Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.29579 del 22/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15345/2016 proposto da:

T.P., anche in qualità di erede di M.V. in T., rappresentata e difesa dall’Avvocato MAURIZIO DONINI, e dall’Avvocato MATTEO SARTORI, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato FRANCO FEDRIZZI, per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché

T.L., T.M., B.G., F.G., S.A. e P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 383/2015 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO, depositata in data 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata dell’8/6/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

1.1. T.P., T.L., T.M. e M.V. in T., nella qualità di comproprietarie pro-indiviso della p.ed. 111/1 c.c. Andalo, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Trento, P.S.L., B.G., F.G. e S.A. chiedendo, in via principale, che fosse accertato l’acquisto, per usucapione, della servitù di passaggio a piedi e con mezzi sul piccolo andito comune alle p.m. 1, 2 e 3 della p.ed. 111/2, di proprietà dei convenuti e contiguo alla via pubblica, per accedere alla loro proprietà e ad un parcheggio a sud del loro edificio, ed, in via subordinata, che fosse costituita, a fronte dell’interclusione del loro fondo, una servitù coattiva ai sensi degli artt. 1051 o 1052 c.c., a carico del medesimo andito.

1.2. P.S.L., B.G., F.G. e S.A. si sono costituiti in giudizio. P.S.L., in particolare, ha dedotto di aver acquistato la proprietà della p.m. 2 della p.ed. 111/2 nel 1994 e che, dopo il suo acquisto, il transito era in ogni caso avvenuto a titolo di mera cortesia, chiedendo, in via riconvenzionale, che fosse inibito alle attrici il transito sulla sua proprietà.

1.3. P.F., proprietario della p.m. 2 della p.ed. 112, è intervenuto in giudizio.

1.4. Il tribunale, con sentenza del 4/4/2013, per quanto ancora rileva, ha rigettato la domanda proposta dalle attrici ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale della P., ha ordinato alle stesse di astenersi dal passare a piedi o con mezzi sul fondo della convenuta.

1.5. T.P., T.L., T.M. e M.V. in T. hanno proposto appello lamentando, per diversi profili, il rigetto della domanda di usucapione ed il conseguente accoglimento della domanda di inibitoria, nonché il rigetto della domanda di costituzione della servitù coattiva, riproponendo le domande e le eccezioni rimaste assorbite.

1.6. P.S.L. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto. B.G., F.G. e S.A. sono rimasti contumaci.

2.1. La corte d’appello, richiamato il consulente tecnico d’ufficio affinché meglio descrivesse tutti i possibili percorsi per accedere o recedere dalla strada pubblica alla p.ed 111/1, interclusa, individuandone per ciascuno di essi le caratteristiche, le dimensioni, la lunghezza, l’esatta ubicazione ed il percorso, nonché le caratteristiche, le dimensioni, le misure e la lunghezza attuale della stradina sterrata con cui la p.ed. 111/2 è raggiungibile, ha, con la sentenza in epigrafe, rigettato l’appello.

2.2. La corte, in particolare, per ciò che riguarda il rigetto della domanda principale di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù di passaggio, dopo aver premesso che, ai fini dell’imprescindibile requisito della presenza di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, è necessario che l’opera manifesti in modo univoco che è stata realizzata al precipuo scopo di dare accesso al fondo, e che tale requisito, avendo carattere oggettivo, è del tutto indipendente e prescinde dall’uso che in concreto sia stato fatto dell’opera stessa, ha ritenuto che, nel caso in esame, “il manufatto tettoia-pensilina… evidenzia esclusivamente ed univocamente la sola finalità di costituire un riparo dalle intemperie di una porzione di area scoperta del fabbricato”: “la porzione di area sottostante alla tettoia-pensilina, per la sue caratteristiche oggettive ed anche in considerazione della sua ubicazione – zona montana potrebbe”, infatti, “essere finalizzata alle più svariate utilizzazioni (quali, ad esempio, come piccolo deposito di materiale, o costituire un riparo per coloro che accedessero all’area scoperta, o a salvaguardia della stessa struttura muraria esterna all’abitazione rispetto alle conseguenze del deterioramento causato dall’intemperie), e dunque non solo, ed esclusivamente, al ricovero dei veicoli lì sotto parcheggiati”, e ciò fa escludere in radice, ha osservato la corte, che la tettoria-pensilina possa considerarsi come opera visibile destinata inequivoca mente, oggettivamente e manifestamente all’asservimento del fondo al passaggio carraio, rimanendo, pertanto, del tutto irrilevante il concreto utilizzo della tettoia, qual è stato riferito da una parte dei testi escussi.

