LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 25668/2016) proposto da:
C.A., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Antonino Uccellatore e Maurizio Spinella ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, v. Dardanelli, n. 46;
– ricorrente –
contro
T.F., (C.F.: *****) e R.A. (C.F.:
*****), rappresentati e difesi, in virtù di procura generali alle liti del 18 ottobre 2005 redatta dal notaio A.L. di Bronte (rep. n. 1693), dall’Avv. Augusto Zozzo ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Luca Gaetano Signorelli, in Roma, v. delle Quattro Fontane, n. 10;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 982/2016 (pubblicata il 16 giugno 2016);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 luglio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Carrato Aldo;
letta la memoria della difesa del ricorrente depositata ai sensi dell’art. 380-bi.1 c.p.c..
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 maggio 2010, il Tribunale di Catania – sez. dist. di Bronte, decidendo sulla domanda proposta, con atto di citazione del 25 gennaio 2006, da T.F. e R.A., accertata la costruzione di un vano in sopraelevazione ad opera del convenuto C.A., proprietario del garage sottostante, edificata a distanza inferiore a dieci metri dalla finestra di veduta del frontistante immobile degli attori e dalla stessa loro costruzione come stabilita dal vigente PRG del Comune di Maletto, previo rigetto dell’eccezione riconvenzionale di usucapione della servitù a mantenere quel manufatto, condannava il C. a rimuovere la costruzione illegittima fino al rispetto dell’anzidetta distanza minima.
2. Decidendo sull’appello formulato dal C.A. e nella costituzione di entrambi gli appellati, la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 982/2016 (pubblicata il 16 giugno 2016), rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione la Corte etnea osservava come fosse pacifico che l’immobile degli appellati esistesse quantomeno nella sua consistenza planovolumetrica e che doveva considerarsi inconfutabile che il calcolo delle distanze dovesse essere fatto tra quest’ultimo e la nuova costruzione edificata dal C., indipendentemente dal fatto che, all’atto della realizzazione di tale opera (consistente nella sola sopraelevazione del locale garage), l’immobile dei T.- R. fosse o meno dotato di aperture.
La Corte territoriale rilevava, poi, l’inammissibilità della questione, in quanto nuova, relativa alla possibile operatività del principio di prevenzione (dedotta sul presupposto che fosse stata la costruzione del C. ad essere stata edificata per prima) e reinterpretava nella sua corretta e limitata dimensione l’ordine di condanna alla rimozione del manufatto illegittimamente costruito a distanza non legale con riferimento alla sola sopraelevazione sul garage dell’appellante.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il C.A., resistito con controricorso dagli intimati T.F. e R.A..
La difesa del C. ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la conseguente nullità dell’impugnata sentenza e del procedimento per omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di usucapione da esso C. formulata in primo grado e reiterata in appello, avuto riguardo all’acquisto del suo diritto a mantenere a distanza illegale dal confine la propria costruzione oltre che riferita all’inesistenza della servitù di venduta a carico del proprio immobile ed in favore di quello delle controparti.
2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto un’ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c., per asserito vizio di ultrapetizione della sentenza di appello, nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., congiuntamente al vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione, con riferimento alla parte in cui era stata riconosciuta la legittimità dell’ordine rivolto nei suoi confronti di rimuovere la propria costruzione fino a dieci metri dalla parete finestrata dell’immobile degli appellati, pur ponendosi riferimento alla sola eventuale preesistenza del fabbricato di questi ultimi “nella sola consistenza plano-volumetrica”, di per sé non implicante la necessaria presenza di una parete finestrata.
3. Con il terzo ed ultimo mezzo il ricorrente ha prospettato la violazione degli artt. 115 e 115 c.p.c., nonché il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione nella parte in cui, con la sentenza di secondo grado (come già con quella di prime cure), non si era tenuto conto della confessione resa dall’attrice R. in sede di interrogatorio formale, con cui aveva riconosciuto come esistente fin dal 1984 il garage di esso ricorrente insieme alla sua sopraelevazione.
4. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato perché, differentemente da quanto sostenuto dal ricorrente e per come emergente dalle conclusioni rassegnate con l’atto di appello (trascritte a pag. 6 del ricorso), egli non aveva reiterato la domanda o eccezione riconvenzionale (proposte in primo/grado) di acquisto per usucapione del diritto a mantenere la sua costruzione a distanza non legale, ragion per cui non sussiste la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c..
Infatti dall’esame diretto del contenuto dell’atto di citazione in appello si evince che, in realtà, con esso il C. si era limitato a chiedere il rigetto della domanda attorea, l’accoglimento della domanda riconvenzionale ma solo con il conseguente ordine nei confronti degli stessi attori di arretrare la loro costruzione fino alla distanza di legge e, in ogni caso, ritenere e dichiarare, ai sensi dell’art. 949 c.c., l’inesistenza di qualsivoglia diritto di servitù di veduta o di altra natura a carico del suo immobile, con esclusione, pertanto, di ogni riferimento a domande od eccezioni di usucapione.
5. Il secondo motivo e’, in parte, infondato e, in parte, inammissibile.
Non sussiste, innanzitutto, il dedotto vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. (per asserita ultrapetizione), poiché la Corte di appello ha, nell’impugnata sentenza, pronunciato solo sulla violazione delle distanze legali mediante la costruzione della sopraelevazione da parte del C. sul proprio garage, ma non ha affatto adottato una pronuncia sul riconoscimento del diritto in favore degli appellati a mantenere le loro vedute a distanza illegale dal confine.
La doglianza e’, invece, inammissibile con riferimento alla supposta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dal momento che essa appare del tutto inconferente e, quindi, dedotta con inosservanza dello specifico requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), previsto, per l’appunto, a pena di inammissibilità del relativo motivo.
Infatti, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 27000/2016 e n. 1129/2019), in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. può essere posta, rispettivamente, solo allorché si alleghi che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.
Senonché, con il dedotto profilo del motivo in esame, non è stato affatto denunciato un vizio riconducibile ad una delle precisate violazioni processuali, ma piuttosto si è fatto un generico riferimento a vizi di natura sostanziale attinenti alla disciplina delle distanze che, però, non trovano alcuna corrispondenza in una espressa ed inequivoca indicazione delle norme ritenute asseritamente violate, donde il mancato rispetto del requisito precedentemente richiamato di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4).
La giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, la recente Cass. SU n. 23745/2020) e’, a tal proposito, concorde nell’affermare che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
La doglianza è altrettanto inammissibile con riguardo alla dedotta insufficiente e/o contraddittoria motivazione, vizio non più deducibile a seguito della novellazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “ratione temporis” applicabile nella fattispecie (cfr. Cass. SU nn. 8053 e 8054 del 2014; Cass. n. 23828/2016 e Cass. n. 22598/2018). Infatti, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.
6. Il terzo motivo è privo di fondamento quanto alla supposta violazione di legge, poiché la circostanza probatoria alla quale pone riferimento il ricorrente attiene ad una questione correttamente ritenuta nuova dalla Corte di appello, siccome basata sulla possibile operatività del principio di prevenzione, non dedotto dal C. con le sue difese in primo grado e, in ogni caso, si riferisce al possibile suo acquisto per usucapione del diritto a mantenere la sopraelevazione a distanza illegale dall’immobile degli appellati, implicante, però, il riferimento – come già chiarito in sede di risposta al primo motivo – ad una domanda non riproposta in appello.
E’, invece, inammissibile con riguardo alla prospettata insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione per le stesse ragioni già riportate in risposta al secondo motivo sul punto.
7. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2,500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021