LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. FASANO Annamaria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16604-2014 proposto da:
F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE RAGUSO, rappresentata e difesa dall’Avvocato LUIGI TOSCHES giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 108/14/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 18/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 14/1/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA.
RILEVATO
che:
F.M. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Puglia aveva respinto il ricorso proposto per l’ottemperanza del giudicato derivante dalla sentenza emessa dalla medesima Commissione Tributaria Regionale n. 8/4/2010, con cui l’Agenzia delle entrate era stata condannata al pagamento delle spese di lite da distrarsi in favore dell’odierna ricorrente, quale difensore del contribuente vittorioso nel suddetto giudizio;
l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
CONSIDERATO
che:
1.1. con il primo mezzo si denuncia nullità della sentenza per superamento dei limiti di giurisdizione, violazione del giudicato e violazione del ne bis in idem;
1.2. la CTR avrebbe erroneamente negato il diritto riconosciuto dal dictum irrevocabile azionato, che aveva accertato in modo definitivo il diritto al pagamento delle spese di lite a carico dell’Agenzia delle entrate, con distrazione a carico del difensore antistatario, affermando invece che l’Agenzia delle entrate, a seguito della notifica della pronuncia in questione, aveva già dato esecuzione al giudicato, mediante pagamento alla parte contribuente della somma liquidata in sentenza, effettuato in data anteriore alla correzione di errore materiale contenuta nella predetta sentenza relativa alla mancata distrazione delle spese di lite in favore del difensore antistatario;
1.3. ci si duole, pertanto, che la CTR si sarebbe pronunciata su questioni che esulavano dal giudicato alterando l’assetto di interessi definiti nella pronuncia di cui si chiedeva l’esecuzione;
1.4. le censure vanno disattese;
1.5. come è noto, nel giudizio di ottemperanza dinanzi alle commissioni tributarie, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso deve essere esercitato entro i confini invalicabili dell’oggetto della controversia definita con il giudicato, atteso che non possono essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire, ma solo enucleati e precisati gli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendone il reale significato (cfr. Cass. nn. 15827/2016);
1.6. il giudizio di ottemperanza ha quindi il duplice obiettivo di verificare se vi sia stata o meno l’inottemperanza e, in caso affermativo, rendere effettivo il comando espresso dalla sentenza mediante l’adozione dei necessari provvedimenti (cfr. Cass. n. 10299/2019);
1.7. la CTR ha ritenuto che alla sentenza soggetta ad ottemperanza fosse stata data correttamente esecuzione dell’Agenzia delle entrate mediante pagamento alla “parte del processo”, in quanto la sentenza, notificata all’Agenzia delle entrate in data 25.2.2010, non recava alcuna indicazione circa la distrazione delle spese, e la correzione dell’errore materiale, disposta con ordinanza del 5.11.2010, risultava essere intervenuta dopo l’esecuzione della sentenza emessa dai primi Giudici;
1.8. se ne deve necessariamente inferire che l’impugnata sentenza – contrariamente a quanto assume la ricorrente – sia coerente con i limiti del giudizio in questione, essendosi il Giudice dell’ottemperanza limitato a rilevare l’insussistenza della dedotta violazione del giudicato, avvalendosi dei poteri conferiti dalla norma (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70);
2.1. con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza per contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, avendo la CTR respinto il ricorso pur avendo al contempo statuito, in dispositivo, la “conferma della sentenza gravata” con conseguente illogicità anche della disposta condanna alle spese di lite a carico dell’odierna ricorrente e non dell’Agenzia delle entrate, quale parte “soccombente” della sentenza in questione;
2.2. le doglianze sono parimenti prive di pregio in quanto l’apparente contraddittorietà tra la formulazione letterale del dispositivo e quanto dichiarato in motivazione, non incide sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale (di rigetto della richiesta di ottemperanza al giudicato), e non integra dunque un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, correggibile ai sensi degli artt. 287 e 391-bis c.p.c., trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile ictu oculi dal testo del provvedimento, senza che venga in rilievo un’inammissibile attività di specificazione o di interpretazione della sentenza (cfr. ex plurimis Cass. nn. 668/2019, 15321/2012);
3. sulla base dei rilievi espressi, il ricorso va conclusivamente rigettato;
4. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
5. da ultimo, va rilevato che il giudice dell’impugnazione, che emetta una delle pronunce previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, è tenuto a dare atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore del contributo unificato (c.d. doppio contributo) anche quando esso non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venire meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato), potendo invece esimersi dal rendere detta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo (cfr. Cass. SU n. 4315/2020), circostanza che non ricorre nel presente caso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 1.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, tenutasi con modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 14 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021