2.3. Ne’, ha aggiunto la corte d’appello, possono costituire segni visibili del passaggio delle vetture l’invito” e la presenza del garage posto che: – l’invito”, che pacificamente non esiste più da tempo, rappresenta oggettivamente solo un punto di raccordo fra due livelli di terreni che non erano perfettamente complanari e che, in ogni caso, costituisce un’opera di per sé insufficiente a soddisfare il requisito dell’apparenza della servitù di passo carraio, non essendo univocamente destinata all’asservimento in quanto, a prescindere dall’eventuale utilizzazione di fatto, può essere finalizzata anche ad un miglior deflusso delle acque meteoriche oppure ad evitare accumuli di neve; – il garage, che è un locale non accatastato come tale, può essere del pari destinato ai più diversi utilizzi, quale deposito, locale di sgombro, ecc., e non esclusivamente al ricovero delle automobili, e ciò esclude, per le ragioni esposte, che possa essere considerato come segno visibile dell’apparenza della servitù nei termini pretesi delle appellanti. Tali rilievi, ha concluso la corte, inducono, in definitiva, ad escludere la sussistenza del necessario e indefettibile presupposto dell’apparenza della servitù, tanto più per il periodo necessario ad usucapire, e comportano, quindi, il rigetto della domanda.

2.4. Per ciò che riguarda, invece, il rigetto della domanda subordinata di costituzione della servitù coattiva, la corte d’appello, dopo aver premesso che: – l’interclusione della p.ed. 111/1 è oggettiva e indiscussa; – le appellanti avevano formulato la domanda di interciusione indicando con precisione, sin dall’atto introduttivo del giudizio, un solo ben preciso tracciato, e cioè “quello che passa attraverso l’andito comune della p.ed. 111/2 (lo stesso che si pretendeva di aver usucapito)”; – l’ambito della domanda d’interclusione è limitato a tale tracciato senza che possano esserne esaminati altri se non al limitato fine di accertare eventualmente che quello indicato dalle appellanti non risponde ai criteri previsti dall’art. 1051 c.c., e cioè più breve e di minor danno per il fondo servente; ha ritenuto, in forza degli elementi forniti dalla consulenza tecnica d’ufficio e di quelli tratti dalla consulenza di parte della P., che non hanno formato oggetto di specifica contestazione e che offrono utili elementi integrativi, che il tribunale avesse correttamente escluso la sussistenza dei presupposti per imporre la servitù coattiva di passaggio, sia a piedi che con veicoli, sul fondo di proprietà degli appellati, evidenziando, in particolare, che, “sebbene indubbiamente quello indicato dalle appellanti sia il più breve non è però anche quello meno gravoso per il fondo asservito”.

2.5. Ed infatti, ha osservato la corte, innanzitutto, e diversamente da quanto sostenuto dalle appellanti e dal consulente, non vi è alcuna necessità che il passaggio raggiunga l’andito a sud su cui si affacciano la pensilina ed il garage delle T. poiché a rilevare sono “le esigenze di accesso alla p.ed. 111/1, interclusa, una volta evidenziato che il garage non è tale in quanto non è così accatastato e viene utilizzato quale locale di sgombro/deposito” e che diventa, quindi, assolutamente irrilevante, come sottolineato dal consulente tecnico d’ufficio, che il locale potrebbe in teoria ancora ospitare una piccola macchina “perché non è quella la destinazione del locale e dell’accesso che si apre sul fondo dominante”.

