LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. CASTORINA R.M. – Consigliere –
Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –
Dott. MELE F. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21042-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.R., B.G., B.M., BI.MA., LABORATORIO ORTOPEDICO SENESE DI BI. M. & C. SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO GIOVANNINI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 29/2013 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA, depositata il 04/02/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE.
Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 29/2013 depositata il 4.2.2013, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10 giugno 2021 dal relatore, cons. Francesco Mele.
RILEVATO
che:
– Il laboratorio ortopedico senese di Bi. M. & C. sas proponeva ricorso avverso avviso di accertamento in rettifica – per l’anno 2005 – con riferimento ad Iva ed Irap, ricorso che, nel contraddittorio tra le parti veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Siena con sentenza, che, gravata di appello da parte dell’Ufficio, era respinto dalla CTR.
– Per la cassazione della sentenza sopra menzionata l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, al quale resiste, con controricorso, la società contribuente.
CONSIDERATO
che:
Il ricorso consta di due motivi che recano: 1) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 2) “Motivazione insufficiente e illogica circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
– Per commentare il primo motivo va premesso – premessa che compare, d’altra parte, nello stesso ricorso- che la CTR ha “ritenuto provato che nell’anno di imposta 2005, oggetto di verifica, la società aveva dichiarato ricavi superiori al livello di congruità ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui alla L. 29 ottobre 1993, n. 427”, per poi così spiegare le ragioni della conferma della sentenza della CTP: “I giudici di primo grado hanno messo in evidenza che l’accertamento fondato sugli studi di settore di cui è causa era stato eseguito non solo nei confronti di un’azienda risultante più che congrua ai suddetti studi, ma soprattutto non erano state provate quelle “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dei medesimi”; dopo avere evidenziato, in coerenza con la consolidata – e menzionata – giurisprudenza di legittimità, che una semplice percentuale di ricarico “anche se frutto di uno studio di settore, costituisce pur sempre un dato che abbisogna del confronto di qualche ulteriore elemento per giustificare l’attribuzione di un maggior reddito”, la CTR ha affermato che “dall’avviso di accertamento risulta incontrovertibile che la rettifica operata dall’Ufficio delle Entrate è legata alla sola applicazione delle percentuali di ricarico, che di per sé non costituiscono un fatto noto da cui si possa dedurre “il fatto ignoto” perché è necessario che tali percentuali siano ancorate a “specifiche altre circostanze” che possono far presumere l’omessa dichiarazione di corrispettivi.”, per poi rilevare che l’atto impositivo si è fondato “sulla base del criterio c.d. del ricarico medio su estrapolazioni statistiche dei dati risultanti dai prospetti relativi alle giacenze di magazzino parametrati ai dati di acquisto delle materie prime, ma la società nell’anno 2005 non era obbligata a tenere le scritture ausiliarie di magazzino, per cui l’Ufficio non doveva attenersi ai soli risultati dell’esame di dette scritture bensì procedere ad una analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda”; ciò premesso, la CTR ha rilevato che, nel calcolare la “percentuale media di ricarico riferita ai plantari, estrapolata arbitrariamente dalle scritture di magazzino” applicata “ad una quota pari al 16% dei prodotti compravenduti”, risultano in detta percentuale “ricomprese tanto le scarpe che i plantari, che sono ausiliari medici acquistati ed utilizzati solo dietro prescrizione medica per la cura di gravi patologie, per cui sono oggetto di vendita mediante convenzione con le locali ASL, con impossibilità di occultamento del corrispettivo”, con la conseguenza che una percentuale di ricarico al 16% sul totale delle vendite riferita ad ausili medici aventi le peculiari caratteristiche appena descritte ha indotto conclusivamente la CTR ad affermare che “e’ impossibile che la società produca, come puntualmente ha fatto rilevare nelle sue difese, circa 3000 plantari per una anno, essendo i medesimi oggetto di mercato di nicchia, nel quale i tecnici operano come artigiani, su specifiche ordinazioni, di gran lunga inferiori alla somma sopraevidenziata.”.
– Ciò premesso, la ricorrente – dopo avere precisato che l’accertamento de quo non era fondato sugli studi di settore, ma sulla ricostruzione induttiva originata dalla dichiarazione di ricavi superiore al livello di congruità – lamenta che la CTR ha errato nel ritenere che l’elemento probatorio costituito dalle percentuali di ricarico non potesse costituire il “fatto noto” da cui dedurre il “fatto ignoto, e che fossero necessarie “specifiche altre circostanze” per potere presumere l’omessa dichiarazione dei corrispettivi. Infine l’Ufficio si sofferma sulla affermata (da parte della CTR) “non utilizzabilità dei dati delle scritture ausiliarie del magazzino, in quanto non obbligatorie”, per rilevare che la G.d.F. aveva utilizzato una stampa delle giacenze 2004 – documento legittimamente acquisito agli atti e di sicura provenienza dalla società – senza che questa ne avesse mai eccepito l’autenticità, limitandosi a segnalare di non essere essa tenuta delle scritture in parola.
Il motivo non è fondato, oltre a caratterizzarsi per profili di inammissibilità. Il collegio reputa di dare continuità ad una interpretazione consolidata della Corte, secondo cui non è sufficiente “ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza – posto che le medie di settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sé stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni – ma occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore – tra cui l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarica applicata dal contribuente e la – media di settore – incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti” (Cass. n. 27488/2013, richiamata da Cass. n. 18627/2018).
Nella fattispecie, la percentuale utilizzata da parte erariale è stata dalla CTR, dunque, correttamente valutata come non sufficiente, ex se, a fondare la rettifica, a fronte anche del constatato rispetto dei parametri desumibili dagli studi di settore.
Con la parte del motivo, infine, riguardante le scritture ausiliarie di magazzino, la ricorrente non evidenzia il punto della sentenza che intende censurare, senza considerare che tale parte della doglianza sconta un difetto di autosufficienza, dovendosi comunque evidenziare nel merito che la contribuente non era obbligata, nell’anno 2005, alla tenuta delle scritture ausiliarie.
– Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza laddove definisce la percentuale di ricarico sui plantari come percentuale “estrapolata arbitrariamente dalle scritture di magazzino”, con una quota “pari al 16% del prodotto compravenduto”, con l’aggiunta che “nel 16% del prodotto sono ricomprese tanto le scarpe che i plantari che sono ausili medici acquistati ed utilizzati solo dietro prescrizione medica per la cura di gravi patologie per cui sono oggetto di vendita mediante convenzione con le locali ASL con l’impossibilità di occultamento di corrispettivo”.
Lamenta l’Ufficio che la CTR non si è pronunciata sulle deduzioni sviluppate in appello in ordine al calcolo del ricarico applicato ai prodotti compravenduti e ai semilavorati nonché al calcolo del ricarico medio comparato sui plantari ortopedici semilavorati.
Le deduzioni, corredate da proiezioni numeriche e percentuali, in cui si articola il motivo, rappresentano la riproposizione di argomenti diffusamente esposti nei giudizi di merito e si atteggiano, nella odierna sede, a mera critica dell’apprezzamento di merito dato dalla CTR, che non può trovare ingresso nel giudizio per cassazione.
– Conclusivamente il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15%, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021