Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31675 del 04/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15418-2018 proposto da:

TECMA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO CANINI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI POMEZIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato PIETRO DI BENEDETTO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale estesa a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6610/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 15/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 3/2/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

RILEVATO

che:

la società Tecma S.p.A. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva accolto l’appello del Comune di Pomezia avverso la sentenza n. 8278/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva a sua volta accolto il ricorso proposto avverso avviso di accertamento TARSU per le annualità 2007/2011 (in relazione alla riscontrata differenza di superficie tassabile rispetto al dichiarato) ritenendo apodittica l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani e provato, dalla ricorrente, lo smaltimento diretto dei rifiuti speciali (imballaggi in plastica) da parte di un operatore specializzato;

il Comune resiste con controricorso;

la società ricorrente ha depositato memoria difensiva.

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo mezzo si denuncia, in rubrica, “violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, punti 3) e 5), per quanto attiene l’assoluta carenza di motivazione dell’atto accertato” e si lamenta che la CTR abbia erroneamente respinto le doglianze della contribuente circa l’assenza di motivazione dell’atto impositivo impugnato;

1.2. la censura è inammissibilmente formulata atteso che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (cfr. Cass. n. 13625 del 2019, Cass. n. 2928 del 2015);

1.3. nella fattispecie la ricorrente si è limitata a dolersi del rigetto delle doglianze circa la mancanza di motivazione dell’atto impugnato senza peraltro riportarne il contenuto, neppure per estratto, o allegarlo al ricorso, in modo quindi del tutto inidoneo a consentire alla Corte di ravvisare la fondatezza della doglianza;

2.1. con il secondo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, e art. 68) avendo la CTR erroneamente ritenuto che i rifiuti speciali, derivanti dall’attività industriale della ricorrente, rientrassero tra i rifiuti speciali assimilabili ai rifiuti urbani, assoggettati a TARSU, essendo irrilevante lo smaltimento in proprio da parte della contribuente;

2.2. con il terzo motivo si lamenta omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto la CTR avrebbe accolto l’appello ritenendo fosse mancata la prova, da parte della contribuente, circa il tipo di rifiuto speciale per il quale era richiesta l’applicazione del regime agevolativo, sebbene la società avesse illustrato le tipologie di imballaggi in questione, nonché dimostrato l’ingente quantitativo degli imballaggi smaltiti, l’effettiva delimitazione delle aree in cui erano stati prodotti i rifiuti speciali, formatisi peraltro in aree produttive, e il loro smaltimento tramite imprese specializzate ed autorizzate;

2.3. le censure, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse, vanno disattese;

2.4. la questione controversa concerne l’esenzione dalla Tarsu, per le annualità 2007/2011, della società ricorrente, dovendosi accertare se la predetta impresa, in base al regolamento comunale, produceva rifiuti speciali assimilabili agli urbani, quindi tassabili, oppure rifiuti speciali che, per qualità e quantità, non ne consentivano la tassazione;

2.5. ulteriore tematica concerne la possibilità, nel primo caso, di sottrarsi alla privativa comunale, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, per i produttori di rifiuti assimilati che dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi e di usufruire di eventuali riduzioni o esenzioni nel caso in cui il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non venga svolto nella zona ove è ubicato l’immobile aziendale, ovvero sia stato effettuato in modo irregolare;

2.6. va premesso che il Regolamento del Comune di Pomezia, richiamato nella sentenza impugnata, prevede che nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano, di regola, rifiuti speciali, non assimilati a quelli urbani, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti;

2.7. la CTR ha ritenuto in primo luogo che la contribuente non avesse allegato, né provato la natura pericolosa, tossica o nociva, dei rifiuti di cui trattasi, per tale ragione non assimilabili a quelli urbani;

2.8. questa Corte (cfr. ordinanze nn. 10811 e 10812 del 2016) ha già statuito, al riguardo, che per effetto della L. 24 aprile 1998, n. 128, art. 17, comma 3, che ha abrogato la L. 26 febbraio 1994, n. 146, art. 39, è venuta meno l’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con la conseguenza che è divenuto pienamente operante il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 21, comma 2, lett. g), che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche;

2.9. pertanto, con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dai regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21342 del 07/08/2008; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14816 del 18/06/2010);

2.10. con l’entrata in vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e quindi a partire da tale annualità d’imposta, è stato restituito ai Comuni (Cass. n. 18303 del 2004, Cass. n. 18382 del 2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli prodotti da imprese commerciali, anche “per qualità e quantità” (art. 21, comma 2, lett. g), ma, ai fini dell’esclusione dalla tassazione, spetta alla società fornire la prova non solo della produzione di rifiuti speciali in misura superiore ai valori stabiliti dal Comune, ma anche di avere provveduto al loro effettivo smaltimento mediante ditte specializzate, producendo copia dei relativi contratti e/o delle relative fatture, in quanto ratio dell’esclusione della imposta, in tale caso, è di evitare un’indebita duplicazione di costi in capo ai soggetti che producono tali rifiuti e che sono tenute a pagare ditte specializzate per il loro smaltimento in quantità maggiori di quelle previste dalla deliberazione comunale;

2.11. il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, capo 3, ha poi istituito la tassa per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa dai comuni (art. 58);

2.12. il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, ha successivamente istituito la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (usualmente denominata TIA, “tariffa di igiene ambientale”), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, “ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori” (comma 10), e disponendo altresì che “sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua” detta attività (comma 14);

2.12. a maggior ragione tale documentazione deve ritenersi necessaria nel caso in cui la società richieda l’esenzione totale dalla Tarsu per il superamento dei limiti quantitativi, previsti dal Comune, ai fini dell’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani;

2.13. va ribadito comunque che, sia nel caso di TIA che di TARSU incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi alla documentazione relativa alle imprese specializzate incaricate di provvedere allo smaltimento dei rifiuti;

2.14. va ribadito, inoltre, che solo i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, possono essere considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della tassa;

018 2.15. tali prove, in base a quanto riportato nella sentenza impugnata, non sono state fornite dalla società che non può, quindi beneficiare né dell’esenzione della Tarsu, né della sua riduzione nel diverso caso di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, essendo presupposto imprescindibile in entrambi i casi al fine di poter usufruire delle relative agevolazioni, ed essendo stata quindi confermata la riduzione della pretesa fiscale, nella misura già operata dal Comune, per la parte di imposta riferita ai rifiuti speciali, fermo restando l’obbligo tributario della società per i rifiuti riferiti a “diverse superfici dello stabilimento… utilizzate per attività amministrative ovvero per deposito”, aree che, in quanto non produttive di rifiuti speciali, sono soggette a tassazione secondo il generale disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1;

2.16. la ricorrente oppone alle predette – lineari – valutazioni della CTR, basate anche su quanto riportato nell’avviso di accertamento circa l’intervenuta corresponsione, da parte della ricorrente, per l’area di 400 mq, della tariffa sui rifiuti derivanti da lavorazioni industriali, assimilabili a quelli urbani, e dallo stesso contenuto del ricorso, in cui si fa riferimento a imballaggi in plastica “che non hanno mai contenuto sostanze pericolose”, quelle proprie, circa il preteso “ingente quantitativo degli imballaggi smaltiti”, basate su documentazione, solo genericamente richiamata, senza neppure illustrarne il preciso contenuto;

2.17. può trovare quindi applicazione il principio per cui il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 24434 del 2006);

2.18. va inoltre ribadito che ” con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ” (Cass. n. 9097 del 2017);

3. per le suesposte considerazioni, il ricorso va integralmente respinto, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472