2.6. Inoltre, ha aggiunto la corte, “nella valutazione complessiva delle esigenze del fondo dominante e degli aggravi per il fondo servente, il peso che dovrebbe sopportare l’andito comune alla p.ed. 111/2 appare eccessivo”, soprattutto se paragonato rispetto al percorso alternativo individuato dal consulente, costituito da “una strada sterrata già esistente che lo stesso ctu afferma avere un’ampiezza “mediamente di 3 m” e che il ctp…, senza che invero dette misure abb(a)i(a)no formato oggetto di specifica contestazione, ha un’ampiezza ancora maggiore (da un minimo di m. 3,50 ad un massimo di m. 5) comunque assolutamente sufficiente al transito delle vetture, e che porta sul cortile nord della p. ed. 111/1 sul quale è presente sia il manufatto in legno con tettoia (p.ed. 586) delle T. che costituisce ricovero per autovetture… sia l’ingresso principale della p.ed. 111/1 a cui si arriva attraverso una rampa pedonale. Tale secondo percorso si sovrappone ad una situazione di fatto già esistente nel senso che la destinazione a passaggio (mediante la strada in oggetto) è stata impres(s)a già dal proprietario e tanto per la parte del cortile della p. ed. 112 quanto per la p.f. 1519… e dunque oggettivamente già la stessa situazione dei luoghi evidenzia che il godimento del titolare del fondo pretesamente servente è già limitato e sarebbe peraltro coerente con l’utilizzo che verrebbe impresso dall’eventuale servitù di transito. L’eventuale peso di una servitù coattiva e’, dunque, sicuramente di minor aggravio rispetto al peso che subirebbe il fondo servente se venisse prescelto il percorso indicato dalle appellanti e caldeggiato dal ctu, in quanto, in tal ultimo caso, il percorso attraversa un andito “libero”, laddove, “con l’imposizione della servitù, necessariamente, il godimento dell’andito sarebbe più limitato qualunque uso i proprietari vogliano farne, ivi compreso, quindi, quello di parcheggiarvi le macchine, in ragione della rilevante restrizione della possibilità di parcheggio”, a nulla rilevando che i proprietari della p.ed. 111/2 possiedano già altri ricoveri posto che, in quanto proprietari, sono liberi di usufruire dell’andito a loro piacimento e quindi di utilizzarlo anche come parcheggio di più vetture, e ciò sarebbe quantomeno limitato se non impedito una volta che fosse imposto il peso della servitù sullo stesso. Ne’ può costituire un limite, ha concluso la corte, il fatto che percorso con le vetture si fermi ad un livello più basso dell’ingresso principale della p.ed. 111/1, che è raggiungibile percorrendo una ampia rampa pedonale lunga circa 10 metri, e ciò non impedisce, quindi, agli automezzi di raggiungere l’ingresso principale, comprese le ambulanze per l’eventuale trasporto di un infermo.

3.1. T.P., anche nella qualità di erede di M.V. in T., con ricorso notificato il 13/6/2016, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza.

3.2. P.S.L. ha resistito con controricorso.

3.3. T.L. e T.M., al pari di B.G., F.G. e S.A., sono rimaste intimati.

3.4. Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1061 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 61 c.p.c. e segg., artt. 191 c.p.c. e segg., artt. 115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa e/o solo apparente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso che la tettoia-pensilina fosse un’opera visibile e permanente univocamente destinata all’esercizio della servitù, senza, tuttavia, considerare la realtà sociale e le consuetudine dei luoghi risultanti dalla consulenza tecnica d’ufficio, dalle cui conclusioni si è discostata senza alcuna motivazione. Il consulente tecnico d’ufficio, infatti, ha osservato la ricorrente, aveva evidenziato che la tettoria-pensilina, raggiungibile con mezzi meccanici solo passando sul preteso fondo servente, non presentava alcun pilastro portante sul suolo né tamponamenti laterali, e che tale tipologia costruttiva testimoniava, nel contesto sociale di riferimento, la sua antica consuetudine di porvi i mezzi meccanici al riparo dalle intemperie.

4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1061 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso che il requisito dell’apparenza della servitù potesse essere desunto dalla presenza del garage descritto dal consulente tecnico d’ufficio sul rilievo che il locale non era accatastato come tale e che poteva essere destinato ai più diversi utilizzi, omettendo, tuttavia, di considerare che, ai fini previsti dall’art. 1061 c.c., la sussistenza di tale requisito dipende esclusivamente dalle oggettive caratteristiche dell’opera e non dal modo in cui questa viene effettivamente utilizzata e/o accatastata. La corte d’appello, quindi, alla luce delle risultanze peritali, che evidenziano l’esistenza di un garage con accesso carrabile avente una larghezza di 2,75 ml raggiungibile solo attraverso il preteso fondo servente, avrebbe dovuto riconoscere la sussistenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù.

