Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.31636 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25793-2016 proposto da:

CAMERA COMMERCIO FROSINONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato ULISSE COREA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO SAVERIO MARINI, GINO SCACCIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2206/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’8/4/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

viste le conclusioni motivate, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. M.C. il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso;

viste le memorie depositate dalle parti.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso al Tribunale di Cassino l’avvocato S.G. esponeva che aveva rappresentato ed assistito la Camera di Commercio di Frosinone in taluni giudizi di espropriazione forzata immobiliare innanzi al tribunale di Frosinone; che la Camera di Commercio non aveva provveduto a corrispondere quanto spettantegli a saldo per diritti ed onorari.

Chiedeva ingiungersi a controparte il pagamento della somma di Euro 5.686,30, oltre interessi e spese.

Con Decreto n. 71 del 2011 veniva pronunciata l’ingiunzione richiesta.

La Camera di Commercio di Frosinone proponeva opposizione ed instava per la revoca dell’opposto decreto.

Si costituiva l’opposto che chiedeva il rigetto dell’opposizione. Con sentenza n. 544/2013 il Tribunale di Cassino accoglieva l’opposizione, revocava l’ingiunzione e condannava l’opposto alle spese di lite.

Proponeva appello S.G. cui resisteva la Camera di Commercio di Frosinone.

Con sentenza n. 2206 dell’8 aprile 2016 la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame, rigettava l’opposizione proposta dalla Camera di Commercio di Frosinone avverso l’ingiunzione e condannava l’appellata alle spese del doppio grado.

In primo luogo la Corte rilevava che la procura, ancorché generale ad lites, conferita all’avvocato da un ente pubblico e la sottoscrizione da parte dell’officiato patrocinatore di un qualsivoglia atto difensivo poi depositato in giudizio valgono ad integrare, non prefigurandosi la necessità della contestualità delle rispettive manifestazioni di volontà, gli estremi della stipulazione per iscritto richiesta ad substantiam negotii per i contratti della pubblica amministrazione, e ciò anche alla luce di numerosi precedenti di legittimità, intervenuti tra le medesime parti ed in relazione al medesimo contratto di patrocinio.

Peraltro, doveva escludersi che vi fosse stata un’esternalizzazione di servizi legali, attesa la possibilità di individuare tanti contratti di patrocinio per quante erano le procedure esecutive nella quali il S. era intervenuto per il recupero dei crediti dall’appellata.

Inoltre, la procura alle liti consentiva di individuare con sufficiente grado di certezza le controversie per le quali era operante il contratto di patrocinio, e ciò anche alla luce di alcuni precedenti de(giudice di legittimità che si erano pronunciati sulla validità della procura rilasciata al S..

Ritenuti assorbiti gli altri motivi di appello, e passando quindi ad esaminare le varie eccezioni sollevate dall’appellata, evidenziava che erano allegati al fascicolo del procedimento monitorio i documenti che attestavano lo svolgimento dell’attività difensiva da parte dell’appellante.

Doveva altresì escludersi che ricorresse la nullità del contratto per violazione del canone generale di buona fede e di correttezza ovvero per contrasto con l’art. 1343 c.c., mancando ogni prova circa gli elementi costitutivi della fattispecie dedotta (accordo truffaldino tra l’opposto ed un funzionario della Camera di Commercio).

Aggiungeva altresì che l’eccezione con cui l’appellata aveva dedotto il difetto del potere di rappresentanza in capo al segretario generale, firmatario della procura generale ad lites rilasciata al S., era vanificata dall’intervenuta ratifica da parte della Camera di Commercio di Frosinone dell’operato del proprio segretario generale.

Infatti, la Camera di Commercio, revocata la procura generale ad lites conferita all’appellante, si era costituita in tutti i giudizi di espropriazione forzata in cui era intervenuta col ministero del difensore in precedenza officiato ed aveva fatto proprie tutte le domande e richieste antecedentemente svolte, in tal guisa ratificando sia la stipulazione del contratto di patrocinio sia le prestazioni dal difensore espletate.

Ciò trovava conferma anche nella comunicazione di revoca della procura generale da parte della Camera di Commercio del 19 gennaio 2006 con la quale si lasciava chiaramente intendere la volontà di avvalersi dei risultati sino a quale momento conseguiti grazie all’attività processuale svolta dall’avv. S., comunicazione che non poteva dubitarsi fosse stata inviata anche al professionista.

