LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;
– ricorrente –
contro
A.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa in calce al controricorso, dagli Avv.ti Gianni Marongiu, Andrea Bodrito, Stefano Tacchino e Francesco d’Ayala Valva, che hanno indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’ultimo difensore, al viale Parioli n. 43 in Roma;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 3, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino il 7.7.2014, e pubblicata il 7.1.2015;
esaminate le conclusioni scritte fatte pervenire dal Sostituto Procuratore Generale Giacalone Giovanni, il quale ha concluso perl’accoglimento del primo motivo di ricorso;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.
La Corte osserva.
FATTI DI CAUSA
1. l’Agenzia delle Entrate, a seguito di procedimento penale istruito nei confronti dell’Avvocato e Notaio svizzero P.F., del quale erano clienti anche taluni cittadini italiani, tra cui l’odierno ricorrente A.F., in relazione anche ad operazioni commerciali svolte con la Svizzera, Paese dalla fiscalità privilegiata, notificava all’odierno controricorrente l’avviso di accertamento n. *****, con il quale contestava l’omessa dichiarazione, nel quadro RW della dichiarazione dei redditi presentata in data 28.9.2007 (redditi 2006): di Euro 2.640,40, relativi a somme corrisposte al P.; di Euro 450.000,00, utilizzati per la costituzione della Longleat S.a.; nonché di un ulteriore bonifico di Euro 70.000,00 su banca londinese, in favore di società canadese. Ritenuta tardiva ed incompleta la rettifica spontaneamente comunicata dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria ha contestato che la somma complessiva, pari ad Euro 522.643,40, era stata sottratta all’imposizione ai sensi del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, come conv., derivandone maggiori imposte, di cui Euro 224.727,00 a titolo di Irpef.
2. Il contribuente accertamento, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Asti, affermando di aver sanato la propria posizione mediante dichiarazione integrativa in relazione alla somma di Euro 450.000,00, mentre le ulteriori somme “non sarebbero stati investimento all’estero” (ric., p. 3). Prestava invece acquiscenza alla sanzione di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 5. La CTR confermava i rilievi dell’Amministrazione finanziaria in relazione all’importo di Euro 72.643,00, mentre li annullava in riferimento alla somma di Euro 450.000,00, in conseguenza della presentazione della dichiarazione integrativa.
3. L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la decisione assunta dalla CTP, per la parte in cui risultava sfavorevole all’Ente impositore, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte affermando, in primo luogo, che la dichiarazione integrativa era stata presentata oltre i novanta giorni previsti dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7. In conseguenza la dichiarazione dei redditi trasferiti all’estero doveva ritenersi omessa. Il contribuente resisteva e proponeva ricorso incidentale. La CTR riteneva che la mancata compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi non potesse qualificarsi come una omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, bensì come la mera mancata compilazione di una parte di essa. Riteneva quindi che il bonifico trasmesso a *****, per il valore di Euro 70.000, “e’ al di fuori del presupposto territoriale per l’operatività della presunzione di attività non dichiarata e sia detto bonifico, sia il bonifico su ***** paiono pagamenti di prestazioni canalizzati sugli ordinari canali bancari con chiara indicazione delle causali dei trasferimenti bancari, non riconducibili né in via di fatto né in via presuntiva alla categoria di attività detenute all’estero” (sent. CTR, p. IV s.). In conseguenza annullava integralmente l’avviso di accertamento emesso nei confronti di A.F..
4. Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a tre strumenti di impugnazione. Resiste mediante controricorso il contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il suo primo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione del D.L. n. 167 del 1990, art. 4, come conv., nonché del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, e del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, come conv., per avere la CTR erroneamente ritenuto che il modulo RW sia solo una parte della dichiarazione dei redditi, mentre lo stesso costituisce invece un’autonoma dichiarazione fiscale, e pertanto il contribuente poteva utilmente presentare una dichiarazione integrativa solo nei termini di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7, che, però, non aveva rispettato.
2. Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Ente impositore censura la nullità dell’impugnata sentenza della CTR per aver accolto l’appello incidentale del contribuente sulla base di ragioni, la “doglianza in ordine al presupposto territoriale” (ric., p. 12), che non erano state tempestivamente proposte.
3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle Entrate lamenta la nullità dell’impugnata sentenza della CTR, in conseguenza della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 132, disp. att. c.p.c., per aver proposto una motivazione meramente apparente, affermando che i versamenti effettuati su ***** e ***** “paiono pagamenti di prestazioni canalizzati sugli ordinari canali bancari” (ric., p. 13).
4. Mediante il suo primo strumento di ricorso, l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione di legge in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione finanziaria, per aver ritenuto la dichiarazione che il contribuente è tenuto a compilare in relazione alle somme trasferite all’estero, di cui al quadro RW, una mera componente della dichiarazione dei redditi ai fini Irpef, mentre la stessa costituisce un’autonoma dichiarazione, conseguendone che tale autonoma dichiarazione è risultata totalmente omessa dal contribuente, il quale non poteva porre rimedio a tale mancanza mediante una dichiarazione integrativa comunque ampiamente tardiva, perché inviata circa sei mesi dopo la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre la presentazione della dichiarazione integrativa è consentita nei termini di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 7.
Il controricorrente ha replicato, tra l’altro, che il D.L. n. 167 del 1990, art. 4, commi 1 e 2, sul c.d. monitoraggio, ha previsto che le persone fisiche le quali detengono attività all’estero, devono indicarle “nella dichiarazione dei redditi”, ed in questa unitaria dichiarazione deve essere indicato anche l’ammontare dei trasferimenti verso l’estero. Inoltre, il contribuente ha emendato il proprio errore “con la presentazione della dichiarazione integrativa nel marzo 2008, anteriormente all’avvio delle verifiche verso l’esponente, avvenuta nel 2011” (controric., p. 4).
