Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.30297 del 27/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

***** COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore, rappr. e dif. dall’avv. Fanesi Pietro *****, elett. dom. presso lo studio professionale, in Bologna, via Morandi n. 4, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

***** COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore fallimentare p.t., P.F., R.D.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Bologna 6.11.2018, n. 2781/2018, in R.G. 2845/2018.

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2021 dal Presidente relatore Dott. Ferro Massimo.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. ***** COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore, impugna la sentenza App. Bologna 6.11.2018, n. 2781/2018, in R.G. 2845/2018 che, pur avendone accolto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, già resa da Trib. Bologna 11.7.2018, ha disposto la compensazione delle spese del procedimento;

2. per quanto in questa sede di residua rilevanza, la corte decidendo, tra i motivi, sul dedotto difetto del superamento della soglia di fallibilità di cui alla L. Fall., art. 15, comma 9 – ha dato atto che: a) già secondo il tribunale i debiti scaduti e non pagati ammontavano a poco più di 15 mila Euro, mentre il curatore stesso, sentito in udienza, aveva riferito di un passivo ammesso per circa 25 mila Euro; b) la contestazione del requisito, sollevata della reclamante, non aveva trovato alcuno sviluppo nelle difese della procedura o dei creditori istanti, la prima non costituitasi in giudizio di reclamo; c) in ogni caso, non risultavano “dagli atti dell’istruttoria prefallimentare” altri debiti, oltre a quelli menzionati, riferibili ai creditori istanti e però sotto la soglia dei 30.000 Euro; d) era disposta la compensazione delle spese di lite, “alla luce della natura della controversia e dell’interesse pubblico ad essa sotteso”; e) stante comunque la situazione d’insolvenza, anche per via della totale mancanza di attivo, era altresì ordinata la trasmissione degli atti alla locale Procura della Repubblica “per quanto di competenza ai sensi della L. Fall., art. 7, n. 2 “;

3. il ricorrente deduce due motivi: a) la violazione dell’art. 92 c.p.c., avendo errato la corte nel compensare le spese, peraltro con motivazione generica; b) la violazione della L. Fall., art. 7, laddove il tribunale, riferendo al P.M. la notizia dell’insolvenza propria della stessa parte del procedimento, non ha tenuto conto che simile propalazione avrebbe condotto, nel caso, a sentenza nulla, per difetto di terzietà del giudice remittente stesso e perché l’istruttoria era già stata esaurita dal tribunale, mentre quella della corte appariva sommaria e incompleta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. I1 primo motivo è fondato; premette questa Corte che, nonostante l’avvenuta cancellazione della società ricorrente dal registro delle imprese – dal tenore della sentenza, già prima della dichiarazione di fallimento – persiste la legittimazione processuale del suo liquidatore, in forza del principio, più volte reso, per cui il procedimento relativo alla dichiarazione di fallimento “deve svolgersi in contraddittorio con il liquidatore… anche dopo la cancellazione,… legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza di fallimento, tenuto conto che, in generale, tale mezzo di impugnazione è esperibile, L. Fall. ex art. 18, da parte di chiunque vi abbia interesse” (Cass. 23393/2016, 18138/2013, 17208/2013);

2. come, infatti, la legittimazione doveva riconoscersi nell’instaurazione del giudizio di reclamo, così essa permane anche nelle successive fasi impugnatorie, quale l’attuale procedimento; né se ne ravvisa un limite in ragione della richiesta di cassazione di un solo capo della sentenza di revoca di fallimento, tale cioè da innescare l’ordinario principio che, invece, nega “per carenza di capacità processuale ex art. 75 c.p.c., comma 3 – il ricorso per cassazione proposto dal liquidatore di una società che sia stata cancellata dal registro delle imprese in epoca posteriore alla data suddetta, difettando la stessa di legittimazione sostanziale e processuale, trasferitasi automaticamente ai soci ex art. 110 c.p.c., sia stato dichiarato o no l’evento interruttivo, nel processo in corso, dal difensore della società” (Cass. 8596/2013, 10105/2014); infatti, anche lo scrutinio del relativo fondamento comunque inerisce, inscindibilmente, al medesimo giudizio di reclamo e dunque, a valle, al suo controllo successivo e completo di legittimità, oltre che alla riproposizione di attualità dell’interesse del soggetto già reclamante in forma piena la sentenza del tribunale;

