LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 38188/2019 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.
MAZZINI n. 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI n. 66, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente avverso il provvedimento n. 3609/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/10/2019 R.G.N. 2164/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
Che:
1. la Corte d’appello di Roma con sentenza n. 3609/2019 ha respinto il reclamo proposto da P.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma resa in sede di opposizione all’ordinanza di reiezione del ricorso del lavoratore inteso all’accertamento della illegittimità del licenziamento intimato da Almaviva Contact s.p.a. all’esito di procedura di licenziamento collettivo;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.G. sulla base di quattro motivi, la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; è stata depositata memoria.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9 e art. 5, per avere la sentenza impugnata ritenuto che i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare potessero essere comunicati nella dichiarazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo e per avere ritenuto legittimo che nella dichiarazione di apertura potessero essere già individuate le persone da licenziare, atteso che le modalità di attuazione dei criteri di scelta sono diverse dall’individuazione dei criteri stessi;
2. con il secondo motivo deduce motivazione incompleta e contraddittoria sulla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, per non avere la sentenza impugnata considerato la insufficienza della dichiarazione di apertura della procedura in relazione ai trasferimenti e agli ammortizzatori sociali; deduce inoltre, e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; la Corte di merito aveva errato nel ritenere che nella comunicazione di apertura le informazioni potessero essere date anche in modo implicito; assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, nella comunicazione non emergeva in modo chiaro ed inequivoco il numero dei trasferimenti disposti per evitare in parte il licenziamento;
3. con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, assumendo che le lavoratrici madri non erano state licenziate nei 120 giorni; premesso che il ricorrente era un team leader ed a ***** erano rimasti in servizio sei team leader denunzia la mancata comparazione con gli altri team leader per la corretta individuazione del lavoratore da licenziare; denunzia falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. e L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 e art. 5;
4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, ribadendo la illogicità contraddittorietà ed arbitrarietà dei criteri di scelta e che la scelta di limitare la platea dei licenziandi era stata determinata dal fatto che presso le sedi coinvolte operavano i lavoratori con maggiore anzianità;
5. preliminarmente rileva il Collegio che questa Corte si è già espressa sulla legittimità della procedura collettiva ex lege n. 223 del 1991, attivata da Almaviva Contact s.p.a. con comunicazione in data 5 ottobre 2016 (ex plurimis Cass. n. 12044/2021, 14677/2021; Cass. 15124/20121, 15123/2021, 14673/2021, 12040/2021, 12041/2021, 12042/2021); in tali pronunzie, fra le quali, anche ai fini dell’art. 118 disp. att. c.p.c., si richiamano Cass. n. 15123/2021 e Cass. n. 12040/2021, le medesime questioni oggetto del presente ricorso per cassazione sono state scrutinate e respinte sulla base di argomentazioni integralmente condivise dal Collegio con orientamento al quale si ritiene di dare continuità;
5.1. nei precedenti richiamati i giudici di legittimità, con affermazioni interamente condivise da questo Collegio, hanno premesso che per principio consolidato la cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, espressione dell’esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 29936/2008) e che la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, applicabili per effetto dell’art. 24 della stessa Legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. n. 22366/2019, n. 5700/2004) con un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, controllo devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda; sicché, i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 6 ottobre 30550);