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c. e art. 134 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione totalmente omessa e/o solo apparente e/o manifestamente illogica ed incomprendibile, nonché degli artt. 1061 e 1158 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha del tutto immotivatamente escluso, alla luce delle risultanze istruttorie acquisite al giudizio, che presentasse i requisiti di cui all’art. 1061 c.c., l’invito in cemento collocato sul fondo servente al precipuo ed evidente scopo di permettere/agevolare l’esercizio della servitù di passo carraio. Le prove testimoniali e documentali raccolte in giudizio, infatti, ha osservato la ricorrente, dimostrano univocamente sia il fatto che l’andito dei convenuti, e cioè il preteso fondo servente, rimasto sterrato fino al 2006-2007, era stato raccordato con l’andito attoreo, da sempre lastricato in porfido, da una gettata di cemento utilizzata proprio allo scopo di superare con automezzi il dislivello di 4-5 cm esistente, sia il fatto che, negli anni 2006-2007, detto raccordo, a seguito dell’asfaltatura del preteso fondo servente e della conseguente rimozione del preesistente dislivello rispetto al preteso fondo dominante, era stato rimosso. La corte d’appello, del resto, ha espressamente riconosciuto che l’invito in cemento aveva l’esclusiva funzione di rendere perfettamente complanari i livelli tra il fondo preteso servente e il preteso fondo dominante e che tale invito era stato rimosso con l’asfaltatura del fondo preteso servente e la conseguente eliminazione del preesistente dislivello, vale a dire circostanze tali da rendere visibile la situazione di asservimento tra i fondi proprio in funzione dell’esercizio del passaggio veicolare nei termini rivendicati dall’attrice. La corte d’appello, invece, ha ritenuto che il predetto invito potrebbe essere finalizzato ad un miglior deflusso delle acque meteoriche ovvero ad evitare accumuli di neve, senza, tuttavia, spiegare la ragione per cui un raccordo in cemento, realizzato per rendere perfettamente complanari due fondi che presentano un dislivello di qualche centimetro, possa essere invece destinato a migliorare il deflusso delle acque e/o ad evitare l’accumulo di neve ed avere, quindi, una funzione diversa da quella di rendere agevole l’accesso veicolare tra un fondo e l’altro.

4.4. Con il quarto motivo, la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1061 e 1158 c.c. e artt. 115 e 166 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la sussistenza del requisito dell’apparenza della servitù procedendo ad una valutazione atomistica della situazione di fatto e delle singole opere (garage, tettoia-pensilina, raccordo in cemento sostituito dall’asfaltatura del preteso fondo servente), omettendo, invece, di operare, come aveva fatto il consulente tecnico d’ufficio, la situazione complessiva delle stesse.

5.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

5.2. La corte d’appello, invero, dopo aver ritenuto che: – “la porzione di area sottostante alla tettoia-pensilina, per la sue caratteristiche oggettive ed anche in considerazione della sua ubicazione – zona montana – potrebbe… essere finalizzata alle più svariate utilizzazioni (quali, ad esempio, come piccolo deposito di materiale, o costituire un riparo per coloro che accedessero all’area scoperta, o a salvaguardia della stessa struttura muraria esterna all’abitazione rispetto alle conseguenze del deterioramento causato dall’intemperie), e dunque non solo, ed esclusivamente, al ricovero dei veicoli lì sotto parcheggiati”; – l’invito” costituisce oggettivamente solo un punto di raccordo fra due livelli di terreni che non erano perfettamente complanari e che, a prescindere dall’eventuale utilizzazione di fatto, può essere finalizzato anche ad un miglior deflusso delle acque meteoriche oppure ad evitare accumuli di neve; – il garage è costituito da un locale, non accatastato come tale, che può essere destinato ai più diversi utilizzi, quale deposito, locale di sgombro, ecc., e non esclusivamente al ricovero delle automobili; ha, in forza di tali rilievi, escluso che le predette opere potessero essere considerate come segno visibile dell’apparenza della servitù di passaggio pretesa dall’attrice.