Ancora era disattesa l’eccezione di illegittimo ed abusivo frazionamento del credito da parte dell’opposto, rilevandosi che lo stesso vantava tanti autonomi crediti per quanti erano i procedimenti esecutivi patrocinati, e ciò anche alla luce del recente intervento delle Sezioni Unite n. 4090/2017, ed infine era esclusa la validità della clausola che derogava ai minimi tariffari, alla luce della giurisprudenza di legittimità applicabile in ragione della normativa applicabile all’epoca della conclusione del contratto.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la Camera di Commercio di Frosinone sulla scorta di due motivi.

S.G. ha resistito con controricorso.

All’esito dell’adunanza camerale del 22 gennaio 2020, con ordinanza interlocutoria n. 9011 del 15 maggio 2020 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1421 e 1418 c.c., delle direttive Europee (2004/18/CE e 2004/17/CE) e della normativa nazionale (D.Lgs. n. 157 del 1995, art. 3, del D.Lgs. n. 406 del 1991, della L. n. 109 del 1994, del D.Lgs. nn. 157 e 158 del 1995, del D.Lgs. n. 163 del 2006, oggi D.Lgs. n. 50 del 2016), in materia di contratti pubblici.

Si deduce che la Corte d’Appello ha omesso di rilevare d’ufficio la nullità del contratto di patrocinio e della procura alle liti in quanto conferite dalla ricorrente senza l’osservanza delle inderogabili norme nazionali e comunitarie in materia di contratti pubblici.

Infatti, era stato affidato all’appellante l’intero servizio legale di recupero dei crediti dovuti dai terzi alla Camera di Commercio per il pagamento dei diritti camerali, e ciò in tutte le cause attive o passive promosse e da promuoversi ed in qualunque altro giudizio o procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria.

Tra le norme di evidenza pubblica, la cui violazione implica la nullità del contratto ex art. 1418 c.c., comma 1, rientrano anche quelle volte alla scelta del contraente, e la relativa nullità ben può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Atteso che la ricorrente è un ente pubblico non economico, cui si applica la normativa richiamata, ai sensi del D.Lgs. n. 157 del 1995, art. 3, anche il servizio legale rientra tra le materie rientranti nella nozione di appalto di servizi, risultando quindi applicabili, ancorché solo in parte, le norme di evidenza pubblica.

Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile per più motivazioni.

La censura è interamente volta a far valere la nullità dell’unitario contratto di patrocinio di cui alla Determina Dirigenziale n. 274 del 29 ottobre 1998 ed alla procura generale alle liti del 2 novembre 1998. La sentenza della Corte d’appello di Roma ha però ravvisato “tanti contratti di patrocinio quante sono le procedure esecutive nelle quali l’Avv. S. è intervenuto per il recupero dei crediti della camera di Commercio”, contratti individualmente conclusi in forza dell’accettazione ritraibile dalla comparsa di intervento redatta e sottoscritta dal difensore nelle singole procedure esecutive specificate nel ricorso per decreto ingiuntivo opposto. In tale prospettiva, il primo motivo di ricorso non rivolge una critica specifica, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, riferibile alla ricostruzione della vicenda negoziale compiuta dalla Corte d’appello, ricostruzione che atomizza il singolo contratto di patrocinio oggetto di lite e risulta così di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata senza essere scalfita dalle questioni che il primo motivo pone. Il motivo in esame non censura, invero, l’accertamento dell’esistenza e della validità del contratto di patrocinio che si è inteso concluso solo con la sottoscrizione delle comparse nelle procedure esecutive immobiliari dedotte nel ricorso monitorio, pur essendosi rivelato tale specifico contratto la fonte del rapporto obbligatorio dedotto ed il titolo del credito azionato nel ricorso per decreto ingiuntivo opposto.

Ne’ il ricorso, né la sentenza impugnata, delineano, del resto, una automatica nullità derivata dei singoli contratti di patrocinio, quale immediata conseguenza della prospettata nullità dell’unitario contratto di cui alla Determina Dirigenziale n. 274 del 29 ottobre 1998; trattandosi, del resto, eventualmente di contratti che, sia pure esecutivi del primo, configurano atti negoziali distinti ed autonomi.

