Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31666 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 26439/2014 proposto da:

N.G. rappresentato e difeso dall’avv. Walter Creaco, elettivamente domiciliato in Catania via Monfalcone n. 22;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Sicilia-sezione di Catania n. 350/34/13, depositata il 16.07.2013.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella Camera di consiglio del 9/02/2021.

RILEVATO

che:

N.G. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 350/34/13 depositata il 16/07/2013.

La vicenda tare origine dalla notifica della cartella di pagamento *****, per ritardato pagamento IRPEF/ILOR, relativi agli anni 1991/1992, oggetto della L. n. 388 del 2000, art. 138, e della L. n. 289 del 2002, per i riflessi derivanti dal sisma che aveva colpito la Sicilia orientale nel 1990.

Il contribuente aveva opposto l’atto impositivo innanzi alla CTP di Catania con esito a lui favorevole. L’ufficio impugnava la decisione e la CTR della Sicilia – sezione staccata di Catania accoglieva il gravame.

A base del ricorso, il N. deduce tre motivi.

Resiste L’Agenzia delle Entrate con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente deduce errata e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 138, comma 3, e della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17.

Sostiene il contribuente che le norme in tema della sospensione dei termini, previsti per effetto della calamità che aveva colpito le province di Ragusa, Siracusa e Catania, dovevano essere interpretate nel senso che l’efficacia della sospensione presupponeva una previa istanza da parte del beneficiario interessato ad avvalersene. Evidenziava che, egli, nessuna istanza a tal fine aveva proposto. Pertanto, i termini per la definizione della sua posizione fiscale, aveva avuto il suo naturale decorso. Ne discende che l’Ufficio avrebbe dovuto esercitare il suo potere impositivo senza computare, nei confronti del contribuente, alcuna sospensione in quanto non richiesta, per cui la cartella di pagamento impugnata avrebbe dovuto essergli notificata prima dello spirare dell’originario termine di decadenza, laddove gli era invece pervenuta in data *****.

La tesi del contribuente è infondata.

Gli elementi calamitosi che avevano colpito i comuni delle province di Catania, Ragusa e Siracusa aveva indotto il Governo, mediante ordinanze del Ministero della Protezione civile a disporre la sospensione dei termini per adempimenti e versamenti tributari e contributivi, inizialmente, dal 13 dicembre 1990 al 30 giugno 1991, per i cittadini residenti, da data anteriore al 13 dicembre 1990, nei comuni colpiti dal sisma. Termine poi prorogato più volte, ancora in via amministrativa e poi con il D.L. n. 244 del 1995, convertito dalla L. n. 344 del 1995. Per gli anni d’imposta 1990,1991 e 1992 le norme succedutesi hanno poi consentito di definire la posizione fiscale e contributiva dei cittadini beneficiati, fino al 30 settembre 2006 ed ancora sino al 31.12.2007.

Ora, affermare che la sospensione dei termini implicasse un’apposita istanza, perché la sospensione operasse a beneficio di ciascun contribuente, non ha alcun appiglio né testuale né logico.

Infatti, i provvedimenti adottati hanno, coerentemente all’evento che l’aveva determinato, carattere generale e non contengono alcun cenno alla necessità di preventive richieste, proprio perché provvedimenti volti a fronteggiare un disagio generalizzato. E del resto, ad ulteriore riprova, non è fissato alcun termine entro il quale le supposte istanze avrebbero dovuto essere presentate. Il primo motivo è pertanto infondato.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamentava violazione della L. n. 156 del 2005, che aveva convertito il D.L. n. 106 del 2005, art. 5 bis.

In base ad essa la notifica delle cartelle di pagamento doveva avvenire, a pena di decadenza, entro il quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Evidenziava che l’ultimo differimento della sospensione, da considerare in relazione alla data di notifica della cartella in parola, cadeva il 31 dicembre 2000, dal momento che la L. n. 388 del 2000, era entrata in vigore il 1/1/2001. Tal che, a far tempo da tale data, il quinquennio entro cui notificare l’atto, veniva a scadenza il 31.12.2005, laddove la cartella gli era stata notificata il *****, a decadenza maturata.

Il motivo è anch’esso infondato.

Del resto, lo stesso D.L. n. 106 del 2005, art. 5 bis, che la parte assume essere stato violato, offre il destro per giungere ad opposta conclusione.

Infatti, il quinquennio entro cui notificare la cartella non poteva che decorrere dallo scadere del termine, prorogato, entro cui il contribuente avrebbe dovuto presentare la dichiarazione. Lo slittamento dei termini, a beneficio dei contribuenti, non poteva non riflettersi su quelli entro cui l’Amministrazione doveva esaurire le sue procedure impositive.

Con il terzo motivo lamentava, infine, l’insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi in quanto il giudice regionale aveva omesso di motivare sull’eccepita infondatezza della pretesa e sull’eccezione di prescrizione.

Il motivo è infondato in quanto il giudice regionale, nel richiamare il D.L. n. 348 del 2007, art. 36, che aveva posto un ulteriore termine sino al 31.03.2008, per definire le controversie relative al triennio 1990-1992, ha escluso implicitamente potesse maturare, precedentemente a tale scadenza, la prescrizione delle pretese oggetto delle cartelle.

La parte, con il terzo motivo, deduce anche l’infondatezza nel merito della pretesa, per difetto di prova della pretesa stessa, limitandosi ad affermare che tale aspetto era stato oggetto del ricorso di primo grado ed era stato ribadito con le controdeduzioni d’appello, rimanendo del tutto ignorato dalla CTR. Incorrendo, quest’ultima, nella violazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, anche se non espressamente rubricata come tale dalla parte.

Il suddetto profilo, inserito nel terzo motivo, è però inammissibile.

Il ricorrente si e’, infatti, limitato ad affermare che la deduzione era stata oggetto dei precedenti gradi, senza riassumere i termini e le argomentazioni con cui l’aveva riproposto con le controdeduzioni in appello.

Al riguardo, questa Corte ha più volte affermato che “L’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda….dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata. (Sez.5, 13/01/2021 n. 342).

Il ricorso, pertanto, va rigettato con conseguente condanna alle spese. Ricorrono i presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.200,00, oltre che alla spese prenotate a debito.

Dà atto che ricorrono i presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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