4.1. La tesi affermata dall’Agenzia delle Entrate, cui ha aderito il P.M. nelle sue conclusioni, non appare condivisibile. Il modulo RW è una parte della dichiarazione dei redditi ai fini Irpef, ed ivi deve essere indicata, tra l’altro, la somma dei trasferimenti di capitali effettuati all’estero nell’anno di imposta. Se la dichiarazione dei redditi della persona è stata presentata, peraltro completa nelle sue ulteriori parti, ma con omessa compilazione di un quadro o modulo, non ricorre l’ipotesi dell’omessa presentazione della dichiarazione, ed è consentito al contribuente proporre una dichiarazione integrativa. Inoltre, è stato già espresso da questa Corte, anche se in relazione a tributo diverso, l’estensibile principio secondo cui la dichiarazione dei redditi “avendo natura di mera esternazione di scienza e di giudizio, può essere emendata (o ritrattata) dal contribuente, se frutto di errore, con effetti, però, diversi, a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta ovvero successivamente alla stessa: nel primo caso, infatti, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati”, Cass. sez. V, 10.02.2010, n. 2926. Nel caso di specie la dichiarazione integrativa di rettifica è stata pacificamente comunicata dal contribuente prima della notificazione dell’atto impositivo. Completezza suggerisce peraltro di ricordare che quanto osservato, naturalmente, trova applicazione qualora non sussista una specifica disciplina normativa delle conseguenze della tardiva dichiarazione, come avviene nel caso di specie in considerazione della formula del D.L. n. 167 del 1990, art. 5, comma 2, applicabile ratione temporis, meritando di essere segnalato che proprio questa norma è stata successivamente modificata, dettando il legislatore un’apposita disciplina dei termini utili per provvedere al c.d. ravvedimento operoso. Nel caso in esame, merita ancora di essere ribadito, è la stessa Amministrazione finanziaria a dare atto nel suo ricorso che il contribuente ha prestato “acquiescenza all’atto di contestazione emesso dall’Ufficio al fine di irrogare la sanzione prevista dal D.L. n. 167 del 1990, art. 5” (ric., p. 3).
Il primo motivo di ricorso appare pertanto infondato e deve essere respinto.
5. L’Amministrazione finanziaria critica, con il secondo motivo di ricorso, la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR per aver accolto, in relazione alla somma di Euro 72.643,00 (bonifici a ***** e *****) una contestazione circa il difetto del presupposto territoriale, consistente nell’invio di somme in Paesi a fiscalità privilegiata, che era stata proposta tardivamente dal ricorrente. Occorre allora, in primo luogo, osservare che il bonifico di Euro 2.643,00 è stato effettuato verso un Paese avente fiscalità privilegiata, la Svizzera, e quindi il motivo deve ritenersi riferito solo alla somma di Euro 70.000, versata mediante bonifico in un Paese, l’Inghilterra, che non ha fiscalità privilegiata, come correttamente rilevato dalla CTR.
In proposito sembra sufficiente osservare che la decisione della CTR risulta fondata sulla normativa applicabile alla fattispecie, che avrebbe potuto pertanto essere individuata anche d’ufficio dal giudice. La prospettazione relativa all’applicabilità, o meno, di una determinata normativa, del resto, costituisce per la parte una mera difesa, e non è soggetta a termini di preclusione.
Anche il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere respinto.
6. Mediante il terzo strumento d’impugnazione, l’Agenzia delle Entrate lamenta la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR per aver fornito una motivazione solo apparente, affermando che sia il bonifico su ***** in favore di società canadese, “sia il bonifico su ***** paiono pagamenti di prestazioni canalizzati sugli ordinari canali bancari con chiara indicazione delle causali dei trasferimenti bancari, non riconducibili né in via di fatto né in via presuntiva alla categoria di attività detenute all’estero” (sent. CTR, p. IV s.).
L’utilizzazione del termine “paiono” da parte della CTR risulta effettivamente infelice, tuttavia il tenore della decisione appare chiaramente intellegibile e sufficientemente completo. Il giudice dell’appello ha ritenuto, esprimendo il giudizio sul fatto di sua competenza, che i due bonifici fossero manifestazione di pagamenti effettuati mediante gli ordinari canali bancari, non si tratta pertanto di versamenti in qualche modo occultati, e che le causali dei versamenti risultassero chiaramente espresse. In conseguenza, nella valutazione espressa dalla CTR, i bonifici non risultano in alcun modo riconducibili alla categoria di attività detenute all’estero.
La motivazione si esprime nel suo complesso, pertanto, con chiarezza ed in termini affermativi e non ipotetici, nel senso che la documentazione giustificativa delle operazioni di bonifico fosse adeguata a dimostrare che le somme versate non siano in alcun modo riconducibili alla categoria delle attività detenute all’estero ai sensi della normativa applicabile. Non si confronta con le ragioni della decisione l’Agenzia delle Entrate, che pone l’attenzione su di un rilievo formale, ma non contrasta la ratio decidendi adottata dai giudici dell’appello, non illustrando quando e come abbia provato che le operazioni in questione fossero invece riconducibili proprio alla categoria delle attività detenute all’estero.
Anche il terzo motivo di ricorso deve quindi essere rigettato.
7. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve essere pertanto respinto. La peculiarità delle questioni esaminate, in ordine ad alcune delle quali non si rinvengono precedenti nella giurisprudenza di legittimità, induce a ritenere equo dichiarare le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, e dichiara compensate tra le parti le spese di lite.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021