Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.31559 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente di sez. –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6344-2020 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 2, presso lo studio dell’avvocato ANGELO CLARIZIA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2020 della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 13/01/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/10/2021 dal Consigliere GIACOMO MARIA STALLA.

RILEVATO

che:

p. 1. P.F. propone un articolato motivo di ricorso, ex artt. 362 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 8, per la cassazione della sentenza n. 5 del 13 gennaio 2020, non notificata, con la quale la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, in accoglimento del ricorso proposto ex art. 202, lett. g) CGC dal Procuratore Generale della Corte dei Conti, ha:

in fase rescindente, revocato la sentenza n. 9/2019 con la quale il medesimo giudice contabile di appello, in riforma della prima decisione (C. Conti Sez. Giurisdizionale Lazio n. 399/17), aveva assolto il P. da ogni addebito di danno erariale rinveniente dalla commissione, nella gestione di vertice di AMA spa, di illeciti accertati da sentenza penale di condanna in giudicato (Cass. pen. 30441/18 confermativa di C.App. Roma n. 1153/17);

in fase rescissoria, confermato la decisione riformata con la sentenza revocata e quindi condannato il P., a titolo di risarcimento del danno erariale, al pagamento a favore di Comune di Roma-AMA spa della somma di Euro 1.757.915,00 oltre accessori e spese.

La Corte dei Conti, con la sentenza qui impugnata, ha in particolare osservato che:

all’esito del giudicato penale erano residuate a carico del P. tre fattispecie dannose: a. di illegittimo affidamento da parte di AMA spa di un incarico a Consel (Consorzio Elis) per la formazione professionale superiore, finalizzato alla selezione dei candidati alla qualifica di autisti, operatori ecologici ed interratori in assenza, da parte del medesimo Consorzio, dell’autorizzazione e relativa iscrizione all’albo tenuto presso il Ministero del Lavoro, in violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 4 e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 27; b. di assunzione a tempo indeterminato presso AMA spa, disposta con Det. 7 settembre 2009, n. 244, di n. 23 autisti di mezzi pesanti in violazione dei principi stabiliti per il reclutamento del personale ex art. 35 nel D.Lgs. 165 2001; c. di illegittima assunzione di n. 41 dipendenti per chiamata diretta, avvenuta in prossimità del 20 ottobre 2008, in violazione della normativa di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 18 conv. in L. n. 133 del 2008;

con la sentenza revocata il giudice di appello, pur dopo aver dato atto della operatività nel caso di specie del principio di cui all’art. 651 c.p.p., con conseguente preclusività nel giudizio civile o amministrativo della sentenza penale irrevocabile di condanna, pronunciata in seguito a dibattimento, in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, aveva poi riformato la sentenza di condanna di primo grado rimettendo “incautamente in discussione fatti e comportamenti accertati come tali dal giudice penale” (sent.pag.6), con ciò rendendo una decisione in conflitto con il pregresso giudicato e violando lo stesso art. 651 citato, costituente eccezione espressamente disciplinata alla regola generale dell’autonomia tra giudizio penale e giudizi civili ed amministrativi;

il fatto che il P. avesse causato un consistente danno erariale nella sua qualità di amministratore delegato di AMA spa era stato accertato, all’esito di ben tre gradi di giudizio, con sentenza penale passata in giudicato, non potendosi più mettere in discussione la responsabilità del medesimo per le tre condotte su indicate;

il contrasto col giudicato penale emergeva anche sul punto qualificante della assoggettabilità delle società in house, come AMA spa, alle preclusioni normative sull’assunzione diretta di personale non dirigenziale, così come affermato dalla citata sentenza della Cassazione penale, determinativa del giudicato, sulla base dell’orientamento di legittimità formatosi, seppure ai fini della giurisdizione, in materia;

la sentenza revocata era perciò segnata da un evidente errore da parte del giudice di appello, il quale aveva operato “una originale, quanto bislacca ricostruzione normativa applicabile al caso di specie, non soltanto dubbia ma in totale contrasto con quanto affermato dalla Cassazione, in via definitiva e vincolante anche per gli accertamenti del giudice contabile, come invece correttamente fatto da quello di prime cure, della cui decisione ha operato la riforma onde mandare assolto il P.” (sent. pag. 12);

su questo presupposto il ricorso per revocazione proposto dal Procuratore Generale doveva dunque essere accolto per la riscontrata contrarietà, non valutativa ma ex actis, della sentenza di appello ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata ex art. 202 c.p.c., lett. g) cit. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5;

in via sostitutiva della sentenza revocata, doveva riaffermarsi la condanna del P. al risarcimento del danno come già disposta dal giudice di prime cure.

p. 2. Con l’unico articolato motivo di ricorso il P. lamenta difetto di giurisdizione per eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo dello straripamento di potere.