Se, dunque, la nullità del contratto generale di patrocinio dell’ottobre 1998 non rileva nel presente giudizio, non essendo quel contratto posto a fondamento della domanda monitoria infine accolta dalla Corte di Roma, neppure può affermarsi la nullità dei singoli contratti di patrocinio qui dedotti, dotati rispetto a quello di una loro propria autonoma individualità, ciò imponendo accertamenti di fatto diversi ed ulteriori rispetto a quelli svolti nel giudizio di merito ed emergenti nella sentenza impugnata, incompatibili col giudizio di legittimità.

A conferma di tale osservazione, valga altresì considerare che la stessa ricorrente, al fine di superare il profilo inerente l’esistenza del giudicato esterno collegato alla decisione di precedenti controversie tra le medesime parti e relative al diritto al compenso dell’avv. S., nella memoria sottolinea l’autonomia delle singole vicende, il che contraddice logicamente il presupposto su cui si fonda invece il motivo in esame, che richiama la nullità della Delibera a monte, in quanto non rispettosa dels1 regole di affidamento dei contratti pubblici. Ma anche ove si voglia ipotizzare una nullità dei singoli rapporti di patrocinio quale conseguenza della nullità del contratto di patrocinio di cui alla delibera di Giunta Camerale del 15 ottobre 1998 ed alla Determina Dirigenziale del 29 ottobre 1998, nonché alla procura generale alle liti del 2 novembre 1998, il motivo è parimenti inammissibile, attesa l’esistenza tra le parti di un giudicato in merito alla validità del contratto di patrocinio e della procura generale alle liti (procura per notar Piacitelli del 2/11/1998, rep. N. 41438).

Rileva il Collegio che tra le parti del presente giudizio, e sempre in relazione alle procedure per le quali il S. ha prestato la propria attività professionale per effetto dell’incarico di patrocinio che lo abilitava ad assumere la difesa dell’ente in tutte le procedure volte in senso ampio al recupero dei crediti della Camera di Commercio, sono intervenute numerose pronunce anche di questa Corte che (cfr. ex multis Cass. n. 19420/2019; Cass. n. 19419/2019; Cass. n. 17888/2019; Cass. n. 28753/2018), nel rigettare i ricorsi proposti avverso sentenze di merito, hanno determinato il passaggio in giudicato delle stesse laddove erano pervenute al rigetto dell’opposizione avverso i decreti ingiuntivi azionati dal S. per il pagamento di prestazioni professionali tutte ricollegabili, quanto alla fonte, al contratto di patrocinio ed alla procura di cui oggi si chiede la declaratoria di nullità.

Sebbene non sia stata oggetto di specifica censura l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui, ad escludere l’esistenza di un fenomeno di esternalizzazione del servizio legale della ricorrente occorrerebbe valorizzare il dato secondo cui, “con la redazione e la sottoscrizione dei singoli atti difensivi si avrebbe la conclusione di tanti contratti di patrocinio quante sono le procedure esecutive nelle quali l’Avv. S. è intervenuto per il recupero dei crediti della Camera di Commercio”, e ritenuto quindi nella prospettiva di parte ricorrente che il rapporto sia unico, deve essere richiamato il costante principio di questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 5486/2019) l’autorità del giudicato copre sia il dedotto, sia il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito). Pertanto, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo.

Con specifico riferimento poi alla questione della nullità, è stato anche di recente affermato che (Cass. n. 13207/2015) quando il decreto ingiuntivo (nella specie, ottenuto per canoni di locazione non corrisposti), non sia stato opposto, il giudicato così formatosi fa stato tra le parti non solo sull’esistenza e validità del rapporto corrente “inter partes”, e sulla misura del canone preteso, ma anche circa l’inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili nel giudizio di opposizione. (in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, sul presupposto dell’inoppugnabilità del decreto ingiuntivo relativo a canoni non corrisposti, aveva escluso che in un diverso giudizio il conduttore potesse invocare la nullità della clausola di determinazione del canone in misura superiore a quella legale la L. 9 dicembre 1998, n. 431, ex art. 2, commi 3 e 5) (nel medesimo senso, si veda da ultimo Cass. n. 25745/2017, che ha affermato che il giudicato sulla domanda di accertamento della nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro stipulato da un dipendente delle Poste S.p.A., per genericità delle mansioni da svolgere e della sede di lavoro, precludesse l’esame in un successivo giudizio della nullità dello stesso termine per violazione dell’art. 8 del c.c.n.l. 1994, nonché Cass. n. 15339/2016 che ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva deciso con sentenza non definitiva sulla validità di un brevetto in presenza di una sentenza passata in giudicato che si era già espressa per la nullità dello stesso).