5.3. Questa Corte, in effetti, ha ripetutamente affermato che il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria bensì di preciso onere a carattere stabile, e che, pertanto, non è sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, ma è essenziale che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, ossia è necessario un quid pluris, rispetto alla mera esistenza di un percorso o di una strada, che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù (Cass. n. 11834 del 2021, che ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva ritenuto acquisita, per usucapione, la servitù di passaggio su di una scalinata presente sul fondo dei convenuti ed utilizzata dall’attrice per accedere alla propria cantina, collocata sul fondo costeggiato dalla scalinata medesima, nonostante quest’ultimo avesse altro accesso dalla pubblica via e la scalinata fosse stata realizzata non già per accedere a detta cantina, ma per collegare due strade pubbliche, collocate una a monte e l’altra a valle; conf., Cass. n. 25355 del 2017; Cass. n. 7004 del 2017; Cass. n. 6488 del 2011; in precedenza, Cass. n. 2994 del 2004; Cass. n. 11254 del 1996; Cass. n. 11020 del 1991; Cass. n. 13238 del 2010, che ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l’esistenza di opere visibili idonee all’usucapione identificabili, segnatamente, nella presenza di qualche tubo, con copertura di terra, posto nell’alveo di un fosso divisorio di due fondi contigui, tale da consentire il passaggio tra di essi). La sentenza impugnata, quindi, lì dove, con motivazione nient’affatto apparente o contraddittoria, ha escluso che le opere esistenti in loco fossero univocamente ed obiettivamente destinate all’esercizio della servitù di passaggio pretesa dall’attrice, si è conformata ai principi esposti e si sottrae, quindi, alle censure svolte sul punto dalla ricorrente.

5.4. Le residue censure svolte dalla ricorrente, riguardando la presunta idoneità delle opere indicate, e cioè il garage, la tettoia-pensilina ed il raccordo in cemento, a rendere visibile la situazione di asservimento tra i fondi in funzione dell’esercizio del passaggio, si infrangono, per il resto, sul differente accertamento in fatto operato, sul punto, dalla corte d’appello. Ed e’, in effetti, noto come, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), l’art. 360 c.p.c., n. 5, consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, più di recente, Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Pertanto (una volta escluso, come nella specie, che la motivazione resa dalla corte d’appello sia inesistente o apparente o contraddittoria), l’accertamento dei fatti può essere censurato in cassazione solo per l’omesso esame da parte del giudice di merito di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 23940 del 2017, in motiv.). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, che denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere di indicare non una mera “questione” o un semplice “punto” della sentenza ma il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale) – vale a dire un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. SU. n. 5745 del 2015) – il cui esame sia stato del tutto omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, da cui lo stesso risulti dagli atti del giudizio e il modo in cui sia stato oggetto di discussione tra le parti, nonché, infine, la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.). L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (come, nella specie, la sussistenza di opere oggettivamente ed univocamente idonee a rendere visibile la situazione di asservimento tra i fondi proprio in funzione dell’esercizio del passaggio veicolare nei termini rivendicati dall’attrice), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).

5.5. Nel caso di specie, al contrario, la ricorrente non hanno specificamente indicato quali sono stati i fatti storici decisivi che la corte d’appello, benché risultanti dalla sentenza stessa o dagli atti del giudizio, avrebbe del tutto omesso di esaminare, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale (anche quando si sia discostato, fornendo adeguata giustificazione del proprio convincimento, dalle conclusioni esposte dal consulente tecnico d’ufficio) non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Com’e’ noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’e’ accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

5.6. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha escluso, in fatto, che le opere esistenti sul preteso fondo servente potessero essere considerate, a prescindere dalla concreta utilizzazione delle stesse, come inequivocamente, oggettivamente e manifestamente destinate all’asservimento dello stesso al passaggio carraio preteso dall’attrice. Ed una volta affermato, come la corte d’appello ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o più circostanze decisive, che le opere esistenti presenti sul preteso fondo servente erano tali da visibile la situazione di asservimento dello stesso rispetto all’esercizio del passaggio veicolare nei termini rivendicati dall’attrice, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione dell’art. 1061 c.c., la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda proposta dall’attrice in quanto volta, appunto, al riconoscimento dell’acquisto, per usucapione, della servitù corrispondente.

