Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.31570 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente di sez. –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11239-2021 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sé

medesimo;

– ricorrente –

contro

COA BOLOGNA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 188/2020 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 15/10/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/10/2021 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per l’inammissibilità per tardività del ricorso; in subordine rigetto;

udito l’avvocato C.M..

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE p. 1.1 L’avv. C.M. del foro di Bologna propone – in proprio sette motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 188 del 21.9.17-15.10.20 con la quale il Consiglio Nazionale Forense – Sezione Giurisdizionale ha confermato, in integrale rigetto dell’impugnazione da lui proposta, la sentenza 11.9.2013 con cui il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna (previo stralcio di un procedimento ed assoluzione in altri due) l’aveva infine ritenuto responsabile degli illeciti disciplinari di cui ai procedimenti riuniti nn. 816, 894, 895 e 913 rg, infliggendogli la sanzione unitaria della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per mesi quattro.

Dalla sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione si evince che l’affermazione di responsabilità disciplinare ha riguardato le seguenti incolpazioni:

(proc. n. 816 rg) violazione dei doveri di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza di cui agli artt. 5 e 7 codice deontologico forense per avere, il *****, assunto dal signor B.L.R. l’incarico di assisterlo in una vertenza da instaurare nei confronti del di lui ex datore di lavoro, nonostante il già intervenuto provvedimento di sospensione dall’esercizio della professione forense irrogatagli dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, notificato il 18 maggio 2007, determinando nel cliente il poi rivelatosi infondato convincimento che egli avrebbe compiuto le ordinarie attività inerenti il mandato difensivo; il che non avvenne, rendendosi oltretutto l’avvocato reiteratamente irreperibile al cliente;

(proc. n. 894 rg) violazione dei doveri di probità, fedeltà e diligenza di cui agli artt. 5, 7, 8 e 38 codice deontologico forense poiché, quale difensore di fiducia delle imputate sigg.re F.N.E. e S.M.P. e S.M.P.A., non aveva partecipato all’udienza dibattimentale del 14 aprile 2010, senza peraltro addurre giustificazione o invocare un legittimo impedimento;

(proc. n. 895 rg.) violazione dei doveri di probità, fedeltà e diligenza di cui agli artt. 5, 7, 8 e 38 codice deontologico forense perché, quale difensore di fiducia dell’imputata sig.ra Ba.Lo. nel procedimento penale n. 30064/09 rg Trib., non aveva partecipato alle udienze dibattimentali del ***** e del *****, senza peraltro addurre alcuna giustificazione o invocare alcun legittimo impedimento;

(proc. n. 913 rg.) violazione dei doveri di dignità, diligenza e di aggiornamento professionale di cui agli artt. 5, 8 e 13 codice deontologico forense perché, nel triennio *****, secondo una verifica operata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, non aveva assolto l’obbligo di formazione continua professionale.

p. 1.2 Con il primo motivo di ricorso si deduce l’intervenuta prescrizione degli illeciti disciplinari – già dedotta avanti al Consiglio Nazionale Forense, ma sulla quale quest’ultimo nulla aveva pronunciato – dovendosi nella specie fare applicazione retroattiva (contrariamente alla non condivisa giurisprudenza disciplinare e di legittimità sul punto) dello jus superveniens più favorevole all’incolpato, costituito dalla L. n. 247 del 2012, art. 56, comma 3, (termine massimo di sette anni e mezzo dalla commissione dell’illecito), in luogo del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51 (cinque anni soggetti ad interruzione).

Con il secondo motivo di ricorso (relativo al proc. disciplinare n. 816 rg) si deduce violazione di legge nella parte in cui il Consiglio Nazionale Forense aveva affermato la sua responsabilità deontologica, nonostante che egli avesse svolto, in regime di sospensione dalla professione, solo attività occasionale non riferibile ad un procedimento giudiziale già instaurato, in materie non riservate alla professione forense ed in assenza di procure speciali (attività essenzialmente conciliativa e prodromica all’eventuale introduzione di una causa di lavoro, e ex art. 409 c.p.c., comma 1).

