LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19635-2016 proposto da:
G.R. e R.C., rappresentati e difesi dall’Avvocato GIOVANNI SARDELLA per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
M.G., rappresentata e difesa dall’Avvocato VINCENZO TUCCITTO per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 607/2016 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA, depositata il 23/2/2016;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata del 3/6/2021 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.
FATTI DI CAUSA
Il tribunale, con sentenza del 4/5/2009, ha accolto l’azione di rivendica della proprietà proposta da M.G. nei confronti dei coniugi G.R. e R.C. ed ha condannato questi ultimi al rilascio in favore dell’attrice di una porzione di terreno costituente pertinenza di un appartamento della stessa.
Il tribunale, in particolare, comparando i due atti pubblici di donazione (del 1988) e di compravendita (del 1992), ha ritenuto che il comune alienante avesse l’intenzione di trasferire a ciascuno degli aventi causa (i coniugi G., per il primo, ed Ma.Em., dante causa della M., per il secondo), oltre ad un appartamento, anche la metà del terreno di pertinenza del fabbricato, indicato, in entrambi i negozi, nella sua complessiva estensione, pari a mq. 530. Nel secondo atto, la descrizione del terreno era volta ad individuarne solo l’ubicazione, senza inficiarne l’estensione, che rimaneva quella citata, per cui l’indicazione delle richiamate delimitazioni costituiva un elemento secondario al fine di individuare l’esatta estensione del fondo.
G.R. e R.C. hanno proposto appello avverso tale sentenza sostenendo: – con il primo motivo, che, in realtà, con il primo atto, l’alienante aveva trasferito la comproprietà, nella misura pari alla metà indivisa, del terreno pertinenziale, esteso complessivamente per 530 m.q., rimanendo comproprietario dell’altra metà, per cui l’avente causa della successiva compravendita non poteva acquistare la proprietà di tale metà, appartenendo, piuttosto, tutto il terreno “indivisamente” anche ai due appellanti, ciascuno per il 25%; con il secondo motivo, che, con l’atto del 1992, il venditore aveva l’intenzione di alienare l’appartamento a corpo e non a misura, per cui l’estensione del terreno indicata nel contratto non doveva considerarsi rilevante.
M.G. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.
La corte, in particolare, dopo aver evidenziato che gli appellanti avevano introdotto, con il primo motivo, una prospettazione difensiva del tutto diversa rispetto a quella spiegata con la comparsa di primo grado, ha dichiaratamente condiviso, perché “assolutamente convincente”, il percorso argomentativo illustrato dal tribunale in quanto “fondato sulla corretta interpretazione delle due clausole degli atti di trasferimento, con le quali l’alienante ha inteso trasferire, oltre all’appartamento – il solo immobile venduto a corpo – la metà del fondo di terreno pertinenziale a ciascuno degli acquirenti”: “e’ evidente, in particolare, che il trasferimento della seconda metà era legittimo, perché di essa il venditore… era rimasto proprietario (o comproprietario)”. Al riguardo, la corte ha aggiunto che “l’uso del termine “comproprietà, nel primo atto, si spiega col fatto che il venditore, dopo la donazione, era rimasto appunto comproprietario della metà indivisa del fondo, poi ceduta col secondo negozio”. E poiché, ha concluso la corte, alla luce di quanto emerge dagli atti e dalla consulenza tecnica d’ufficio, “l’estensione del fondo di pertinenza dell’intero fabbricato è complessivamente pari a m.q. 530 circa, per l’esattezza m.q. 527,30”, deve, in definitiva, confermarsi l’esattezza dell’interpretazione delle clausole contrattuali da parte del tribunale.
G.R. e R.C., con ricorso notificato l’1/8/2016, hanno chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza della corte d’appello.
M.G. ha resistito ha resistito con controricorso e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo che hanno articolato, i ricorrenti, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 948,832,1100,1102,1103,1105 e 1108 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello li ha condannati alla restituzione di m.q. 47,15 del terreno pertinenziale in favore dell’attrice, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, una volta riconosciuto che l’attrice era titolare solo del diritto di comproprietà di tale terreno, la condanna dei convenuti alla restituzione della porzione materiale non poteva essere pronunciata poiché presupponeva che l’attrice fosse titolare della proprietà esclusiva della stessa.
2.1. Il motivo è infondato. La corte d’appello, infatti, con statuizione che i ricorrenti non hanno censurato per violazione delle norme che regolano l’interpretazione dei contratti, ha dichiarata mente condiviso, perché “assolutamente convincente”, il percorso argomentativo illustrato dal tribunale in quanto “fondato sulla corretta interpretazione delle due clausole degli atti di trasferimento, con le quali l’alienante ha inteso trasferire, oltre all’appartamento – il solo immobile venduto a corpo – la metà del fondo di terreno pertinenziale a ciascuno degli acquirenti” e, proprio sulla base di tale interpretazione degli atti di provenienza, ha confermato la sentenza con la quale il tribunale aveva condannato i convenuti al rilascio in favore dell’attrice della (residua) porzione materiale nel misura di m.q. 47,15, tale da rendere il terreno di pertinenza dei rispettivi appartamenti pari a m.q. 263,65 ciascuno.
2.2. Ne’ rileva il fatto che la stessa sentenza ha, poi, aggiunto che “l’uso del termine comproprietà, nel primo atto, si spiega col fatto che il venditore, dopo la donazione, era rimasto appunto comproprietario della metà indivisa del fondo, poi ceduta col secondo negozio” e che “il trasferimento della seconda metà era legittimo, perché di essa il venditore… era rimasto proprietario (o comproprietario)’) una volta che la corte d’appello ha (incontestatamente) ritenuto che la censura spiegata dagli appellanti con il primo motivo, lì dove avevano dedotto che con l’atto di donazione del 1988 l’alienante aveva trasferito la comproprietà, nella misura pari alla metà indivisa, del terreno pertinenziale, rimanendo comproprietario dell’altra, aveva, in realtà, introdotto una prospettazione difensiva del tutto diversa (e, come tale, inammissibile) rispetto a quella spiegata con la comparsa di primo grado.
3. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo con vincolo solidale.
5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 1.900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021