LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – rel. est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 15769/2014 proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12.
– ricorrente –
contro
M.I.A.E., rappresentato e difeso dall’avv. Emilio Iurillo, elettivamente domiciliato in Roma, via Luigi Rizzo, n. 41, presso lo studio dell’avv. Vittorio Olivieri.
– controricorrente –
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 183/10/2013 depositata il 12/12/2013.
Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella Camera di consiglio del 9/03/2021.
RILEVATO
che:
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 183/10/13 depositata il 12/12/2013.
La vicenda discende dalla notifica dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2006, relativo alla tassazione della plusvalenza scaturita dalla compravendita effettuata da M.I. di un terreno edificabile in Corato, ceduto alla società Lops Costruzioni s.r.l.
Per la cessione, la plusvalenza era stata definita, ai fini dell’imposta di registro, in Euro 634.030,00. L’Ufficio aveva assunto tale importo anche ai fini delle imposte dirette. Il contribuente impugnava l’atto impositivo relativo a tale tributo e la CTP di Bari accoglieva il ricorso. Il successivo appello dell’Ufficio veniva, invece, rigettato.
L’Amministrazione ha impugnato tale ultima decisione ponendo a base del ricorso un unico motivo per violazione del TUIR, art. 67, comma 1, lett. b), e art. 68, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Resiste il contribuente con controricorso e memoria.
CONSIDERATO
che:
L’Ufficio, con l’unico motivo, contesta la decisione d’appello nel senso che la CTR avrebbe errato nel disattendere il criterio adottato dall’Amministrazione, per determinare, aì fini IRPEF, il valore della plusvalenza, derivante alla cessione del terreno, basato sul valore definito ai fini dell’imposta di registro. In tal modo – sostiene l’Amministrazione – discostandosi dalla costante giurisprudenza di questa Corte, orientata nel senso propugnato dalla ricorrente.
Il contribuente, con la memoria depositata in data *****, nel ribadire l’infondatezza del ricorso, ha richiamato quanto disposto dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, alla stregua del quale è escluso che l’Amministrazione possa determinare in via induttiva la plusvalenze realizzata a seguito della cessione di immobili e di aziende soltanto sulla base del valore dichiarati, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria.
Norma che in quanto di natura interpretativa ha efficacia retroattiva (Cass. n. 12131 del 2019; Cass. n. 9513 del 2018). Ed è quindi applicabile anche al caso in esame, relativo ad un contenzioso pendente alla data della sua entrata in vigore.
Ne consegue che la tesi della ricorrente basata, come unico motivo di censura della sentenza impugnata, sulla giurisprudenza di questa Corte antecedente alla richiamata sopravvenuta disposizione, ed evolutasi poi in ragione ed in conformità della stessa, non può trovare accoglimento.
Infatti, il ricorso, muovendosi nell’ottica di un accertamento induttivo, non ha prospettato alcun fattore causale idoneo a comprovare un corrispettivo della cessione maggiore di quello dichiarato dal contribuente ai fini IRPEF.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese possono essere compensate posto che il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5 comma 3, è entrato in vigore in data successiva alla presentazione del ricorso d’appello dell’Agenzia delle Entrate, notificato l'*****.
Non sussistono i presupposti per il versamento da parte dell’Amministrazione ricorrente del c.d. doppio contributo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in base al principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le pubbliche amministrazioni non sono tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo (e il doppio contributo ha natura tributaria), per le evidenti ragioni che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge (Cass. n. 9938 del 2014).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021