme a fronte di vendite non ancora perfezionate, anche se il consulente della contribuente, aveva erroneamente utilizzato, per mera assonanza, il conto “finanziamento soci” in luogo di quello “finanziamento soc. fin.”, peraltro correttamente riferiti, nella sostanza, ad un fenomeno di natura finanziaria e che inoltre, al contrario di quanto sostenuto dai primi giudici, era stato altresì dimostrato in causa, attraverso i documenti riversati nel giudizio nel corso della causa, che “i conti di contabilità variamente utilizzati riscontrano, nella evoluzione successiva, sempre operazioni di segno contrario, a discarico delle originarie appostazioni contabili”. Il problema piuttosto è che gli storni dal conto finanziario non avvengono per i medesimo importi originariamente contabilizzati, posto che gli scontrini emessi in occasione della consegna della merce, vuoi perché frazionari, vuoi perché il finanziamento non copre tutto l’importo dell’ordine, o perché a tale distanza di tempo non più ricostruibili come insieme, difficilmente coincidono con l’importo ricevuto dalla finanziaria”. Da ciò il giudice d’appello dedusse che, in presenza di operazioni caratterizzate da tracciabilità assoluta e di rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede da parte della contribuente nella tenuta della contabilità, come emerso in sede di verifica, un mero errore di contabilizzazione di natura formale, ammesso e scusabile, non potesse fondare l’accertamento di maggiori ricavi.
Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto spedito in data 24 settembre 2015 e pervenuto il 29 settembre successivo alla società ed ai tre soci nel domicilio eletto, affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso la società in persona del legale rappresentante, nonché il socio C.G..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata accolto l’appello dei contribuenti con riguardo all’asserito errore materiale del commercialista contenuto nelle iscrizioni contabili, benché si trattasse di un “novum” esposto per la prima volta nell’atto di appello, come tale inammissibile poiché di esso non vi era traccia nel ricorso introduttivo.
2. Il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 e ss. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, poiché, a fronte delle presunzioni utilizzate dall’Ufficio da cui si desumeva la evasione, avendo la società per due anni di seguito annotato i versamenti della società finanziaria in un conto che non aveva alcuna attinenza con le operazioni commerciali, non aveva poi indicato e tanto meno provato in quale modo avesse trasferito tra i ricavi ciascuna di tali annotazioni stante l’omissione di qualsiasi modalità di contabilizzazione che stabilisse il nesso tra scontrini e finanziamenti.
3. Infine, con il terzo motivo sostiene violazione dell’art. 109 TUIR, comma 2, lett. a, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata recepito la erronea tesi della società contribuente che i versamenti delle somme finanziate, ricevuti prima della consegna dei beni con esse pagati, sarebbero equivalsi a un mero “debito per aver incassato una somma di denaro a fronte di una vendita non ancora perfezionata sotto il profilo economico”, pur trattandosi, al contrario, di pagamento di beni venduti e quindi di ricavi, dovendosi ritenere che il prezzo pagato anche anteriormente alla consegna costituisse un “corrispettivo conseguito”.
4. Il primo motivo è infondato poiché non è vero che la tesi dell’errore materiale contabile, per “assonanza” nella registrazione dei “finanziamenti” nel conto “finanziamento soci” o “infruttiferi” invece che nel conto “finanziamento soc. fin. “, sulla cui base la sentenza di appello aveva accolto l’appello, non fosse contenuta nell’iniziale ricorso e costituisse quindi una domanda nuova posta per la prima volta in sede di appello.
4.1. Dalla trascrizione del ricorso iniziale, operata dalla Agenzia ricorrente ai fini dell’autosufficienza emerge infatti chiaramente che fin dal ricorso introduttivo la società contribuente aveva riconosciuto la sussistenza “di qualche mera imperfezione terminologica e formale riscontrata in alcune contabilizzazioni”, facendo con ciò chiaro riferimento alla confusione nella registrazione dovuta a due conti la cui denominazione era molto simile e che erano, comunque, entrambi, destinati a descrivere un fenomeno di natura finanziaria (debito per avere incassato una somma di denaro a fronte di una compravendita non ancora perfezionata sotto il profilo economico). E di ciò dà atto anche la sentenza impugnata la quale riporta la tesi dell’errore materiale di appostamento, da parte del contabile, sostenuta e dimostrata dalla società contribuente fin dalla sede del contraddittorio preventivo e quindi nel giudizio attraverso anche la documentazione dimostrativa dell’errore materiale prodotta in allegato alla memoria difensiva; per cui non pare sostenibile che la tesi della correttezza sostanziale della contabilità, al di là di qualche errore formale di registrazione, sia stata prospettata per la prima volta in sede di appello.
