Valutazione delle prove, principio del libero convincimento, apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, errore di fatto, difetto di motivazione, limiti

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.29002 del 20/10/2021

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Valutazione delle prove, principio del libero convincimento, apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, errore di fatto, difetto di motivazione, limiti

In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ferma l’inammissibilità di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5.

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Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.  29002 del 20/10/2021

(Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente; Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere)

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

C.G.A. e A.L.T.T., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla minore C.A.L., chiamavano in giudizio G.R. esponendo che:

a seguito di parto mediante taglio cesareo effettuato dal convenuto, quale ginecologo di fiducia, nasceva la figlia che immediatamente, all’esame obiettivo, risultava affetta dalla sindrome di Apert e tetralogia di Fallot;

il suddetto medico era incorso in negligenza e imperizia nella corretta esecuzione e interpretazione degli esami strumentali, in specie ecografici, e dei correlati dati clinici, che avrebbero dovuto indurre alla – invece mancata – effettuazione di un approfondimento morfologico tra le 21ma e 24ma settimana e di un esame ecocardiografico tra la 31ma e 34ma settimana;

in specie, era mancata la rilevazione del dismorfismo del cranio fetale individuabile nella scheda ecografica della 21ma settimana;

era poi mancata la doverosa informazione della paziente sui limiti dell’ecografia ostetrica;

ne era derivata l’impossibilità di optare per l’interruzione della gravidanza, come sarebbe accaduto una volta apprese le malformazioni;

chiedevano, pertanto, i conseguenti danni;

il Tribunale, davanti al quale resisteva G.R., accoglieva la domanda, anche riguardo alla minore, osservando che:

nell’ecografia effettuata alla 21ma settimana di gestazione, era tecnicamente possibile diagnosticare la sindattilia, sintomo della sindrome di Apert, e la tetralogia di Fallot;

inoltre, nonostante il medico si fosse attenuto alle linee guida della SIEOG (Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica), avrebbe comunque dovuto informare la paziente della capacità diagnostica ridotta dalla mancata effettuazione della scansione degli efflussi cardiaci, ai fini della individuazione della seconda patologia indicata;

– doveva ritenersi che, informata delle malformazioni e anomalie rilevanti, la gestante avrebbe verosimilmente interrotto la gravidanza legittimamente, correndo un grave pericolo per la propria salute psicofisica, non essendovi prova di fattori ambientali o personali che deponessero in senso contrario;

la Corte di appello riformava parzialmente la decisione, escludendo la riconoscibilità dei danni alla minore, non suscettibile di essere riconosciuta titolare di un “diritto a non nascere”, e per il resto osservando, per quanto ancora qui rileva, che:

– era emerso dalla consulenza tecnica d’ufficio che la sindrome di Apert era diagnosticabile con amniocentesi o funicolocentesi, mentre i segni tipici della malattia – acrocefalia e sindattilia – erano suscettibili di diagnosi: la prima con l’ecografia tra la 28ma e 34ma settimana, la seconda con l’ecografia della 21ma-23ma settimana;

– tutta la letteratura internazionale concordava che la sindrome in parola è di regola oggetto di diagnosi con l’esame ecografico del terzo trimestre, quando la craniostenosi si evidenzia, a meno di una peculiare storia familiare;

– la tetralogia di Fallot, malformazione congenita del cuore e dei grossi vasi era diagnosticabile con l’esame ecografico, in specie l’ecocardiografia fetale, tra la 21ma e la 23ma settimana di gravidanza;

– nel caso, con l’ecografia della 21ma settimana sarebbe stato possibile diagnosticare la sindattilia e la tetralogia, mentre con quella della 31ma settimana sarebbe stato possibile fare la diagnosi di tutte le malformazioni;