5.2. in applicazione di tali principi sono state respinte le censure che investivano sotto vari profili la legittimità della complessiva operazione posta in essere da Almaviva Contact. s.p.a.; questa, dopo una prima procedura, avviata con la comunicazione del 21 marzo 2016, riguardante 2.988 lavoratori in esubero dislocati presso le sedi di ***** e revocata per accordo con le organizzazioni sindacali il 31 maggio 2016, ha aperto la procedura in esame, a seguito di un peggioramento della crisi nei siti di *****; nella comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, ha illustrato le ragioni che rendevano necessario il licenziamento di 1.666 lavoratori delle Divisioni 1 e 2 di ***** e di tutti gli 845 dell’unità produttiva di *****, con applicazione dei criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi: così limitandone la platea alle due divisioni romane e all’unità produttiva partenopea e applicando i criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti;
6. tanto premesso, in relazione ai singoli profili di censura proposti con i motivi del presente ricorso per cassazione – trattati unitariamente per evidente reciproca connessione – si osserva che:
6.1. le doglianze intese a contestare la valutazione di completezza della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, sono infondate. La Corte di appello ha accertato la esaustività e completezza della comunicazione di apertura della procedura di mobilità ritenendo che la stessa soddisfacesse gli obblighi informativi di legge anche, in particolare, con riferimento alla questione dei trasferimenti ed alla vacanza di posti disponibili presso altre sedi della società (sentenza, pag. 12 e sg.), sulla scorta di argomentazione congrua e articolata, a sostegno di un’interpretazione assolutamente plausibile, riservata esclusivamente al giudice di merito, assolutamente plausibile (Cass. n. 19044/2010, n. 4178/2007), neppure censurata con indicazione dei canoni interpretativi violati, né tanto meno di specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. n. 15350/2017, n. 13717/2006), così contestando il risultato interpretativo in sé (Cass. n. 10891/2016, n. 2465/2015), pertanto insindacabile in sede di legittimità;
6.2. non appare poi corretto il riferimento, pure adombrato dai ricorrenti, ad una sorta di identificazione “fotografica” dei dipendenti prescelti, per il tramite della comunicazione di apertura, posto che tale situazione è ravvisabile nell’ipotesi, qui non ricorrente, di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, in violazione delle dettagliate prescrizioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (Cass. n. 24116/2004, n. 10716/1997);
6.3. i superiori rilievi escludono che la Corte territoriale sia incorsa nella denunziata violazione dell’obbligo di motivazione posto che le ragioni che sorreggono la valutazione di completezza informativa della comunicazione di apertura della procedura di mobilità sono del tutto percepibili nei loro presupposti fattuali e giuridici (sentenza, pag. 12 e sgg.); il giudice del reclamo, infatti, ha rapportato espressamente i contenuti di tale comunicazione alle finalità informative cui per legge essa è preordinata dando contezza, con argomentazioni congrue e logiche, sottratte pertanto al controllo di legittimità, delle conclusioni attinte, espressione di attività valutativa a lui riservata;
6.4. inammissibile è la censura che denunzia la mancata comparazione dell’odierno ricorrente, avente funzione di team leader, con gli altri (sei) team leader pacificamente rimasti in forze presso la sede di *****; la Corte di merito, richiamato l’accertamento di prime cure in ordine alla non fungibilità della professionalità del P. ricostruita sulla base delle relative esperienze professionali, con quella degli altri addetti all’Area Ricerche di Mercato della Business Unit – struttura non coinvolta nella procedura di mobilità, ha osservato che il reclamante non aveva svolto alcuna critica a tale ricostruzione limitandosi ad evidenziare la irrilevanza a riguardo della prova testimoniale esperita e che la doglianza era infondata avendo la teste J.A.i.F. riferito proprio in ordine alle pregresse esperienze lavorative P.; ha inoltre soggiunto che l’attività di assistente di sala del P., come dallo stesso dedotto risaliva al periodo 20062008, e quindi a molti anni prima rispetto al licenziamento di talché essa risultava irrilevante;
6.5. le ragioni che sorreggono la decisione sul punto non sono incrinate dalle generiche deduzioni dell’odierno ricorrente le quali, oltre a non essere sorrette dalla esposizione della vicenda processuale e, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dalla trascrizione degli atti di riferimento destinati in tesi a dimostrare le “precise deduzioni di fatto in ordine alla perfetta fungibilità di team leader e assistente di sala…” svolte dal P., si limitano, in una logica meramente contrappositiva, a prospettare una diversa lettura degli atti di causa in ordine alla fungibilità dell’odierno ricorrente con le altre figure professionali rimaste in forze alla struttura Biusiness Unit, lettura intrinsecamente inidonea a dare contezza P. dell’errore in tesi ascritto alla Corte di merito;