Con il terzo motivo di ricorso (proc. n. 894 rg) si deduce violazione di legge nella parte in cui il Consiglio Nazionale Forense aveva erroneamente affermato che l’avvocato sospeso disciplinarmente non cessava ope legis dal mandato difensivo (fiduciario o d’ufficio), posto che – al contrario – in quest’ultimo processo la sospensione dalla professione non integrava causa di interruzione, sicché l’avvocato sospeso non poteva nominare un sostituto processuale ex art. 97 c.p.p., comma 4; da ciò derivava che spettava all’autorità giudiziaria procedente di nominare un difensore d’ufficio ex art. 97, comma 1 cit. (evenienza che nella specie non si era verificata), con conseguente esclusione di un suo obbligo di partecipare all’udienza dibattimentale del ***** nei confronti delle imputate S..

Con il quarto motivo di ricorso (proc. n. 895 rg) l’avv. C. lamenta violazione di legge nella parte in cui il Consiglio Nazionale Forense ha affermato che l’avvocato deve comunicare la non accettazione del mandato fiduciario ancorché da lui non formato né a lui mai comunicato. Diversamente da quanto così ritenuto, l’art. 107 c.p.p. andava interpretato nel senso che l’obbligo di informazione del cliente della non accettazione dell’incarico si applicava solo nei casi in cui la nomina, proveniente dall’autorità giudiziaria ovvero direttamente dalla persona indagata o imputata, fosse venuta a conoscenza del difensore; evenienza che nella specie non si era verificata, non avendo egli mai ricevuto l’atto di nomina da parte del Ba..

Con il quinto motivo di ricorso (proc. n. 913 rg), si assume che la decisione del Consiglio Nazionale Forense dovrebbe ritenersi gravemente errata per l’illegittima applicazione retroattiva del D.P.R. n. 137 del 2012, art. 7, comma 1 circa l’obbligo di continuo e costante aggiornamento professionale. L’addebito in questione concerneva infatti un triennio (*****) antecedente all’entrata in vigore della suddetta prescrizione sui corsi di formazione ed aggiornamento professionale.

Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione di legge nella parte in cui il Consiglio Nazionale Forense non aveva motivato alcunché in ordine alle ragioni per le quali non aveva ritenuto di rideterminare la sanzione irrogata con una meno grave, così come da lui richiesto in considerazione del corretto comportamento processuale e dell’assenza di precedenti sanzioni disciplinari.

Con il settimo motivo di ricorso, si lamenta violazione di legge nella parte in cui il Consiglio Nazionale Forense non aveva dichiarato d’ufficio la fungibilità delle sanzioni disciplinari L. n. 247 del 2012, ex art. 62, comma 8; norma da interpretarsi, vista la natura parimenti afflittiva della sanzione, in conformità con la disciplina penale di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4. In particolare, sussistevano i presupposti per dichiarare che la sanzione cautelare disciplinare già inflittagli (dal 18 maggio 2007 al 14 aprile 2008) in relazione a fatti diversi ed ancora dedotti in procedimento penale non definitosi, era fungibile con la sospensione di quattro mesi così come irrogata con la sentenza qui impugnata.

p. 1.3 A seguito di rituale istanza del ricorrente D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8 bis conv. in L. n. 176 del 2020, il ricorso è stato trattato in udienza pubblica con discussione in presenza delle parti.

p. 1.4 Il Procuratore Generale ha chiesto, nell’udienza così disposta, la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto tardivo; in via subordinata ne ha chiesto l’inammissibilità o la reiezione per le ragioni tutte indicate nelle conclusioni scritte in atti.

Conclusioni nelle quali si è evidenziato che:

le sentenze del CNF in materia disciplinare possono essere impugnate dinanzi alle Sezioni Unite solo per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, ovvero per vizio di motivazione ex art. 111 Cost., non anche (come nella specie) per questioni concernenti l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza disciplinare e la scelta della sanzione applicabile;

i motivi del ricorso difettano dell’indicazione delle specifiche ipotesi censorie di cui all’art. 360 c.p.c. alle quali si riferiscono, così come (una volta che li si voglia riferire all’ipotesi di violazione e falsa applicazione di L., ex art. 360, comma 1, n. 3) delle specifiche norme che il CNF avrebbe violato; le singole doglianze, quand’anche formalmente riferite a violazione di legge, mirano in realtà ad ottenere una rivisitazione dei fatti di causa ed una nuova valutazione di merito della dedotta responsabilità disciplinare.

p. 2.2 Il ricorso è inammissibile perché tardivo.

Esso è stato infatti notificato via PEC il 15 aprile 2021 a fronte di sentenza CNF notificata il 16 ottobre 2020, quindi ben oltre i trenta giorni stabiliti dalla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, comma 6.

