Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29981 del 25/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29721/2017 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 173, presso lo studio dell’avvocato Traversa Elisa, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.M., M.A., elettivamente domiciliate in Roma, Via S.M. Pistoiese n. 73-75, presso lo studio dell’avvocato Boni Nadia, che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

Banca di Credito Cooperativo di Roma;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6265/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2021 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

RILEVATO

che:

il tribunale di Roma, adito da P.F. con varie domande contro la ex moglie M.A. e nei confronti anche della di lei madre T.M. e della Banca di credito cooperativo di Roma, dichiarava, per quanto ancora in questa sede rileva, che l’immobile posto in *****, apparteneva alla comunione legale tra gli ex coniugi; condannava inoltre T.M. a restituire all’attore la somma di 8.843,25 Euro da lui indebitamente pagata;

in sede di gravame la corte d’appello di Roma ha riformato la decisione sotto entrambi i profili, giacché: (a) quanto alla condanna, P. non aveva fornito la prova dell’asserito indebito, ovvero del titolo del pagamento a suo dire rapportato all’essere stata la T. mera depositaria di somme riconducibili alla liquidazione di un’attività di ristorazione (a fronte invece di quanto ex adverso dedotto circa la riferibilità dell’esborso all’onere di mantenimento della moglie e delle figlie del medesimo P., trasferitosi in *****); (b) quanto all’immobile, codesto era da ritenere nella titolarità esclusiva della moglie, stante la donazione indiretta fatta dalla T. (che aveva dimostrato l’integrale pagamento del prezzo) alla figlia e stante la mancata specificazione richiesta dall’art. 179 c.c., comma 1, lett. b), onde attribuire il bene alla comunione;

P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, deducendo due motivi illustrati da memoria;

la T. e la M. hanno resistito con unico controricorso e memoria;

la Banca non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

I. – il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile;

con esso si assume che la circostanza che la somma di 8.843,43 Euro fosse stata rimessa a titolo di mantenimento era stata sempre contestata, sicché l’esborso non si sarebbe potuto giustificare nel senso anzidetto;

il motivo è inammissibile perché del tutto eccentrico rispetto alla ratio della sentenza, che ha disatteso la domanda di ripetizione in base al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’attore;

lo è pure perché, rispetto all’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nessun fatto storico decisivo risulta specificato ai fini della censura di omesso esame (v. Cass. Sez. U n. 8053-14);

II. – anche il secondo motivo di ricorso, che denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 179 e 769 c.c. a proposito della sorte dell’immobile, è inammissibile;

la corte d’appello ha affermato che l’immobile era pervenuto alla M. per donazione indiretta fattale dalla madre;

di tanto ha specificato le fonti di prova, corredando l’affermazione di un ragionato percorso argomentativo;

il ricorrente assume violate le norme succitate perché (i) nell’atto pubblico di vendita la T., intervenuta come procuratrice speciale della figlia, non avrebbe fornito indicazioni sulla provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto, (ii) la circostanza dell’appartenenza del denaro non si sarebbe potuta considerare sufficiente per escludere il bene dalla comunione, (iii) la documentazione depositata dalle appellanti era stata previamente ritenuta inammissibile e nessuna prova era stato possibile rinvenire circa gli effettivi esborsi;

la doglianza nel suo complesso, sotto spoglie di censura in iure, tende a sovvertire l’esito della valutazione probatoria, ed è in ogni caso è in contrasto col consolidato insegnamento di questa Corte (art. 360-bis c.p.c.);

a questo proposito va ribadito che la donazione indiretta si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario;

ne segue che l’intenzione di donare deve in questi casi emergere (per l’appunto) solo in via indiretta, dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio (di recente Cass. n. 937920);

il relativo apprezzamento è rimesso istituzionalmente al giudice del merito e resta insindacabile in cassazione ove motivato;

non senza dire che in generale la dazione di una somma di denaro configura pacificamente una donazione indiretta d’immobile ove sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto del bene (ex aliis Cass. n. 18541-14, Cass. n. 3642-04).

III. – nel caso concreto la configurazione è sostenuta dalla corte d’appello di Roma con motivazione coerente e non specificamente sindacata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

la motivazione giustifica la conclusione offerta dalla sentenza, giacché la donazione indiretta rientra nell’esclusione di cui all’art. 179 c.c., dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall’art. 179, comma 1, lett. f), né la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell’altro coniuge acquirente (art. 179 c.c., comma 2), trattandosi di disposizioni non richiamate (Cass. n. 14197-13, Cass. n. 20336-21);

IV. – le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 5.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2021

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