– l’ecografo utilizzato da G. non era obsoleto ma idoneo all’effettuazione di corrette ecografie;

quanto alla tetralogia il perito aveva anche specificato che le cardiopatie, sono prevalentemente diagnosticabili con l’analisi degli efflussi, di cui il medico aveva registrato solo alcuni parametri in occasione dell’esame ecografico della 21ma settimana;

nell’ipotesi di mancata effettuazione della scansione degli efflussi la paziente avrebbe dovuto essere informata della ridotta capacità diagnostica dei soli esami fatti, come prescritto dalle medesime linee guida SIEOG;

pertanto: sebbene in astratto, e peraltro parzialmente, le linee guida richiamate erano state rispettate, la specificità del caso, nella fattispecie concretata dalla possibilità di evincere dati decisivi con un’attenta lettura degli esami ecografici, segnalava la violazione dello “standard” appropriato di diligenza;

inoltre, le linee guida non erano state compiutamente rispettate, attesa la mancata informazione della ridotta capacità diagnostica delle cardiopatie congenite del feto senza scansione degli efflussi;

al contempo, le malformazioni descritte e individuabili alla 21ma settimana, quando non sussisteva ancora l’autonomia del feto, erano rilevanti ai fini abortivi, potendo compromettere gravemente l’equilibrio psichico della donna;

la disciplina della L. n. 194 del 1978, art. 6, giustificava la presunzione seppure relativa della volontà abortiva nelle condizioni date, confermata dalle prove orali oltre che dalla richiesta d’indagini mediche prenatali;

infine, le contestazioni sulla quantificazione dei danni effettuata in prime cure, relativamente al danno biologico e morale della madre, come a quello non patrimoniale per lesione del diritto alla pianificazione della vita familiare, e patrimoniale sulle spese mediche anche future e sugli aggravi di mantenimento per la malattia della figlia, erano risultate generiche e, dunque, in violazione dell’art. 342 c.p.c.;

avverso questa decisione ricorre per cassazione G.R. articolando quattro motivi, corredati da memoria;

resistono con controricorso C.G.A. e L.T.T., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla minore C.A.L.;

su richiesta del Pubblico Ministero e della difesa di G.R. è stata celebrata udienza pubblica con discussione orale;

Rilevato che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 1176,1223,2236,2056 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che:

la circostanza per cui con i descritti esami ecografici sarebbe stato “tecnicamente” possibile diagnosticare le malformazioni, non significava che la diagnosi fosse possibile con quelli eseguiti dal deducente;

quanto alla sindattilia, la Corte territoriale non aveva indicato da quale immagine ecografica sarebbe stata possibile quella più attenta lettura addebitata, essendo invece state rispettate le linee guida che prevedevano solo la rilevazione in termini di presenza/assenza e non di conta delle dita, laddove non era emersa alcuna specificità che inducesse ad approfondimenti, in una persona già madre di figlia nata senza criticità;

la craniosinostosi, e le altre malformazioni del massiccio facciale, sintomi della sindrome di Apert, sarebbero state rilevabili solo con irregolarità delle misure craniche del tutto assenti all’esame ecografico della 31nna settimana;

quanto alla tetralogia di Fallot, non erano presenti tracce alla ecografia della 21ma settimana poiché non erano presenti neanche alla nascita, come evincibile dal referto ecografico con valutazione degli efflussi eseguito subito dopo il parto e nelle 24 ore successive: solo dopo 48 ore dalla nascita iniziavano a mostrarsi efflussi anomali e si era proceduto alla diagnosi;

ne sarebbe dovuto derivare che non vi era alcun approfondimento da disporre per un professionista cui non era richiedibile una diligenza superiore alla media per un controllo quale quello ecografico, di “routine”;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, artt. 6 e 7, poiché la Corte di appello avrebbe errato nel considerare le descritte malattie, superabili con correzioni chirurgiche, come legittimo presupposto per la scelta abortiva oltre il 90mo giorno, in difetto, inoltre, di specifica prova sulla volontà della donna in tal senso;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,2056,2729,2697 c.c., art. 115 c.p.c., poiché la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che alcuni testi avrebbero confermato la volontà abortiva, nel caso, della donna, poiché i deponenti indicati avevano risposto sui capitoli da 1 a 4 della citazione e non su quelli sub c) da 1 a 4, contenenti le domande al riguardo, fermo restando che la richiesta di esami ecografici non avrebbe potuto ritenersi di per sé indicativa nei sensi in discussione, specie svalutando la manifestazione dell’adesione della signora A. al valore della vita solo perché espressa in contesto pubblico, a fronte delle risultanze di convinta religiosità della stessa che, infatti, aveva celebrato il matrimonio in forma liturgica;

