Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31402 del 03/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27222/2020 proposto da:

D.I., elettivamente domiciliato in Roma via Mario Menghini 21 presso lo studio dell’avvocato Porfilio Pasquale che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Costagliola Chiara come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositato il 21/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/07/2021 da FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di L’Aquila del 21 settembre 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente D.I., proveniente dal Senegal, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Il giudice di prime cure avrebbe omesso di valutare le motivazioni in base alle quali il ricorrente poteva ritenersi persona vulnerabile.

Col secondo motivo è lamentata la violazione di legge e il vizio di motivazione apparente in ordine alla valutazione di non credibilità espressa dal Tribunale, circa la vicenda personale narrata. E’ lamentato che il giudice di primo grado abbia escluso la credibilità del racconto dell’istante sulla base di una motivazione meramente formale, priva di alcuna attinenza alla vicenda narrata, oltre che “di coerenza logica fra la conclusione di non credibilità e le premesse in fatto poste a base della decisione”.

Il terzo mezzo oppone la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 “perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non grave la situazione interna del paese da cui proviene il ricorrente, escludendo la sussistenza del pericolo generalizzato idoneo a legittimare il riconoscimento della protezione sussidiaria, da valutare sulla base anche dell’attuale situazione COVID del paese di origine del ricorrente”. L’istante si duole del mancato apprezzamento delle condizioni di rischio generale, rilevanti per la concessione della tutela sussidiaria, rappresentate attualmente della diffusione del contagio COVID-19, con riferimento alle gravi condizioni del sistema sanitario senegalese e della situazione igienico-sanitaria del paese.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Si legge nel provvedimento impugnato che il ricorrente aveva dichiarato di essersi deciso a fuggire dal proprio paese in quanto minacciato dei cugini: egli avrebbe inizialmente convissuto con questi ultimi ma, non volendo sottostare alla loro volontà, si era in seguito allontanato; le minacce sarebbero state motivate dal risentimento dei detti parenti e, in particolare, dal fatto che il richiedente aveva lasciato la loro casa senza dire nulla. Il Tribunale ha ritenuto non credibile l’atteggiamento ostile che avrebbero manifestato i cugini del ricorrente, reputando di dubbia consistenza la ragione posta a fondamento di tale contegno (l’essere i medesimi “arrabbiati per il fatto che il giovane aveva loro disubbidito due anni prima, decidendo di andarsene”).

Come è noto, nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

Ciò posto, prima ancora di osservare che la motivazione circa la non credibilità del racconto non presenta alcuna di tali radicali carenze, va posto in rilievo che la doglianza formulata col secondo motivo di censura manca di alcuna aderenza al provvedimento impugnato: il ricorrente si mostra difatti incapace di dar conto delle specifiche lacune argomentative di cui sarebbe affetto il provvedimento impugnato. La ravvisata mancata aderenza della censura al decisum destina allora la stessa alla statuizione di inammissibilità (Cass. 7 settembre 2017, n. 20910, che nel pronunciarsi in tali termini, richiama il principio già enunciato da Cass. 7 novembre 2005, n. 21490, secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4).

Analoghe considerazioni sollecita il terzo motivo. Il Tribunale ha infatti escluso, attraverso la menzione di pertinenti fonti informative, aggiornate al 2020, potesse affermarsi che nella zona di provenienza del ricorrente sussistesse una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, tale da determinare un rischio effettivo di danno grave, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Per la verità, nel secondo motivo il ricorrente fa menzione della mancata considerazione, da parte del Tribunale, del rischio determinato dalla diffusione del contagio da COVID-19. E’ escluso, tuttavia, che detta evenienza rilevi, come lamentato dall’istante, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria; questa è infatti correlata a fattispecie non riconducibili al propagarsi di una infezione virale, per quanto grave: l’art. 14 menziona, infatti, ben diverse ipotesi (la condanna a morte, l’esecuzione della pena di morte, la sottoposizione a tortura o ad altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale).

Mette conto di aggiungere, del resto, che il decreto impugnato non fa menzione della questione sottoposta all’esame di questa S.C., e che il ricorrente non chiarisce se e quando abbia prospettato la medesima nel corso del giudizio di merito. Va qui rammentato che ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale ha rilevato: che il richiedente non aveva prospettato episodi di conculcamento delle libertà individuali e dei diritti fondamentali della persona; che D. non aveva allegato in giudizio fatti ulteriori diversi da quelli posti a fondamento delle domande aventi ad oggetto lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria; che le difficoltà di stampo economico non assumevano rilievo, dal momento che non è ipotizzabile l’obbligo dello Stato italiano di garantire parametri di benessere ai cittadini stranieri; che, gli attestati prodotti, riferiti alla frequentazione di un corso di lingua italiana e alla partecipazione a una squadra di calcetto, e la lettera di elogio del responsabile del centro di accoglienza, non erano documenti idonei a dar conto di un radicamento nel tessuto sociale e lavorativo italiano.

Ciò detto, il primo motivo di ricorso pecca di totale astrattezza e non si misura affatto con tale complessa motivazione. L’istante si limita infatti ad osservare che il Tribunale avrebbe omesso “di ampliare una propria valutazione sul caso di specie” e di dare “spiegazione sul perché (abbia ritenuto) non necessario approfondire tali circostanze e ciò a dispetto di quanto previsto dalla costante giurisprudenza”.

Si osserva, per completezza, che l’istante finisce col confondere l’onere di allegazione con l’obbligo, fatto al giudice, di cooperazione istruttoria. Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016): in conseguenza, solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere-dovere del giudice di cooperazione istruttoria (Cass. 14 agosto 2020, n. 17185; in senso analogo, Cass. 3 febbraio 2020, n. 2355, per cui non può addebitarsi al giudice la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte).

3. – Non deve farsi luogo a pronuncia sulle spese di giudizio.

PQM

La Corte:

dichiara il ricorso inammissibile; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1a Sezione Civile, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2021

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