In tal senso si rivelano puntuali e condivisibili le considerazioni del precedente rappresentato da Cass. n. 13207/2015, la cui motivazione evidenzia che poiché il giudicato sostanziale “copre il dedotto ed il deducibile”, ciò impedisce alle parti del rapporto processuale ormai definito di sollevare, in altri giudizi:

(a) le stesse questioni oggetto di giudicato;

(b) le questioni che costituiscano il necessario presupposto delle prime.

Ne deriva che la pronuncia di condanna al pagamento d’una prestazione contrattuale (nella specie il pagamento del canone di locazione, ma nel nostro caso del compenso per una prestazione professionale, che la stessa ricorrente riconnette ad un rapporto contrattuale unitario) presuppone necessariamente l’accertamento dell’esistenza e della validità del credito e della sua fonte. Pertanto, il decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, ed avente ad oggetto la condanna al pagamento di prestazioni la cui fonte risiede nel contratto a monte, preclude all’intimato la possibilità di invocare, in un diverso giudizio, la nullità della clausola contrattuale ovvero, come nella fattispecie dell’intero contratto, posto che tale questione resta infatti coperta dal c.d. “giudicato per implicazione discendente”.

Trattasi di un principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, a far data da Cass. n. 2508/1969 e che ha trovato ampia applicazione oltre che nella materia delle locazioni (Cass. n. 16319/2007; Cass. n. 12994/2013; Cass. n. 5801/1998) ma in ogni altro caso in cui si è trattato di stabilire se un decreto ingiuntivo di condanna all’adempimento d’una obbligazione, se non opposto, potesse avere effetto di giudicato circa la validità del rapporto fonte dell’obbligazione.

Infatti, a tale quesito questa Corte ha costantemente dato risposta affermativa (Cass. n. 23235/2013; Cass. n. 14535/2012; Cass. n. 22520/2011; Cass. n. 11360/2010; Cass. n. 18791/2009; Cass. n. 18540/2009; Cass. n. 16540/2006), trattandosi peraltro di soluzione che appare in assoluta armonia con i principi affermati dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 26242 e 26243 del 2014, con le quali si è ritenuto che l’accoglimento della domanda fondata su di un determinato titolo contrattuale, con sentenza passata in cosa giudicata, vale come giudicato anche quanto all’insussistenza di cause di nullità (e ciò anche laddove siano dedotte cause di nullità diverse da quelle fatte valere nel processo definito con sentenza passata in giudicato).

Reputa la Corte che debba darsi continuità a tali principi, risultando quindi preclusa la deduzione della nullità, a fronte dei numerosi giudicati scesi su pretese derivanti dal rapporto contrattuale di cui si invoca la nullità, e che pertanto il motivo di ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

Le considerazioni svolte a proposito del primo motivo di ricorso rivelano altresì la superfluità del sollecitato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, in quanto la questione interpretativa posta dalla ricorrente non ha rilevanza in relazione al delineato “thema decidendum” sottoposto all’esame di questa Corte.

Per completezza di motivazione, ed in relazione alla questione dedotta in memorie circa la prevalenza del rispetto delle norme comunitarie rispetto al giudicato eventualmente intervenuto in contrasto con le stesse, va infine evidenziato che la deduzione della ricorrente appare in ogni caso priva di fondamento, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ha affermato che (Corte giustizia UE sez. V, 06/06/2019, n. 264) l’art. 10, lett. c), d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24/UE, che esclude dal regime dei contratti pubblici i servizi d’arbitrato e di conciliazione, determinati servizi di rappresentanza legale e di consulenza legale, nonché altri servizi legali che, nello Stato membro interessato, sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri, non si pone in contrasto con i principi di parità di trattamento e sussidiarietà, nonché con gli artt. 49 e 56 TFUE. Infatti, l’esclusione dei servizi di arbitrato e di conciliazione si giustifica in virtù della circostanza che gli arbitri e conciliatori devono sempre essere accettati da tutte le parti della controversia e sono designati di comune accordo da queste ultime, mentre quanto ai servizi legali e di consulenza di cui all’art. 10, lett. d), i) e ii), l’esclusione trova ragione nel fatto che si tratta di prestazioni fornite da un avvocato che si inseriscono nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato medesimo e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza. Infine, i servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri non sono comparabili, per le loro caratteristiche oggettive, agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/24 (che ha sostituto la direttiva 2004/18, di cui alla rubrica del motivo), il che denota come, proprio in ragione delle peculiarità delle prestazioni svolte dal professionista legale, non è dato invocare l’applicazione delle norme comunitarie in tema di affidamento di appalti pubblici.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 580 del 1993, artt. 9 e 16, dell’art. 1399 c.c., e del principio per cui gli atti negoziali della P.A. constano di atti formali di volontà.