con il quarto motivo si prospetta la nullità della sentenza per motivazione apparente e la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che sulla quantificazione dei danni era stata specificatamente dedotta l’illegittima duplicazione discussa, diffusamente, nella comparsa conclusionale d’appello, in specie con riguardo all’inesistente diritto alla pianificazione familiare, senza che dovesse essere detto di più tenuto conto della natura di gravame a critica libera in quel momento esercitato, laddove era risultata per la A. solo una forma lieve di depressione, mentre la stessa era incorsa in pregressi episodi dolorosi che la potevano spiegare, e che il padre aveva continuato pure la propria attività lavorativa senza alterazioni, fermo rimanendo che i costi medici erano stati valutati inammissibilmente solo in astratto;

Rilevato che:

il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

va premesso che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, si è in presenza di una doppia conforme di rigetto dei giudici di merito, posto che l’unica differenziazione ha riguardato il danno riconosciuto alla minore e in questa sede non più oggetto di discussione;

il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità, ex art. 348-ter c.p.c., comma 5, del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, quale convertito, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 06/08/2019, n. 20994, Cass., 12/01/2021, n. 268, pag. 9);

e’ del tutto evidente che, facendo riferimento la norma alle “ragioni inerenti alle questioni di fatto”, non rileva che il Tribunale abbia qualificato la condotta accertata come carente sotto il profilo della diligenza media, e la Corte territoriale, invece, inferiore agli “standard” professionali più elevati suggeriti dal caso. concreto, atteso che questa sussunzione dei fatti nel regime legale non è stato dimostrato che abbia trovato spunto in una differente ricostruzione fattuale;

lo scrutinio avverrà, dunque, tenendo conto che le prospettazioni di omesso esame ovvero motivazionali, come con riferimento ad alcune circostanze quali il referto ecografico alla nascita e nelle 24 ore successive, non sono ammissibili (anche) perché elusive del divieto normativo di accesso al sindacato di legittimità;

ciò posto deve osservarsi che:

la Corte di appello ha accertato che all’attenta lettura dell’esame ecografico della 21ma settimana, eseguito con apparecchio idoneo, era diagnosticabile la sindattilia, sintomo della sindrome di Apert, e anche la tetralogia di Fallot (pag. 9 della sentenza);

la donna, in violazione delle linee guida SIEOG, non era stata informata della ridotta capacità diagnostica sulle cardiopatie congenite in assenza dell’esame di scansione degli efflussi che, per converso, ne avrebbe potuto confermare l’evidenza (pagg. 9-10);

nulla risulta del contenuto del referto alla nascita e alle 24 ore successive, da riportare nel ricorso indicando dove e in quali termini la circostanza dell’assenza d’indicazioni sarebbe stata allegata e discussa in prime cure e poi in appello (la parte indica solo il numero di documento del fascicolo di primo grado e rinvia a certi punti non trascritti dell’atto di appello): sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 35569);

stessa valutazione deve poi farsi in relazione a: risultanze di misure craniche, di anomalie sopravvenute solo a 48 ore dalla nascita, e la stessa anamnesi familiare che non risulta quando e come sia stata oggetto di discussione;

