Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31589 del 04/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35446-2019 proposto da:

D.P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO BATTISTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2411/19/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 16/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso avviso di accertamento per IRPEF relativo all’anno di imposta 2008, con il quale l’Ufficio aveva rettificato la perdita dichiarata di Euro 3.786 e accertato un reddito di Euro 47.064, recuperando a tassazione costi riguardanti “lavorazioni da terzi” e “spese di pubblicità”;

la Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 232/01/2014, respingeva il ricorso della parte contribuente e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 3579/39/15, ne accoglieva l’appello;

la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4165 del 2017, cassava con rinvio la suddetta sentenza n. 3579/39/15 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, riscontrando un vizio di omessa motivazione rilevando che la sentenza si limita ad affermare apoditticamente l’adeguatezza probatoria della difesa in fatto della contribuente appellante;

la contribuente propone giudizio in riassunzione del giudizio di appello promosso dalla contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale n. 232/01/2014;

la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva l’appello della parte contribuente affermando che l’azione fiscale posta in essere nel caso di specie appare coerente con la giurisprudenza di Cassazione richiamata, per cui va affermata l’assoluta genericità del contenuto letterale delle fatture riguardanti “lavorazioni da terzi” e “spese di pubblicità”, né tali carenze appaiono integrate dalla documentazione presentata dal contribuente.

Avverso la suddetta sentenza la parte contribuente propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi di impugnazione, mentre l’Agenzia delle entrate non si costituiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in quanto è errato l’assunto secondo cui la contribuente, in relazione alle fatture contestate, non avrebbe fornito, nemmeno in sede processuale, alcun documento specifico e/o neppure copie di validi contratti né modalità o attestati di pagamenti;

considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in quanto è errato l’assunto secondo cui le fatture sarebbero irregolari perché generiche in quanto prive degli elementi richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21.

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché entrambi contestano la genericità delle fatture affermata dalla sentenza impugnata, sono entrambi infondati.

Secondo questa Corte infatti:

in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura (nella specie emessa con causale “per lavori di muratura eseguiti presso vs. cantiere”), non redatta in conformità ai requisiti di contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto ivi rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, per cui l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. n. 9912 del 2020; Cass. n. 21446 del 2014);

in tema di IVA, ai fini della detrazione, le fatture per prestazioni di servizi devono contenere l’indicazione dell’entità e della natura degli stessi, nonché la specificazione della data nella quale sono stati effettuati o ultimati, come previsto dalla Dir. n. 2006/112/CE, art. 226, punti 6 e 7: peraltro, l’Amministrazione finanziaria deve tenere conto anche delle informazioni complementari eventualmente fornite dal soggetto passivo d’imposta, come si evince dalla detta Dir., art. 219, che assimila alle fatture tutti i documenti o messaggi che modificano o fanno specifico e inequivoco riferimento ad esse (Cass. n. 29290 del 2018);

in tema d’IVA, una fattura che in un’unica descrizione accorpi attività dai contenuti più disparati (nella specie, attività materiali di trasporto e magazzinaggio, attività d’ordine di tenuta contabilità, attività ad alto contenuto di professionalità di promozione vendite ed attività generiche di “marketing”) non consente d’identificare l’oggetto della prestazione, di cui deve indicare natura, qualità e quantità, e non risponde alle finalità di trasparenza e conoscibilità di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, funzionali alle attività di controllo e verifica dell’Amministrazione finanziaria, sicché comporta l’irrogazione di sanzione ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 9 (Cass. n. 21980 del 2015).

La Commissione Tributaria Regionale si è attenuta ai suddetti principi là dove, ad un accertamento di merito a seguito del quale è giunta ragionevolmente alla conclusione circa la genericità delle descrizione contenuta nelle fatture oggetto dell’avviso di accertamento ne ha fatto conseguire la validità dell’avviso di accertamento per difformità delle fatture rispetto ai requisiti di contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, che fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto ivi rappresentato e le rende inidonee a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo. Per il resto le doglianze della ricorrente, pur formalmente volte a denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo o una violazione di legge, investono documentazione già presa in considerazione dalla Commissione Tributaria Regionale e quindi il merito della lite e sono pertanto insuscettibili di poter essere valutate in Cassazione, in quanto con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 5811 del 2019; Cass. n. 27899 del 2020).

Ritenuti pertanto infondati entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; nulla va statuito in merito alla spese non essendosi costituita l’Agenzia delle entrate.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472