Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31667 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 26723/2014 proposto da:

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– Ricorrente –

contro

B.P. rappresentato e difeso dagli avv.to prof. Lorenzo del Federico e avv. Valeria D’Ilio elettivamente domiciliata in Roma via F. Denza n. 20;

– controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo sezione di Pescara n. 344/09/13, depositatà111.9.03.2014.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella Camera di consiglio del 09/02/2021.

RILEVATO

che:

L’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo-sezione di Pescara n. 344, depositata il 19 marzo 2014.

La vicenda trae dalla notifica al contribuente B.P., in data *****, di un avviso di accertamento in via sintetica di maggior reddito imponibile di Euro 230.037,00. Riteneva l’Ufficio che tale cifra fosse il provento della cessione delle quote, da lui possedute nella società CPB Immobiliare s.n.c. P.R. e C..

Giova precisare che il ricorrente e P.R. erano coniugi ed all’atto della loro separazione, convenivano, con scrittura privata del 17.10.2007, che il ricorrente percepisse la somma di Euro 230.000,00 quale corrispettivo per la cessione delle quote possedute nella citata società. Viceversa, nell’atto pubblico con cui era stata formalizzata la cessione delle quote, veniva indicato come prezzo di cessione quello di Euro 1.500,00. L’Ufficio, alta luce di tale ultimo atto, deduceva che il ricorrente, detratto l’importo dichiarato per la cessione della quote, avesse percepito dalla moglie, per la cessione delle quote, l’ulteriore somma di Euro 228.500,00 (230.000,00-1.500,00).

Il contribuente aveva spiegato il contrasto tra la scrittura privata e l’atto pubblico, sostenendo che la prima (infelicemente formulata in un momento di particolare impatto emotivo, quale quello della separazione) non rifletteva il reale stato delle cose, nel senso che il prezzo di cessione delle quote era stato realmente di Euro 1.500,00. Al prezzo della cessione, la scrittura aveva fatto anche riferimento alla restituzione, da parte della società, di un suo finanziamento infruttifero in favore della stessa, di Euro 230.000,00, per l’acquisto, in capo alla compagine, di un immobile in Pescara, avvenuto nel 2003.

Per far valere tale prospettazione, il Bocci aveva opposto l’atto impositivo, con esito favorevole in entrambi i giudizi di merito.

Impugna la decisione d’appello, l’Agenzia delle Entrate deducendo tre motivi.

Ha resistito il contribuente con controricorso e memoria.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate ha lamentato violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in quanto il ricorrente, solo in appello, aveva dedotto che la somma versatagli in occasione della cessione delle quote esprimesse il (maggior) valore nominale delle stesse, per effetto del conferimento apportato alla società con il finanziamento infruttifero da lui erogato come socio, in vista dell’acquisto immobiliare nel 2003, in capo alla società. Finanziamento del quale era creditore.

Il motivo appare infondato.

Invero, la prospettazione del ricorrente si è attestata esclusivamente sul presupposto che la somma ricevuta, in occasione della separazione coniugale, afferisse alla restituzione da parte della società del finanziamento infruttifero e fosse quindi un suo credito verso la società medesima. Il riferimento all’ipotesi che il versamento effettuato nel 2003 potesse considerarsi un finanziamento del socio alla società, e quindi un versamento in aumento del capitale, non si configurava come eccezione introdotta per la prima volta in appello. Si trattava, invece, di un argomento difensivo volto proprio ad avvalorare la tesi iniziale, ed immodificata, che quanto percepito non potesse configurarsi se non come restituzione di una somma anticipata e non come conferimento.

Nessun mutamento della causa petendi e del petitum è dato perciò ravvisare nello sviluppo argomentativo delle controdeduzioni del Bocci, nel giudizio d’appello promosso dall’Ufficio.

Con il secondo motivo, l’Ufficio deduce violazione degli artt. 2709 e 2730 c.c., nel senso che il ricorrente quale imprenditore non poteva invocare, a suo beneficio, le scritture contabili perché da lui stesso precostituite e deduceva, altresì, che dovuto prevalere, nella valutazione del giudicante, la “scrittura privata”, redatta al momento della separazione relativa ai rapporti interpersonali tra i coniugi: era quello il documento che, in mancanza di altre finalità, rifletteva la reale natura delle somme corrisposte.

Con il terzo motivo, l’Ufficio lamenta violazione degli artt. 194 e 1101 c.c., nonché dell’art. 2730 c.c., ponendo l’accento sul fatto che, se la somma ricevuta avesse avuto come causa, effettivamente, la restituzione del finanziamento del 2003, avrebbe dovuto aver importo di Euro 230.000,00 e non di Euro 228.500,00, spiegabile solo se si considera, tale ultima somma, come integrazione di quanto dichiarato come prezzo della cessione delle quote. I due motivi, finalizzati entrambi a sostenere il prevalente valore probatorio da attribuire alla “scrittura privata”, possono essere trattati congiuntamente. Ed entrambi non possono trovare accoglimento in quanto la prevalenza (secondo l’Ufficio) della scrittura privata viene tratta dal contenuto confessorio che il documento rivelerebbe.

Sostiene, infatti, l’Ufficio che tale natura deriverebbe dal tenore della scrittura privata, sfavorevole alla tesi del ricorrente, destinata solo a puntualizzare i reali rapporti interpersonali tra i coniugi, senza che fossero ipotizzabili altre finalità in grado di minarne la veridicità.

Tale prospettazione dell’Ufficio presupporrebbe però una valutazione da parte del Collegio sulla qualificazione attribuita all’atto. Valutazione però interdetta al Giudice di legittimità in quanto implicherebbe una inammissibile riconsiderazione dell’interpretazione dei documenti di causa operata dal giudice di merito. In tal senso la giurisprudenza di questa Corte, che ha, più volte affermato, come ” In tema di prova civile, l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisca o meno confessione – e, cioè, ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte – si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se fondato (come nel caso in esame) su di una motivazione immune da vizi logici….” (Sez. 6 – 2, 14/02/2020 n. 3698; n. 2048/2019).

Il secondo e il terzo motivo vanno ritenuti, pertanto, inammissibili.

Per le suesposte ragioni il ricorso va rigettato. Segue la condanna alle spese. Non ricorrono le condizioni per il versamento del c.d. doppio contributo da parte della soccombente Agenzia delle Entrate, in base al principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le pubbliche amministrazioni non sono tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo (e il doppio contributo ha natura tributaria), per l’evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge (ex multis Cass. n. 9938 del 2014).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 7.000,00 oltre che ad Euro 200,00 per esborsi e al pagamento degli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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