6.6. le ulteriori deduzioni fondate su circostanze di fatto quali ad es. i punteggi assegnati in graduatoria, il mantenimento in servizio delle lavoratrici madri ecc. (v. ricorso pag. 19) sono inammissibili in quanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non sorrette dalla adeguata esposizione della vicenda processuale necessaria a consentire la verifica della fondatezza delle censure articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione (Cass. 4743/2001, Sez. Un. 2602/2003, n. 12761/2004); parte ricorrente non ha dimostrato la avvenuta rituale deduzione fin dal primo grado delle circostanze fattuali richiamate né chiarito la cornice giuridica nelle quale le stesse erano state inquadrate, adempimento indispensabile al fine di comprendere la reale portata delle doglianze e soprattutto di verificarne la decisività;
6.7. quanto alla limitazione della platea degli esuberi a singole unità produttive (per quel che qui interessa: le due divisioni romane), anziché in riferimento all’intero complesso aziendale, occorre premettere che la Corte di appello ha ritenuto legittima tale delimitazione in considerazione dell’ambito del progetto di ristrutturazione aziendale e delle ragioni tecnico-produttive esposte nella comunicazioni iniziale, ed evidenziato che la L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, prima di imporre l’osservanza dei criteri di scelta, richiama le esigenze tecnico – produttive ed organizzative quale criterio per valutare il nesso di causalità tra la decisione dell’imprenditore di ridurre il personale e quella di licenziare i lavoratori entro un determinato ambito aziendale; in tale verifica giocava un ruolo anche la distanza geografica tra le unità produttive soppresse o ridimensionate e le altre unità, ritenuta espressione di un indice di infungibilità delle posizioni lavorative, tale da legittimare e rendere ragionevole la delimitazione della platea dei licenziandi alle sole unità nei quali si era verificata la situazione di crisi denunziata nella comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3; la comunicazione di apertura della procedura aveva, infatti, analiticamente indicato le ragioni che non consentivano di estendere l’ambito della comparazione al personale con mansioni omogenee impiegato presso unità produttive non toccate dal progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale – limitato alle unità produttive di *****; tali ragioni rendevano senz’altro giustificata la scelta operata tenuto conto che il potenziale coinvolgimento di tutti i dipendenti con mansioni omogenee avrebbe richiesto ulteriori esborsi collegati agli oneri economici necessari per la formazione, indispensabile e rallentato i tempi di produttività;
6.8. tale valutazione, frutto di attività riservata al giudice di merito, si sottrae a tutte le censure articolate dall’odierno ricorrente in quanto conforme i parametri normativi di riferimento elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi o con accordi sindacali, ovvero, in mancanza, dei criteri, tra loro concorrenti, dei carichi di famiglia, di anzianità e (nuovamente) delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative (L. n. 223 del 1991, art. 5) e la delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta (Cass. 32387/2019, n. 22178/2018, n. 4678/2015); in particolare è stata ritenuta la legittima limitazione della platea dei lavoratori interessati in caso di progetto di ristrutturazione aziendale riferito in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (Cass. 32387/2019, cit., n. 19105/2017, n. 203/2015, n. 17177/2013);
6.9. nel caso di specie, la Corte capitolina, con argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato che la delimitazione alle unità produttive di ***** della platea dei lavoratori da licenziare era coerente con le ragioni esposte nella comunicazione di apertura ed in particolare con le esigenze tecnico produttive che ne costituivano il sostrato della ed era frutto di una scelta improntata a criteri di ragionevolezza e congruità fondata su fattori obiettivi riconducibili in sintesi agli insostenibili costi e tempi richiesti dal coinvolgimento nella procedura collettiva di tutto il personale di Almaviva Contact.;
6.10. in tale contesto risulta priva di pregio la censura incentrata sull’assunto che la scelta della società di delimitazione della platea dei licenziandi era stata determinata dai maggiori costi del personale della sede di *****, posto che la Corte di merito, con accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti del vizio motivazionale, neppure formalmente prospettato dall’odierno ricorrente ha osservato ed ampiamente argomentato che il reclamante non avevano offerto prova della circostanza, negata dalla società reclamata, relativa a tali maggiori costi (sentenza, pag. 12);
7. in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con regolamento delle spese di lite secondo soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021
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