Ciò perché, accogliendo il ricorso per revocazione del Procuratore Generale (in realtà inammissibile), la sentenza impugnata era fuoriuscita dai limiti della giurisdizione sua propria, per attingere alla funzione legislativa nel momento in cui aveva dato corso “ad un mezzo di impugnazione atipico (una sorta di appello sull’appello) che finisce col risolversi nella celebrazione di un terzo grado di giudizio di merito, non previsto dall’ordinamento” (ric. pag. 8).

Nel fare ciò, la sentenza impugnata aveva omesso di considerare che la revocazione era consentita, ex art. 202 c.p.c., lett. g) CGC e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5), solo in presenza di contrasto con altra sentenza precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e sempre che la stessa non avesse pronunciato sulla relativa eccezione.

Nessuno di questi presupposti sussisteva nel caso concreto, atteso che: la vincolatività del giudicato penale ex art. 651 c.p.p. (norma della quale il giudice di appello si era fatto espressamente carico e la cui applicabilità era stata fatta oggetto di contraddittorio tra le parti) concerneva la realizzazione materiale, la riferibilità soggettiva e la qualificazione dei fatti contestati in sede penale, ma ciò non escludeva la necessità di autonoma valutazione da parte del giudice contabile in ordine alla loro rilevanza anche sul diverso piano della responsabilità erariale;

la sentenza inopinatamente revocata aveva appunto reso questa autonoma valutazione di merito, giungendo alla conclusione che i fatti, pur definitivamente accertati in sede penale, non erano idonei (quantomeno per difetto di nesso causale) a determinare alcun danno erariale, posto che (prima fattispecie in addebito) AMA spa si era proficuamente avvalsa dell’opera di selezione dei candidati da parte di Consel, e che (seconda e terza fattispecie) nessun pregiudizio era ad essa derivato neppure per le modalità di assunzione dei dipendenti non dirigenziali extra-concorso e per chiamata diretta, trattandosi del resto di modalità allora non precluse alle società partecipate in house, non normativamente riconducibili alla nozione di amministrazione pubblica (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1 comma 2; D.L. n. 112 del 2008, art. 18);

del giudicato asseritamente ostativo non sussistevano comunque gli elementi né soggettivi (dal momento che il processo penale si era svolto tra parti diverse, non avendo ad esso partecipato il procuratore contabile), né oggettivi (una cosa essendo la responsabilità penale ed altra quella amministrativa e contabile).

In definitiva, il giudice della revocazione si era inventato un mezzo di impugnazione abnorme perché non previsto dalla legge, così da sindacare, nella sentenza revocata, pretesi errori di giudizio del tutto ininfluenti ai fini della richiesta revocazione. Il che si traduceva appunto in uno sconfinamento dai limiti esterni della giurisdizione rilevante, ex art. 111 Cost., comma 8, quale radicale stravolgimento delle norme, ovvero quale applicazione di una norma nuova creata ad hoc dal giudice speciale, come più volte ritenuto da questa Corte di legittimità.

p. 3. Si è costituito con controricorso il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti il quale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile, ovvero respinto.

Ciò perché:

– alla luce di quanto più volte affermato da questa Corte di legittimità in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore (fattispecie dedotta in giudizio dal P.) doveva ritenersi configurabile solo allorquando il giudice speciale avesse applicato non la norma esistente ma una norma da lui creata;

al contrario, qualora egli si fosse limitato al compito meramente interpretativo di una norma esistente, l’eventuale vizio si risolveva in un error in procedendo o in judicando, anche se questa attività interpretativa avesse dato in ipotesi origine ad un provvedimento abnorme ed anomalo, con stravolgimento delle norme di riferimento;

nel caso di specie, la sentenza impugnata si era appunto limitata a fornire una propria interpretazione delle disposizioni legittimanti la revocazione e la vincolatività del giudicato penale, e questa interpretazione, quand’anche reputata errata, non poteva in nessun caso rilevare in termini di sconfinamento e di eccesso di potere giurisdizionale.

Il ricorrente ha depositato memoria.

p. 4.1 II ricorso è inammissibile.

Va premesso che, in caso di ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice amministrativo o della Corte dei Conti pronunciate su impugnazione per revocazione, un problema di giurisdizione può porsi solo con riguardo alla sussistenza in sé del potere di revocazione e non alle modalità del suo concreto esercizio, le quali possono al più integrare errori in procedendo o in judicando non significativi di sconfinamento di potere giurisdizionale, quanto soltanto di cattivo esercizio della giurisdizione siccome esercitata entro i suoi limiti interni.

Ciò perché “la revocazione è un mezzo di impugnazione straordinario che consente di superare il giudicato attribuendo al giudice, nella ricorrenza dei presupposti di legge, il potere giurisdizionale in concreto; pertanto, prospettarne l’esercizio al di fuori dei casi consentiti dall’ordinamento, altro non è che dolersi dell’esercizio in tesi errato di detto potere, come tale rientrante nei limiti propri della giurisdizione del giudice amministrativo” (Cass. SSUU n. 29082/19).