6.1. Con il quinto motivo, la ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1051 c.c. e degli artt. 115,116c.p.c. e art. 134 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di costituzione in via coattiva della servitù di passaggio senza, tuttavia, considerare che il fondo dominante, quando sia composto da parti che per ragioni morfologiche non siano tra loro collegabili, non dev’essere oggetto di considerazione unitaria. La corte d’appello, infatti, ha ritenuto che dovevano essere valutate le esigenze di accesso alla p.ed. 111/1 unitariamente considerata e, dunque, non le esigenze delle parti in cui la stessa è composta, omettendo, così, di considerare che la parte a sud della p.ed. 111/1, dove si trovano la tettoria-pensilina ed il garage, non è in alcun modo raggiungibile, con mezzi meccanici, con la parte a nord della medesima p.ed. 111/1, dove si trova l’andito raggiungibile secondo il percorso ipotizzato dalla sentenza.

7.1. Il motivo è infondato. Rileva la Corte che, in effetti, come già più volte chiarito (Cass. n. 8105 del 1997; Cass. n. 10045 del 2008), il proprietario di un fondo intercluso e, come tale, legittimato ad ottenere il passaggio sul fondo vicino verso la pubblica via onde realizzare una più conveniente utilizzazione del bene, ove convenga in giudizio il proprietario (ovvero uno dei proprietari) di fondi finitimi, ha il solo onere di provare lo stato di interclusione, assoluta o relativa, del proprio terreno, spettando al giudice di merito di provvedere, con riferimento all’ambito spaziale del fondo del convenuto (o della pluralità dei fondi intercludenti), alla determinazione del luogo sul quale deve essere in concreto esercitato il passaggio coattivo, in base ai criteri (fissati dall’art. 1051 c.c., comma 2) della maggiore brevità dell’accesso alla via pubblica (avendo però riguardo non solo, e non tanto, alla maggiore o minore lunghezza del percorso, bensì alla sua onerosità in rapporto alla situazione materiale e giuridica dei fondi) e del minor aggravio per il fondo da asservire (nell’interesse, oltre che del proprietario di detto fondo, anche di quello dello stesso proprietario del fondo intercluso, poiché l’indennità che quest’ultimo è tenuto a corrispondere va, appunto, commisurata al danno che l’assoggettamento al passaggio comporta per il fondo servente), da valutarsi ed applicarsi contemporaneamente ed armonicamente, mediante un opportuno ed equilibrato loro contemperamento e tenendo presente che, vertendosi in tema di una limitazione del diritto di proprietà, sia pure imposta da esigenze cui non è estraneo il pubblico interesse (alla conveniente utilizzazione del fondo intercluso, per fini di economia generale), va applicato, in modo ancora più accentuato di quanto avviene per le servitù volontarie, il principio del “minimo mezzo”, nel senso che l’esercizio della servitù deve attuarsi, da un lato, in modo che ne risulti garantita la libera esplicazione per l’utilità e la comodità del fondo dominante, e, dall’altro, in modo che la condizione del fondo servente sia aggravata nel minor grado possibile.

7.2. Tale valutazione, che integra un tipico accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità se non per motivazione mancante o apparente o contraddittoria ovvero per omesso esame di fatti decisivi se dedotti innanzi al giudice di merito (ma non, se comunque esaminati, delle relative prove: Cass. SU n. 8053 del 2014), dev’essere svolta dal giudice del merito anche nel caso in cui una o alcune delle soluzioni ipotizzabili concernano fondi (intercludenti) i cui proprietari non siano parti in causa, pur in tal caso provvedendo, mediante un esame comparativo delle diverse situazioni e delle rispettive esigenze, ad individuare il tracciato che meglio concili il requisito del percorso più breve con quello del minor danno.

