Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31699 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19342-2020 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 681/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 04/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa PARISE CLOTILDE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 681/2020 pubblicata il 4-5-20 la Corte D’Appello di Palermo ha respinto l’appello proposto da S.O., cittadino del Ghana, avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della stessa domanda da parte della competente Commissione Territoriale. La Corte d’appello ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione, avuto riguardo alla situazione generale del Ghana, descritta con indicazione delle fonti di conoscenza, nonché condividendo il giudizio di non credibilità, espresso dal Tribunale, della vicenda personale narrata dal richiedente, il quale aveva riferito di essere fuggito dal suo Paese perché rimasto privo di ogni risorsa, dato che suo padre aveva contratto un mutuo con una banca che non era riuscito a saldare e temeva le conseguenze derivanti dal suo inadempimento.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente.

3. I motivi di ricorso sono così rubricati: “1. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3”; “2. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2 n. 4, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. b) e c)”; “3. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, contraddittorietà della motivazione”. Con il primo motivo il ricorrente si duole del giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata, deduce di aver compiuto ogni sforzo per circostanziare la domanda, richiama il principio dell’onere probatorio attenuato e, quanto alle violenze subite in Libia, deduce che il suo racconto è coerente con le informazioni tratte da fonti internazionali. Con il secondo motivo deduce di aver diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. b), a causa delle criticità del sistema statuale, giudiziario e carcerario del Ghana, o della sussidiaria di cui al citato D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c), a causa del conflitto armato in corso nel suo paese, come da informazioni del sito “viaggiare sicuri” del 9-3-2020. Con il terzo motivo si duole del diniego della protezione umanitaria, asserendo che non ha una rete di familiari, né risorse economiche nel suo Paese ed ha un vissuto traumatico, anche per le vicende occorsegli in Libia, ed inoltre richiama la situazione generale del suo Paese di instabilità e insufficiente rispetto dei diritti umani.

4. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

4.1. Le censure non si confrontano con il decisum e si risolvono in una generica critica, avulsa dalle ragioni espresse nella sentenza impugnata.

Quanto al giudizio di non credibilità, la Corte di merito ha affermato che con l’appello non era stata contestata la valutazione d’inattendibilità della vicenda personale espressa dal Tribunale, e in ordine a tale affermazione non è svolta una specifica doglianza. La Corte d’appello ha in ogni caso condiviso il giudizio di non verosimiglianza della narrazione espresso dal Tribunale, spiegandone le ragioni (per non essere plausibile il fatto che egli fosse stato costretto ad imbarcarsi per l’Italia dalla Libia e marchiato con una ferita alla gamba per non avere pagato il viaggio), così effettuando un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità ove, come nella specie, motivato in modo idoneo, avuto riguardo anche a canoni di logicità e razionalità (Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al citato D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo (Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

In ordine all’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, il ricorrente, ancora una volta senza confrontarsi con il decisum, richiama la stessa fonte di conoscenza citata nella sentenza impugnata, che indica anche le informazioni tratte dal sito UNHCR per escludere la sussistenza della situazione di violenza indiscriminata.

5. Anche il terzo motivo è inammissibile.

5.1. Circa la domanda di protezione umanitaria, occorre precisare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

5.2. Ciò posto, il ricorrente afferma di essere soggetto vulnerabile, senza dedurre di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). In particolare il ricorrente si limita a svolgere astratte considerazioni sulle violazioni dei diritti umani e sulle precarie condizioni di vita nel suo Paese, nonché a richiamare il proprio vissuto in Libia, sollecitando così anche un improprio riesame di merito.

6. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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