4.2. In ogni caso, in materia tributaria, si ha domanda nuova inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (v, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15730 del 23/07/2020 Rv. 658550 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 2201 del 16/02/2012 Rv. 621982 – 01); il che non sarebbe comunque avvenuto nel caso in esame poiché l’argomentazione della correttezza sostanziale complessiva della contabilità, al di là di qualche errore formale che non poteva inficiarla, non concretava un nuovo tema di indagine e di decisione, costituendo, al contrario, la “base” del ricorso introduttivo.
5. Anche il secondo motivo, dedotto sotto il profilo della violazione di legge, è infondato.
5.1. La ricorrente deduce violazione dei principi dell’onere della prova e della consistenza indiziaria, però in concreto si duole della mancanza di prova, da parte della contribuente, delle modalità con cui avrebbe trasferito tra i ricavi ciascuna delle annotazioni nel conto “finanziamenti soci” o “finanziamenti infruttiferi”, stante l’omissione di qualsiasi contabilizzazione che stabilisse il nesso tra scontrini e finanziamenti.
5.2. La ricorrente trascura però che il vizio di violazione di legge consiste, in base ad una giurisprudenza ampiamente consolidata di questa Corte, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).
5.3. Non sono perciò consentiti, come avvenuto nel caso in esame, i motivi di ricorso, pur formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che in realtà contestano invece la erronea valutazione delle prove da parte del giudice di appello per avere ritenuto che la prova offerta fosse sufficiente.
5.4. Sul punto il giudice d’appello ha fatto applicazione di corretti principi giuridici ritenendo che spettasse alla contribuente dimostrare che tutte le vendite erano state effettivamente contabilizzate e quindi che non vi era stata evasione con riguardo ai ricavi, ma che in concreto la contribuente avesse offerto la dimostrazione in causa che “i conti di contabilità variamente utilizzati riscontrano, nella evoluzione successiva, sempre operazioni di segno contrario, a discarico delle originarie appostazioni contabili”. Il problema piuttosto è che gli storni dal conto finanziario non avvengono per i medesimo importi originariamente contabilizzati, posto che gli scontrini emessi in occasione della consegna della merce, vuoi perché frazionari, vuoi perché il finanziamento non copre tutto l’importo dell’ordine, o perché a tale distanza di tempo non più ricostruibili come insieme, difficilmente coincidono con l’importo ricevuto dalla finanziaria”; e da ciò ha tratto il convincimento che, in presenza di operazioni caratterizzate da tracciabilità assoluta e di rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede da parte della contribuente nella tenuta della contabilità, come emerso in sede di verifica, un mero errore di contabilizzazione di natura formale, ammesso e scusabile, non potesse fondare l’accertamento di maggiori ricavi.
5.5. Si tratta quindi di valutazioni in fatto sulla concludenza della prova operate dal giudice del merito, oltretutto sulla base della applicazione di corretti principi di diritto e con argomentazioni coerenti e tutt’altro che illogiche, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità in cui la valutazione della prova non può essere dedotta sotto il profilo della violazione di legge (v. per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171 – 01: in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione).
6. Infine, anche il terzo motivo, ugualmente dedotto sotto il profilo di violazione di legge, è infondato.
6.1. La disposizione invocata dalla Agenzia ricorrente (art. 109 TUIR, comma 2) recita: “Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza: a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale”.
6.2. Orbene, la Agenzia ricorrente invoca tale disposizione per sostenere che vorrebbe dire che, se il corrispettivo è stato versato, anche prima della consegna del bene ed anche a mezzo di anticipo da parte di una società finanziaria, in quel momento dovrebbe essere considerato e registrato come ricavo e dovrebbe essere altresì emesso lo scontrino del pagamento del prezzo, per cui avrebbe errato la sentenza impugnata a ritenere che il bonifico versato dalla società finanziaria equivaleva “a mero debito per aver incassato una somma di denaro a fronte di una vendita non ancora perfezionata sotto il profilo economico”. Però la ricorrente trascura che il tenore della disposizione invocata è ben diverso e che peraltro la questione è priva di rilievo ai fini della decisione poiché la sentenza impugnata ha accertato in fatto che la prima appostazione nel conto “finanziamenti” era di mera natura finanziaria” ed era stata poi sempre seguita si operazioni di segno contrario, a discarico delle originarie appostazioni contabili.
7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza della ricorrente. Non sussistono i presupposti per la condanna della Agenzia delle Entrate al pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, del “doppio” del contributo unificato, poiché si tratta di ricorrente pubblico che è esentato dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.
P.Q.M.
La Corte: Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 5.600,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2021