Si è poi osservato, (Cass. SSUU n. 28214/19, con ulteriori richiami) come una questione di giurisdizione possa in questi casi sorgere: “(…) solo con riferimento al potere giurisdizionale in ordine alla statuizione sulla revocazione medesima, restando esclusa la possibilità di rimettere in discussione detto potere sulla precedente decisione di merito (così Cass., Sez. U., 12 dicembre 2018, n. 32179, Cass., Sez. U., 11 luglio 2019, n. 18670, e Cass., Sez. U., 25 luglio 2019, n. 20180, in conformità con quanto statuito, a proposito delle sentenze del Consiglio di Stato in sede di revocazione, da Cass., Sez. U., 23 luglio 2014, n. 16754, e da Cass., Sez. U., 27 gennaio 2016, n. 1520)”.

Si tratta di indirizzo che coerentemente consegue – anche alla luce della sentenza n. 6/2018 della Corte Costituzionale – alla più generale delimitazione del sindacato della Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, nel senso che:

questo sindacato concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per invasione o sconfinamento nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per arretramento rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione;

la particolare fattispecie (qui dedotta) di eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore “e’ configurabile solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione” (tra le molte, Cass. SS.UU. nn. 30653/18; 7926/19; 8311/19; 29082/19; 413/20);

una simile violazione dei limiti esterni della giurisdizione deve muovere pertanto dalla creatività del giudice speciale nella produzione di una norma ad hoc, non già dalla maggiore o minore gravità dell’errore interpretativo occorso sulla norma esistente ed applicata (anche al limite dell’abnormità e stravolgimento di senso), il quale “rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale. (…)” (Cass. SSUU n. 27770/20; v. anche, più di recente, Cass. SSUU n. 19244/21).

p. 4.2 Orbene, nel caso di specie è evidente che, nella sostanza, si tratti proprio di censura sul concreto esercizio del potere giurisdizionale di revocazione, lamentandosi segnatamente in ricorso che la Corte dei Conti, nella sentenza qui impugnata, avrebbe errato:

nell’individuare in quello penale un giudicato ostativo integrante ipotesi di revocazione ex art. 202, lett. g) CGC di cui al D.Lgs. n. 174 del 2016 (“1. Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione quando:(…) g) la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata purché la stessa non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”), dal momento che quel giudicato sarebbe intercorso tra parti diverse ed avrebbe avuto ad oggetto una responsabilità diversa (penale e non amministrativa – erariale);

nel fare applicazione dell’art. 651 c.p.p. il quale, ferma restando la preclusione sulla sussistenza del fatto, sulla sua commissione da parte del prevenuto e sulla sua illiceità penale, non esplicherebbe invece alcuna efficacia preclusiva sulla rilevanza contabile ed erariale di quei fatti seppure definitivamente accertati;

nell’interpretare (“d’ufficio”) il giudicato penale: sia individuando in esso un effetto preclusivo anche per quanto concerneva l’obbligo normativo per le società in house di fare ricorso alle assunzioni non dirigenziali per concorso e non per chiamata diretta, sia per quanto riguardava la necessaria derivazione causale di un danno erariale dalla violazione di questo obbligo (derivazione esclusa nel merito dalla sentenza revocata);

nel ritenere che solo la sentenza del giudice contabile di primo grado fosse conforme al giudicato penale;

nel non considerare, quale limite alla revocazione, che la questione della preclusività del giudicato penale nel procedimento contabile, ex art. 651 c.p.p., era stata comunque fatta oggetto, in appello, di eccezione e specifico contraddittorio tra le parti.

E’ attraverso l’enucleazione di questi plurimi errori che, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, verrebbe appunto a riempirsi di contenuto il denunciato eccesso di potere giurisdizionale, mediante l’invenzione di una norma processuale nuova avente ad oggetto una diversa ed ulteriore ipotesi di revocazione della sentenza del giudice contabile o, addirittura, un mezzo di impugnazione nel merito (di doppia revisione in terzo grado tramite “appello su appello”) sconosciuto all’Ordinamento.

L’applicazione dei su riportati criteri delimitativi del sindacato di legittimità sulla giurisdizione non consente però di condividere questa conclusione, dal momento che la Corte dei Conti ha fatto qui applicazione delle due norme di riferimento (artt. 202, lett. g) CGC e 651 c.p.p.) ancora entro i margini della loro portata interpretativa (quanto a rilevanza revocatoria del giudicato penale di condanna) e senza fare ricorso ad altre ed innovative disposizioni, processuali o sostanziali, da essa create per regolare la fattispecie nel superamento dei confini delle prerogative riservate al legislatore.

In definitiva, il ricorso si prefigge di far valere come eccesso o sconfinamento di giurisdizione quelli che, a tutto concedere, costituirebbero vizi di violazione ovvero falsa applicazione di legge; da qui la sua inammissibilità.

Non si fa luogo a liquidazione delle spese, stante la veste di parte in senso solo formale rivestita dal Procuratore Generale controricorrente.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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