3. nel giudizio di reclamo, decidendo la questione in apparenza più liquida, la corte ha riscontrato l’assenza, sin dall’istruttoria avanti al tribunale e per come in quella sede emerso, del superamento del limite d’indebitamento qualificato dei 30.000 Euro; nel revocare così la sentenza, sulla resistenza dei creditori istanti, ha peraltro – con formula effettivamente apodittica – compensato fra le parti (tutte) le spese senza indicare né quale fosse la eventuale novità della questione trattata o l’ipotetico mutamento d’indirizzo giurisprudenziale (ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2), né la sussistenza di analoghe gravi ed eccezionali ragioni (ex Corte Cost. n. 77 del 2018), così violando il dovere di descrizione di una ratio decidendi che s’impernia sulla prescritta enunciazione (o, almeno, chiara desumibilità) delle ragioni di deroga al criterio regolatorio della soccombenza; va invero ripetuto che, “in applicazione del principio di causalità, sono imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate o per aver avanzato istanze infondate” (Cass. 20838/2016, 516/2020);

4. né la corte, sulla seconda ragione di reclamo, ha preso posizione e dunque nemmeno può dirsi, in via implicita, disatteso un capo di impugnazione, apparendo esso – in punto di regolarità della notifica avanti al primo giudice – essere stato solo assorbito (Cass. 26043/2020);

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile, dovendosi dare corso al principio per cui “la L. Fall., art. 7, n. 2, attribuisce al P.M. la legittimazione ad avanzare l’istanza di fallimento, sulla base di una segnalazione dell’insolvenza proveniente dal giudice che l’abbia rilevata, in qualsiasi fase di un procedimento civile, non richiedendosi al segnalante neppure di effettuare una delibazione sommaria dello stato d’insolvenza, la cui valutazione è rimessa al P.M.” (Cass. 19927/2017, 23391/2017, 18277/2015); parimenti “il P.M. è legittimato a chiedere il fallimento dell’imprenditore anche se la “notitia decoctionis” sia stata da lui appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi dall’imprenditore medesimo” (Cass. 10679/2014); né, va ribadito, sussiste “alcuna violazione del principio di terzietà del giudice, di cui all’art. 111 Cost., per il solo fatto che il tribunale sia chiamato una seconda volta a decidere sul fallimento dell’imprenditore a seguito di richiesta del P.M. conseguente alla segnalazione da parte dello stesso giudice” (Cass. s.u. 9409/2013);

il ricorso va, pertanto, accolto quanto al primo motivo e dichiarato inammissibile quanto al secondo, con cassazione della sentenza impugnata e, non apparendo necessari altri accertamenti, potendo questa Corte decidere nel merito, così provvedendo alla liquidazione delle spese del procedimento, come meglio in dispositivo e pertanto tenendo conto che l’attuale ricorrente era parte interamente vincitrice in sede di reclamo e nell’attuale sede, per quanto detto, sulla prima censura, valutando altresì le costituzioni delle parti nell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa e, decidendo nel merito, a) liquida in favore del ricorrente e a carico di P.F. e R.D. le spese del giudizio davanti al tribunale in Euro 1.500, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15%, nonché agli accessori di legge; b) liquida a carico degli stessi P.F. e R.D. le spese del giudizio davanti alla corte d’appello in Euro 1.800, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15%, nonché agli accessori di legge, in favore dell’attuale ricorrente; c) liquida a carico di P.F. e R.D. e del Fallimento le spese del presente procedimento, in Euro 2.000 oltre ad Euro 100 per esborsi, nonché al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge, in favore dell’attuale ricorrente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2021

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