Corte territoriale ha imputato al Dottor G. una carente diligenza e perizia quale ginecologo, ovvero uno specialista che, da sé o mediante altri colleghi, deve soddisfare, nella fattispecie, uno “standard” di diligenza professionale superiore a quella media della sua generale professione medica: parametro, quindi, ritenuto non rispettato, in relazione alla necessità di vaglio corretto degli esami ecografici e alla mancata informazione della possibilità di esami con maggiore incidenza diagnostica, con una legittima sussunzione di tali fatti nel regime normativo applicato, e come tale non oggetto di censura, di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c.;

il secondo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

l’accertamento della rilevanza delle malformazioni ai fini della tutela della salute psichica della donna è fattuale e riservato come tale al giudice di merito (Cass., 06/07/2020, n. 13881) e va praticato secondo parametri di probabilità “ex ante” (Cass., 15/01/2021, n. 653);

nel caso, è stato accertato che si trattava di rare quanto significative malformazioni alle dita e cardiopatiche, sicché anche sotto tale profilo non risulta neppure un vizio sussuntivo, residuando il tentativo di una rilettura istruttoria in questa sede non ammessa;

il terzo motivo è manifestamente infondato;

la parte adduce che le prove testimoniali poste, tra gli altri elementi istruttori, a base della ricostruzione della volontà abortiva della donna, sarebbero state mal percepite;

il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile, al di fuori dei propri casi di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, in sede di legittimità qualora dia luogo a un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, quale convertito, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicché “a fortiori” se ne deve escludere la denunciabilità in caso di cd. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c. (Cass., 03/11/2020, n. 24395, pagg. 6-9);

né si può ipotizzare la violazione dell’art. 115 c.p.c.: è stato ripetutamente ribadito (Cass., 26/08/2020, n. 17821, Cass., 07/11/2019, n. 28619, Cass., 10/09/2019, n. 22525) che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 12/10/2017, n. 23940), ferma l’inammissibilità di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5;

in particolare, la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea per altro verso a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda il sopra ricordato principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime; mentre la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come analogo vizio solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha finito per attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33);

per queste stesse ragioni il travisamento in questione, quale sopra ricostruito, non può intercettare un’infrazione dell’art. 115 c.p.c. (cfr. infatti Cass., n. 24395 del 2020, cit., pag. 9);

fermo restando quanto appena indicato, è opportuno rimarcare che il preteso errore non risulta corrispondere neppure astrattamente agli atti processuali indicati e riportati: si può agevolmente constatare che le risposte degli escussi sono riferite ai capitoli sub 1)-4) della citazione, menzionata nella risposta, e non ai generici punti con i quali il medesimo atto introduttivo esponeva le mere e generalissime premesse storiche della vicenda;

va poi sottolineato una volta di più che, come in parte anticipato, la valutazione della Corte territoriale non si è limitata, sul punto, a valorizzare la richiesta di esami ecografici, ma ha poggiato sulle prove orali appena richiamate, con svalutazione, ai fini in parola, delle affermazioni di adesione al valore della vita date in contesti pubblici di cerimonie religiose quale il Battesimo (pag. 14 della decisione), così completandosi un accertamento propriamente fattuale riservato al giudice del merito;

il quarto motivo è infondato;

la Corte territoriale ha osservato che il Tribunale aveva riconosciuto voci per danno alla persona, biologico e anche “non patrimoniale” da intendersi per differenza riferito alla sofferenza morale, non patrimoniale da lesione della pianificazione familiare, riferibile a quella del rapporto parentale, e patrimoniale;

ora, nell’atto di appello la parte deducente riporta di aver solo contestato, apoditticamente, una pretesa “duplicazione” risarcitoria, senza spiegare per nulla le ragioni sottese all’affermazione, rimasta ancorata alla descrizione delle voci senza corredo ricostruttivo alcuno, emergente, per differenza, dalle allegazioni effettuate, però, solo nell’atto meramente illustrativo della memoria conclusionale;

la censura (poi integrata da riferimenti fattuali alla storia personale del padre e della madre effettuati in questa sede, peraltro, senz’alcuna conformità ai requisiti dell’art. 366 c.p.c.), è quindi inidonea a incidere sulle statuizioni affatto formalistiche della Corte di appello;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali dei controricorrenti, in solidarietà attiva, liquidate in Euro 4.000,00, oltre a 200,00 Euro per esborsi, spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021

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