Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.30140 del 26/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2659/2020 proposto da:

A.T., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRESSO LA PREFETTURA

– UFFICIO TERRRITORIALE DEL GOVERNO DI CROTONE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1746/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/09/2019 R.G.N. 247/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

RILEVATO

Che:

1. A.T. – cittadino del Bangladesh di etnia EBE espatriato a seguito di discriminazioni etniche e ripetute aggressioni da parte di sostenitori del partito ***** – chiese al Tribunale di Catanzaro il riconoscimento del suo diritto alla protezione internazionale o, in subordine a quella umanitaria già negategli in sede amministrativa.

2. Il Tribunale rigettò le domande e A.T. propose gravame e la Corte di appello di Catanzaro lo rigettò ritenendo che il racconto del ricorrente non fosse sufficientemente circostanziato con riguardo all’esistenza di persecuzioni dell’etnia di appartenenza. Escluse il diritto alla protezione sussidiaria evidenziando che neppure il ricorrente aveva allegato l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel paese. Quanto alla protezione umanitaria il giudice di appello l’ha esclusa ritenendo che non vi fosse evidenza di una significativa compromissione dei diritti umani ed osservando che la mera aspirazione a condizioni di vita migliori non è sufficiente per poter riconoscere il diritto a conseguire il permesso di soggiorno.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.T. affidato a cinque motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente una memoria al solo fine di poter partecipare all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente pur avendo trascurato di procedere alla sua audizione personale.

5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e lamenta la mancata motivazione da parte della Corte di merito di una serie di documenti, ritualmente prodotti, dai quale era possibile evincere il livello di integrazione raggiunto dal ricorrente in Italia.

6. Con il terzo motivo deduce poi che la Corte nel negare al ricorrente lo status di rifugiato sarebbe incorsa nella violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7,8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, poiché non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione le denunciate discriminazioni etniche in danno della popolazione Ebe di appartenenza né avrebbe, come dovuto, proceduto ai dovuti approfondimenti in adesione all’obbligo di cooperazione istruttoria imposto dalla legge.

7. Il quarto motivo di ricorso investe poi il diniego della protezione sussidiaria e denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6 e 14, oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, con riguardo alla mancata verifica dello specifico pericolo di persecuzione denunciato dal ricorrente da parte dell'***** che aveva fatto oggetto di minacce sia lui che la sua famiglia.

8. Infine con il quinto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e s.m.i. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, con riguardo alla mancata comparazione, per la protezione umanitaria, della situazione di integrazione raggiunta e della situazione personale del richiedente per il caso di rientro in patria.

9. Le censure, da esaminare congiuntamente, investono sotto vari profili la medesima carenza della sentenza. Il giudice di appello ha infatti trascurato di approfondire come invece avrebbe dovuto le specifiche questioni sottoposte alla sua attenzione utilizzando i vari strumenti a sua disposizione.

9.1. La questione centrale sottesa alla domanda di protezione avanzata era infatti da un canto l’esistenza di discriminazioni perpetrate in danno del ricorrente a cagione della sua etnia (Ebe, c.d. zingari di fiume) e dall’altro l’esistenza di gruppi politici violenti da parte dei quali il ricorrente deduceva di essere stato minacciato.

9.2. Per entrambi gli aspetti la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare la verosimiglianza delle allegazioni alla luce di acquisizioni e approfondimenti probatori anche officiosi. Ed infatti, in tema di protezione internazionale, la circostanza che il cittadino straniero, appartenente ad una minoranza etnica o politica e si sia allontanato dal suo paese a cagione del timore di essere perciò perseguitato o arrestato è rilevante ai fini del riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria e costituisce un elemento da valutare ai fini dell’accertamento dell’esistenza, nel paese di provenienza, di discriminazioni e di persecuzioni sulla base dell’etnia e dell’appartenenza politica. Nel contesto di tali deduzioni, che nella specie risultano puntuali e circostanziate, il giudice del merito è tenuto, in adempimento del proprio dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, a valutare specificamente le fonti indicate a riprova della situazione denunciata ed a condurre anche ulteriori approfondimenti dando conto della sussistenza o meno della specifica situazione di rischio denunciata.

A tali oneri si è sottratta la Corte di merito che ha condotto un’indagine del tutto generica del paese di provenienza senza preoccuparsi di approfondire alcuna delle specifiche situazioni denunciate. Nei procedimenti in materia di protezione internazionale, infatti, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedere agli enti a ciò preposti (cfr. Cass. 12/05/2020 n. 8819).

Anche gli ulteriori approfondimenti da realizzare attraverso l’audizione della parte risultano condizionati dal previo accertamento della situazione generale di rischio denunciata che condiziona altresì l’eventuale riconoscimento della protezione umanitaria.

10. Ne consegue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza ed il rinvio del procedimento alla stessa Corte territoriale, seppur in diversa composizione, alla quale sarà demandato anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2021

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