Sostiene il ricorrente che il termine breve di notificazione del ricorso per cassazione sia stato interrotto il 16 novembre 2020 (ultimo giorno utile) per effetto della notificazione da parte sua, sia al COA sia al PG presso la S.C., di “comunicazione della causa di interruzione del processo in considerazione della sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense fino al 16 Febbraio 2020” (comunicazione contestualmente depositata presso il CNF); osserva poi che, a seguito di questa comunicazione, il CNF non aveva provveduto alla rinotificazione della sentenza, con conseguente applicazione del termine lungo semestrale.

La tesi non può essere condivisa.

Queste Sezioni Unite hanno già osservato che: “Le disposizioni contenute nell’art. 36 dell’ordinamento forense contengono un’eccezione al combinato disposto di cui agli artt. 285 e 170 c.p.c., il quale stabilisce che il termine di 30 giorni per ricorrere verso la sentenza del CNF decorre dalla notifica della stessa a richiesta d’ufficio eseguita nei confronti dell’interessato personalmente e non già del suo procuratore, considerato che non ricorre qui la ratio della regola generale della necessità della notifica al difensore, in quanto il soggetto sottoposto a procedimento disciplinare è un professionista il quale è in condizione di valutare autonomamente gli effetti della notifica della decisione” (Cass. SSUU nn. 11342/13; 21110/17; 17192/18).

Si tratta di specificazione ed adattamento alla fattispecie in esame di quanto stabilito da questa Corte in ordine all’efficacia della notificazione della sentenza alla parte personalmente, nel caso in cui questa fosse difesa da avvocato raggiunto da provvedimento di sospensione disciplinare in pendenza del termine di impugnazione. Si è infatti affermato (v. Cass., II sez. civ., n. 11298/18) che in questo caso “la notificazione della sentenza alla parte personalmente è l’unico mezzo per far decorrere il termine cd. breve di cui all’art. 325 c.p.c., atteso che, in tal modo, la parte difesa dall’avvocato sospeso è posta in condizione di informarsi circa le ragioni per le quali la notifica è stata eseguita nei confronti suoi anziché del difensore e di designarne tempestivamente un altro, senza che il notificante sia gravato dall’onere di avvisare la controparte destinataria della notifica dell’evento che ha colpito il suo difensore”.

La notificazione della sentenza impugnata era dunque anche qui idonea a sortire l’effetto della conoscenza legale ai fini dell’impugnazione per cassazione, siccome eseguita nei confronti dell’avv. C. quale parte difesasi in proprio nel procedimento avanti al CNF, nonché professionista “in condizione di valutare autonomamente gli effetti della notifica della decisione” (SSUU cit.).

Neppure potrebbe fondatamente sostenersi che l’immediata efficacia della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività forense – specifico oggetto dell’impugnazione in questa sede – determinasse, come sostenuto in ricorso, una causa interruttiva del termine di impugnazione.

Se è vero che la sanzione disciplinare in questione è dotata di efficacia immediata privando – fin dalla sua adozione – l’avvocato che ne venga colpito del diritto di esercitare la professione nel periodo considerato (Cass. SSUU nn. 7666/17; 9491/04) e che, in ragione di ciò, l’avvocato medesimo non può, durante questo periodo, sottoscrivere in proprio il ricorso per cassazione avverso la sentenza del CNF in quanto privo dello jus postulandi (Cass. SSUU nn. 7666/17 cit.; 24180/09 ed altre), altrettanto indubbio è che questo:

consegue naturalmente all’effettività ed esecutività della sanzione inflitta ed alla circostanza che la legge non preveda alcuna ipotesi di sospensione, interruzione o prolungamento del termine ordinario per impugnare, in costanza del periodo di sospensione dall’esercizio dell’attività forense, la sentenza disciplinare; non pregiudica il diritto di difesa dell’avvocato sospeso, il quale, per quanto privato come detto dello jus postulandi, può ugualmente impugnare la sentenza, con il patrocinio di altro difensore, nel rispetto dei termini e delle regole generali.

La tesi del ricorrente – per vero non lineare perché oscillante tra la configurabilità di una causa di interruzione, l’inidoneità della notificazione della sentenza, la generale operatività nel caso del termine `lungò semestrale – non trova dunque riscontro alcuno, non prevedendo la legge, per il caso in questione, nessuna delle ipotizzate situazioni di dilazione del termine, pacificamente perentorio, di impugnazione.

Ne segue l’inammissibilità del ricorso; nulla si provvede sulle spese, stante la natura di parte in senso solo formale rivestita dal Procuratore Generale.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;

v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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