Si deduce in primo luogo che il rilascio della procura, affinché possa preludere al perfezionamento in forma scritta del contratto di patrocinio, deve provenire dall’organo rappresentativo dell’ente pubblico, ovvero, nel caso delle Camere di Commercio, dal presidente e non già dal segretario generale.

In secondo luogo lamenta che la ratifica richiede l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione del contratto e che pertanto la stessa avrebbe nella fattispecie postulato la delibera dell’organo, cioè della giunta, deputato a formare la volontà dell’ente e la comunicazione della medesima delibera all’interessato da parte dell’organo, cioè del presidente, deputato a manifestare all’esterno la volontà dello stesso ente. Anche tale motivo deve essere disatteso, dovendo la Corte dare continuità ai principi affermati da Cass. n. 28753/2018, in una controversia vertente tra le medesime parti e che proponeva identico motivo di ricorso, secondo cui la disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri si applica anche alla rappresentanza organica degli enti pubblici, poiché l’organo competente ad esprimere la volontà dell’ente può procedere alla ratifica del contratto sottoscritto dal “falsus procurator”, per la quale è richiesta la forma scritta “ad substantiam”, trattandosi di un contratto della P.A. Detta ratifica non deve necessariamente risultare da un atto che manifesti espressamente la volontà del “dominus”, potendo questa pure desumersi implicitamente da altro atto, comunque redatto per iscritto, che, formato per fini consequenziali alla stipula del contratto ratificato, esprima in modo inequivoco una volontà incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere, da valutarsi in base ad un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da idonea motivazione.

Ad avviso del Collegio meritano condivisione le argomentazioni spese nel precedente citato, che, come peraltro avvenuto anche nella vicenda in esame, ha valorizzato le deduzioni del controricorrente il quale ha evidenziato che, a fronte della sua proposta, il segretario generale investì la Giunta – per il tramite del Presidente – affinché adottasse idonea delibera e che la Giunta, all’unanimità, approvò la proposta ritenendola valida e conveniente per l’ente camerale” (così controricorso, pagg. 19-20.

In questi termini vi è da ritenere che l’organo deputato – per espressa indicazione della stessa ricorrente – a concepire la volontà della Camera di Commercio ebbe debitamente a pronunciarsi.

Ne deriva che in relazione al contratto di patrocinio tra l’avvocato S. e la Camera di Commercio di Frosinone, residua il profilo concernente il “difetto in capo al segretario generale (firmatario dell’atto di conferimento all’avv. S. della procura generale ad lites) del potere di rappresentanza all’esterno dell’Ente”.

Tuttavia, per un verso, non è stata oggetto di specifica censura l’affermazione della corte di merito secondo cui la validità della procura dalla Camera di Commercio di Frosinone conferita al nuovo difensore – alla cui attività la corte distrettuale ha riconnesso la ratifica del conferimento d’incarico all’avvocato S. in precedenza operato dal segretario generale, privo del potere di rappresentanza dell’ente, in luogo del presidente è stata affermata da ambedue le parti in lite (cfr. pag. 10 primo rigo della sentenza appellata, ove si riferisce che i nuovi legali fossero pacificamente muniti di valida procura dell’Ente). Deve ritenersi per l’effetto che la determinazione sottesa al conferimento dell’incarico al nuovo difensore sia stata debitamente assunta dall’organo – la giunta – deputato a concepire la volontà dell’ente ed in pari tempo che la volontà di conferire l’incarico al nuovo difensore sia stata a costui debitamente veicolata dall’organo – il presidente – abilitato a comunicare (all’esterno) – a rappresentare – la volontà del medesimo ente.

