LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11522-2020 proposto da:
H.S., elettivamente domiciliato in Roma, al Viale delle Milizie n. 76, presso lo studio dell’Avvocato Marta Di Tullio, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale apposta in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
avverso la sentenza n. cronol. 653/2019 della COR LE di APPELLO di CALTANISSE I 1A, depositata il 21/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 08/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con ordinanza del 4/9 gennaio 2018, il Tribunale di Caltanissetta confermò il provvedimento reiettivo delle istanze di protezione – internazionale ed umanitaria – emesso dalla competente Commissione Territoriale nei confronti del cittadino pakistano H.S., ed il gravame proposto da quest’ultimo contro tale decisione venne respinto dalla corte di appello della medesima città, con sentenza del 21 ottobre 2019, n. 653, la quale: i) ritenne assolutamente non credibili le sue dichiarazioni; ii) escluse che nella zona (Azad Kashmir) del Pakistan, di provenienza del richiedente protezione, fosse riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenta generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); iii) affermò che, anche a voler ritenere credibile il ricorrente, lo stesso non avrebbe avuto comunque diritto allo status di rifugiato e neppure alla invocata protezione sussidiaria perché quanto da lui narrato non poteva ricondursi alle ragioni soggettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), né si comprendeva il perché lo stesso non avesse continuato ad avvalersi della protezione degli organi statali competenti, già investiti della vicenda; iv) giudicò insussistenti i presupposti per la concessione della protezione umanitaria.
2. Contro la descritta sentenza H.S. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, dell’art. 16 Direttiva Procedure 2013/32 UE, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione alla ritenuta inattendibilità dell’appellante e per non essere state acquisite e valutate le informazioni circa la situazione del Paese di provenienza di quest’ultimo, così da verificare la verosimiglianza di quanto da lui dichiarato;
II) la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 7 e art. 14, lett. b) e c), con riguardo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;
III) la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riferimento al mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. Gli esposti motivi sono suscettibili di una trattazione congiunta, atteso che sono tutti affetti dalle medesime ragioni di inammissibilità.
2.1. Invero, va immediatamente ricordato che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (r., ex multis, Cass. n. 16700 del 2020). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr., ex multis, Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).
2.1.1. Nella specie, invece, le diverse censure rappresentate nei formulati sono prive di una precisa identificazione delle affermazioni in diritto della sentenza impugnata che si pretendono contrastanti con le norme regolatrici della fattispecie ed investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione sussidiaria ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (Efr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).
2.2.1. Le corrispondenti argomentazioni, infatti, investono la mancata acquisizione di informazioni sulla situazione socio-politica-economica del Paese di provenienza del ricorrente, la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni di quest’ultimo, ritenuta espressione di un giudizio soggettivo ed arbitrario, non fondato su elementi oggettivi, il non essersi applicati i principi sull’onere della prova affermati costantemente dalla giurisprudenza sovranazionale e di legittimità con riferimento alla materia della protezione internazionale.
2.2.2. Orbene, rileva il Collegio che la corte distrettuale ha espresso – confermando l’analoga valutazione del tribunale – un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente (cfr., amplius, pag. 5 della sentenza impugnata), in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato una sentenza resa il 21 ottobre 2019), come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., SU, n. 8053 del 20144.
2.2.3. In relazione, poi, alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza, deve rilevarsi che, in ogni caso, la riferibilità soggettiva ed individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b) escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status Cass. n. 31481 del 2018).
2.2.4. Inoltre, la decisione oggi impugnata ha esaminato, sebbene sinteticamente, la situazione socio-politica della zona (Azad Kashmir) del Pakistan di provenienza del richiedente, puntualmente indicando le fonti a tal fine utilizzate, onde il corrispondente motivo di censura è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volto ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.
2.2.5. Circa, infine, la invocata protezione umanitaria, va soltanto rimarcato che la corte nissena ha affermato non essere state dedotte gravi ragioni di protezione o situazioni soggettive specifiche, e che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018), che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sé solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (dr Corte EDU, cent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan.zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”.
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (0-. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore – della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021