Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31595 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17062-2018 proposto da:

CONSORZIO STABILE EGECO SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI N. 30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO AUSIELLO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLO MANDARANO, STEFANIA PAGANO, DANILO PARVOPASSO, EMILIO LUIGI REGNOLATO, SARA PAGLIOSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2164/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI MARZIO.

RILEVATO

che:

1. – Il Consorzio Stabile Egeco S.c.a.r.l. ricorre per tre mezzi, nei confronti del Comune di Milano, contro la sentenza del 3 maggio 2018 con cui la Corte d’appello di Milano ha dichiarato inammissibile perché tardivo l’appello proposto dall’odierna ricorrente avverso sentenza resa tra le parti dal locale Tribunale, condannando l’appellante alle spese di lite, liquidate in Euro 3000,00.

2. – Il Comune di Milano resiste con controricorso illustrato da memoria.

CONSIDERATO

che:

3. – Il primo motivo denuncia: “Error in judicando (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Violazione e distorta applicazione dell’art. 25 c.p.c.. Violazione ed omessa applicazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con mod. dalla L. n. 221 del 2012. Omessa/insufficiente motivazione su di un fatto controverso decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Omessa considerazione dello ius superveniens del domicilio digitale aspetto all’introduzione del giudizio di primo grado”. Il motivo censura la sentenza impugnata per aver ritenuto validamente notificata la decisione del primo giudice, con conseguente decorrenza del termine “breve”, presso la cancelleria del giudice adito, ove il Consorzio Stabile Egeco S.c.a.r.l. aveva eletto domicilio.

Il secondo motivo denuncia: “Error in judicando (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Violazione e distorta applicazione dell’art. 125 c.p.c.. Violazione ed omessa applicazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con mod. dalla L. n. 221 del 2012. Omessa considerazione dello ius superveniens del domicilio digitale nelle more del giudizio. Omessa considerazione sulla natura processuale dello ius superveniens direttamente applicabile. Violazione del principio del tempus regit actum”. Il motivo censura nuovamente la sentenza per aver ritenuto validamente effettuata la già menzionata notifica.

Il terzo motivo denuncia: “Error in judicando. Violazione e distorta applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Omessa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ritenuto che:

4. – Il ricorso è inammissibile.

4.1. – I primi due motivi, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo questa Corte già stabilito che decorre il termine “breve” se la sentenza è notificata in Cancelleria, quando il soccombente vi ha volontariamente eletto domicilio. Ed invero, il principio per cui, con l’introduzione del domicilio digitale, la notificazione dell’atto di impugnazione può essere eseguita presso la Cancelleria solo nell’impossibilità di avvalersi della notificazione via PEC presso l’indirizzo risultante dall’apposito registro, non trova applicazione ove la domiciliazione in Cancelleria non derivi dall’avere l’interessato omesso di adempiere l’onere di eleggere domicilio presso il giudice adito, ma sia il frutto di una deliberata scelta del medesimo interessato. La normativa sul domicilio digitale non ha infatti soppresso la facoltà della parte di eleggere domicilio presso uno specifico luogo fisico (in associazione con il domicilio digitale) per la notificazione degli atti del processo (Cass. 29 gennaio 2020, n. 1982).

Nel caso di specie non è in discussione che l’interessato, pur avendo indicato il proprio indirizzo Pec, avesse eletto domicilio presso la cancelleria, peraltro per i soli fini delle comunicazioni (Cass. 27 novembre 2014, n. 25215; Cass. 17 novembre 2016, n. 23412).

4.2. 11 terzo motivo è anch’esso inammissibile.

La Corte d’appello ha regolato le spese di lite in applicazione del principio di soccombenza, il quale, come noto, opera anche in caso di decisioni motivate da ragioni meramente processuali (p. es. Cass. 28 giugno 1969, n. 2351; Cass. 4 ottobre 1971, n. 2717; Cass. 11 ottobre 1971, n. 2850; Cass. 6 marzo 1987, n. 2377; Cass. 15 luglio 2008, n. 19456): sicché non è dato comprendere per quale ragione, secondo il motivo spiegato dalla ricorrente, la condanna alle spese non avrebbe dovuto essere pronunciata.

Altrettanto incomprensibile è il perché non avrebbe dovuto essere disposto il raddoppio del contributo unificato, visto che l’appello è stato dichiarato inammissibile, e che la L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, comma 2, all’art. 13, il comma 1 quater, cui: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Quanto alla doglianza concernente l’omessa compensazione, la censura si infrange ancora una volta contro la previsione dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, tenuto conto del fermo principio in forza del quale: “In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (da ult. Cass. 26 aprile 2019, n. 11329).

5. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 3.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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