Per altro verso, che la ratifica di un contratto soggetto alla forma scritta “ad substantiam”, stipulato da “faisus procurator”, non richiede che il “dominus” manifesti per iscritto espressamente la volontà di far proprio quel contratto, ma può essere anche implicita – purché sia rispettata l’esigenza della forma scritta – e risultare da un atto che, redatto per fini che sono consequenziali alla stipulazione del negozio, manifesti in modo inequivoco la volontà del “dominus” incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere (cfr. Cass. 17.5.1999, n. 4794; in tale occasione questa Corte ha ritenuto idonea ratifica (scritta) del contratto concluso dal “faisus procurator” il rilascio della procura alle liti per citare in giudizio l’altra parte, onde ottenere il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale; Cass. 25.10.2010, n. 21844). In particolare si è puntualizzato che l’atto scritto di ratifica del preliminare di vendita immobiliare stipulato dal “faisus procurator” può essere costituito dall’atto di citazione col quale il rappresentato chiede la risoluzione per inadempimento del promissario acquirente, in quanto tale domanda implica l’univoca volontà del “dominus” di far proprio l’operato del rappresentante senza poteri (cfr. Cass. 3.6.2015, n. 11453).

Per altro verso ancora, che la disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri (art. 1399 c.c.) si applica anche alla rappresentanza organica degli enti pubblici, con la conseguenza che il contratto stipulato da un assessore regionale al di fuori dei suoi poteri – nell’ipotesi perché non autorizzato ad esprimere la volontà dell’ente – può formare oggetto di ratifica da parte dell’organo che sarebbe stato competente; ed inoltre che, anche in tema di formazione dei contratti della P.A., l’accertamento del giudice del merito sulla sussistenza o meno della ratifica involge un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 5.3.1993, n. 2681).

Inoltre, la ratifica, quale atto unilaterale ricettizio, diventa efficace nel momento in cui perviene a cognizione del soggetto che ne è destinatario, e cioè di colui – nel caso de quo dell’avvocato S. – che ha contratto con il falso rappresentante: cfr. Cass. 20.6.1973, n. 1826. La ratifica del negozio posto in essere dal falsus procurator, per essere idonea a dare efficacia al negozio medesimo, ai sensi dell’art. 1399 c.c., non deve essere necessariamente contenuta in una dichiarazione rivolta, in via immediata e diretta, al terzo contraente, essendo sufficiente, a tal fine, che essa venga portata a conoscenza di quel terzo: cfr. Cass. 11.4.1978, n. 1697), e quindi è ravvisabile nella volontà univocamente palesata dalla Camera di Commercio di far proprio l’operato del falsus procurator, ossia il contratto di patrocinio stipulato dal segretario generale e dall’avvocato S., recependo sulla scorta del valido conferimento della procura al nuovo difensore e sulla scorta delle memorie scritte di costituzione del nuovo difensore – “le richieste, domande, deduzioni e produzioni sino ad ora effettuate” nelle procedure esecutive immobiliari intraprese dal difensore revocato.

Orbene il complesso delle circostanze manifesta univocamente la valida – in forma scritta, ancorché implicita – volontà della Camera di Commercio di Frosinone di acquisire alla propria sfera giuridica l’operato e gli effetti dell’operato del proprio segretario generale, rappresentante senza potere, e quindi vale a palesare una voluntas senz’altro incompatibile con quella di rifiutare e l’uno e gli altri.

Inoltre la sentenza gravata ha espressamente affermato a pag. 10 che la comunicazione di revoca, di cui non poteva dubitarsi che fosse stata inviata al S., conteneva anche una quanto meno implicita volontà di ratificare il precedente operato dal controricorrente, affermazione questa non adeguatamente contrastata in ricorso, e che consente di ritenere soddisfatto anche il requisito della comunicazione della volontà di ratifica alla controparte contrattuale.

Ne’ infine può essere invocato come precedente contrario a tale conclusione il contenuto dell’ordinanza di questa Corte n. 31516/2019 che in realtà ha disatteso la questione relativa alla ratifica dell’operato del resistente, con la sanatoria dell’iniziale difetto di rappresentanza, posto che in quella circostanza è stata rilevata la novità della questione rispetto a quanto dedotto in sede di merito, novità che invece non ricorre nella fattispecie, stante la espressa decisione resa sul punto dal giudice di appello.

Anche tale motivo deve quindi essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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