7.3. La sentenza impugnata, lì dove ha ritenuto (con motivazione nient’affatto apparente o contraddittoria) che, in ragione “delle esigenze del fondo dominante e degli aggravi per il fondo servente”, sussistesse, per l’accesso da parte dell’attrice alla pubblica via, un percorso diverso meno oneroso per il preteso fondo servente (costituito da “una strada sterrata già esistente che lo stesso ctu afferma avere un’ampiezza… assolutamente sufficiente al transito delle vetture, e che porta sul cortile nord della p. ed. 111/1 sul quale è presente sia il manufatto in legno con tettoia (p.ed. 586) delle T. che costituisce ricovero per autovetture… sia l’ingresso principale della p.ed. 111/1 a cui si arriva attraverso una rampa pedonale”) rispetto a quello prospettato dalla stessa, si e’, pertanto, attenuta agli esposti principi e resiste, quindi, alle censure svolte sul punto dai ricorrenti. Nell’applicazione degli artt. 1051 e 1052 c.c., del resto, il giudice di merito deve avere riguardo, come già chiarito in sede di legittimità, non tanto alla maggiore o minore lunghezza del percorso bensì alla sua onerosità in rapporto alla situazione materiale e giuridica dei fondi, con la conseguenza che può risultare meno oneroso un percorso più lungo quando esso sia già in gran parte transitabile e richieda solo l’allargamento in brevi tratti per consentire il passaggio (Cass. n. 25352 del 2016).

7.4. Ne’, del resto, ha aggiunto la corte, può rilevare in senso contrario il fatto che tale percorso alternativo si fermi, relativamente al passaggio con autovetture, ad un livello più basso dell’ingresso principale della p.ed. 111/1. La corte d’appello, così ragionando, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, al fine di verificare l’esistenza dell’interclusione, la valutazione del fondo dominante dev’essere svolta unitariamente a condizione che, dal punto di vista morfologico, lo stesso abbia una conformazione tale da ritenere che ciascuna parte del fondo (qualunque sia la relativa destinazione economica) sia facilmente accessibile l’una dall’altra: quando, al contrario, il dislivello fra la parte superiore del fondo, che ha accesso sulla via pubblica, e la parte sottostante del fondo rende tale parte oggettivamente non facilmente accessibile all’altra, la considerazione unitaria del fondo non può che venir meno perché l’ostacolo naturale, in realtà, separa quella parte del fondo dall’altra, cioè lo divide idealmente in due parti distinte. In siffatta ipotesi, pertanto, al fine di consentire o meno la costituzione di una servitù coattiva di passaggio carrabile sul fondo altrui, l’esame deve necessariamente spostarsi sulla verifica della possibilità di collegare la parte separata del fondo all’altra (nella specie a quella servita dalla strada comunale), accertando, in particolare, se tale collegamento può conseguirsi senza eccessivo dispendio o disagio: ma solo ove tale verifica ed accertamento abbiano avuto – a differenza del caso di specie – esito negativo, la costituzione della servitù coattiva di passaggio può ritenersi consentita (Cass. n. 18372 del 2004; conf. di recente, Cass. n. 55 del 2018, la quale ha ritenuto che lì dove, in presenza di porzioni a dislivello del medesimo fondo, sia possibile realizzare, senza lavori particolarmente onerosi, un collegamento, rappresentato, nel caso di specie, da una scalinata in muratura, tra la parte a valle che ha accesso alla via pubblica e quella residua a monte, tale interclusione va esclusa, risolvendosi, altrimenti, la costituzione del passaggio coattivo, nella imposizione di un peso in danno del fondo altrui per prevalenti ragioni di comodità, non frapponendosi ostacoli al passaggio da una parte all’altra del fondo dominante). La corte d’appello, infatti, dopo aver evidenziato che il percorso alternativo rispetto a quello prospettato dall’attrice, se svolto con le vetture, si ferma ad un livello più basso dell’ingresso principale della p.ed. 111/1, ha, nondimeno, rilevato (con apprezzamento in fatto non censurato per omesso esame di fatti decisivi risultanti dagli atti del giudizio o dalla sentenza) come lo stesso sia comunque raggiungibile percorrendo una ampia rampa pedonale lunga circa 10 metri, e ciò, dunque, non impedisce agli automezzi di raggiungere l’ingresso principale, comprese le ambulanze per l’eventuale trasporto di un infermo.

8. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

10. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472