Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31590 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36036-2019 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA, 18, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CIANFROCCA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO CIANFROCCA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2559/19/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA del LAZIO SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 23/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso avviso di accertamento relativi ai periodi di imposta 2011 per IRPEF con il quale l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, a seguito di indagini bancarie, redditi in base a presunzione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente;

la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l’appello delle entrate ritenendo, fra l’altro, quanto a presunti vizi di delega di firma, che l’Ufficio aveva allegato già in primo grado e riproduce nuovamente l’ordine di servizio n. ***** del *****, contenente delega da parte del dirigente, direttore dell’Ufficio Dott. B.M., a favore di funzionario di terza fascia, circostanza anche questa dimostrata;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato a due motivi di impugnazione mentre l’Agenzia delle entrate non si costituiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in quanto, in presenza di specifica contestazione, come nel caso di specie, incombe sull’amministrazione finanziaria dimostrare la presenza della delega del titolare dell’ufficio, non bastando il solo possesso della qualifica direttiva per sottoscrivere l’avviso di accertamento;

considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e 5, la parte contribuente denuncia nullità della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti consistente nella documentazione e nelle giustificazioni fornite dal contribuente nella fase immediatamente successiva alla chiusura del processo verbale di contestazione.

Il primo motivo è infondato.

Considerato infatti che, secondo questa Corte:

la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. n. 11013 del 2019; Cass. n. 28850 del 2019);

la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, comma 1, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (Cass. n. 8814 del 2019);

ritenuto pertanto che la Commissione Tributaria Regionale si è attenuta a tali principi là dove ha considerato valida la delega di firma in quanto contenuta all’interno di un ordine di servizio – la cui esistenza e validità non è contestata dal ricorrente – rispondente alle suddette indicazioni giurisprudenziali, mentre per il resto il ricorso, nel limitarsi ad addurre circostanze, quali l’avvenuta contestazione circa il potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare, nonché la mancata allegazione all’avviso di accertamento della necessaria delega autorizzativa, è carente dal punto di vista dell’autosufficienza: in effetti, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” (in applicazione del predetto principio, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale era stata dedotta l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., su di una domanda asseritamente contenuta nella comparsa d’intervento, senza che, tuttavia né tale domanda, né la sentenza di primo grado fossero “localizzate” all’interno degli atti del procedimento: Cass. n. 28184 del 2020).

Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo questa Corte infatti il principio di autosufficienza prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 17070 del 2020).

Deve inoltre evidenziarsi che va dichiarato inammissibile il ricorso i cui motivi di impugnazione si risolvano in un indistinto coacervo di elementi di fatto e vaghe menzioni di normative, non individuate in maniera scientifica, prive di adeguato supporto argomentativo sull’erroneità della loro applicazione e sull’individuazione dell’interpretazione invece corretta, tali da rendere impossibile a questa Corte, a meno di una invece non consentita interpolazione ed integrazione dell’atto di parte, la stessa individuazione della censura mossa alla gravata sentenza (Cass. n. 18066 del 2020).

Nella specie infatti il ricorrente lamenta in uno stesso motivo di impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, nullità della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti consistente nella documentazione e nelle giustificazioni fornite dal contribuente nella fase immediatamente successiva alla chiusura del processo verbale di contestazione.

In effetti, dall’articolazione dei motivi non è chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25557), dal momento che sono promiscuamente denunciati – in un unico motivo – violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, con il che il motivo è specificamente inammissibile per mescolanza non scindibile dei vizi (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3554; Cass. n. 8943 del 2021). In effetti, nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016; Cass. n. 8943 del 2021).

Nella specie il ricorrente affastella – in una struttura promiscua e confusa, una congerie di norme asseritamente violate, in un contesto narrativo non puntualmente ricollegato alla sentenza impugnata, nel mentre questa Corte ha, più volte enunciato il principio secondo il quale nel ricorso per cassazione, i motivi d’impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure” (Cass. n. 8943 e 8358 del 2021 Cass. n. 3554 del 2017).

Il motivo di impugnazione infine difetta di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto fondato su emergenze non conoscibili in questa sede e ciò solo basta a rendere non scrutinabile la prospettazione di nullità, peraltro priva di lineare comprensibile sviluppo giuridico; né la “qualitas” della questione legittima accertamenti nuovi in sede di legittimità (Cass. n. 8943 del 2021).

Ritenuto dunque infondato il primo di impugnazione e inammissibile il secondo, il ricorso va conseguentemente rigettato; nulla va statuito in merito alle spese non essendosi costituita l’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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